Sciotel/Parte Terza/Capitolo Quinto

Parte Terza - Capitolo Quinto

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Capitolo Quinto


Sommario. — I. Colonizzazione commerciale; concetto generale. — 2. Importazione in Abissinia. Ciò che dice il Riccioli della esportazione italiana. — 3. L’esportazione abissina secondo il Sapeto. Mercato permanente a Sciotel e a Keren. — 4. Dello antico commercio dell’Abissinia, e delle sue ricchezze. — 5. Il commercio odierno a Massaua, secondo una Memoria officiale del Governo nostro. — 6. Principali prodotti italiani proposti dal Riccioli per l’esportazione. — 7. Conclusione.

1. Per un certo numero di anni, che non è possibile determinare, il più proficuo commercio con l’Abissinia sarà quello di esportazione; poichè, essendo quei popoli quasi affatto barbari, hanno pochi bisogni da soddisfare, e quindi il commercio d’importazione non può avere, in sulle prime, grande importanza.

Non è a credere però che essi siano destinati a rimanere sempre allo statu quo, e che non abbiano attitudine a divenir ben presto civili; anzi è il contrario, e spetta a noi di sapercene avvalere di cosiffatta loro naturale disposizione, e far sì che prendano al più presto i nostri usi, i nostri costumi.

Nell’avviare lo smercio di tanti oggetti europei necessari, utili, o anche di lusso, e del tutto sconosciuti in quelle regioni, saranno nostre naturali alleate le donne indigene, le quali, come tutte le figliuole di Eva, sono [p. 269 modifica]oltre ogni credere propense a cambiare mode. Le abissine principalmente le Galla (come riferisce il Sapeto) per veste usano, dalla cintola in su, un farsetto, e coprono il resto alla meglio con una semplice pelle morbida di vacca. Al braccio hanno cerchi di rame e di argento; al collo del piede cingono smaniglie e braccialetti di conterie di Venezia, che sogliono pure portare infilate nei capelli e farne i centurini dei fianchi. Siffatta veste, siffatta acconciatura, per loro, è splendida; ed il loro capriccio è così variato che tutti gli anni cambiano di moda, e fanno la disperazione dei negozianti di perluzze veneziane.

Nè più e nè meno di quel che fanno le nostre signore; con questa differenza però che le signore abissine fanno la disperazione dei negozianti, e le nostre fanno la disperazione di chi sostiene le spese; giacchè il capriccio delle africane è per ora limitato alle conterie, e quello delle europee non ha limite alcuno, è sconfinato. Ma facciamo conoscere i nostri prodotti, rendiamone comune l’uso, e ben presto le signore africane sentiranno il bisogno dei saponi sopraffini, delle acque odorose di cento ninnoli ecc. ecc.; porteranno anche loro la tournure, i guanti, i cappelli capricciosi, gli abiti all’ultima moda ecc. ecc.; e ben presto Napoli sarà il loro Parigi.

2. Per ora è prudenza andare a rilento nello [p. 270 modifica]introdurre nuove merci in Abissinia, e contentarci d’importare in maggior copia quelle merci che ci vengono additate dal Sapeto e dal nostro Governo. Il sale ed il rame vecchio sono i generi che più facilmente si smerciano in Abissinia, e pochi tessuti di cotone. Il rame serve principalmente per fare oggetti di ornamento, che si potrebbe tentare di lavorarli anche in Italia; ad imitazione dei disegni finitissimi che sono nell’opera del chiarissimo Cap. Martini.

«Il sale è la moneta minuta in Abissinia; esso viene portato dai paesi littorali (principalmente Adel e Samahar) ed è tagliato in forme quadrilateri, lunghe nove pollici in circa, con uno e mezzo di largo, e sei ad otto linee di spessezza; le quali sono vendute, secondo la distanza dei paesi dal lido, più o meno da dodici a cinquanta lo scudo; queste forme si chiamano Amùle» 1.

È prudenza, è vero, l’andare a rilento nell’introdurre nuove merci in Abissinia, ma non si deve andare tanto a rilento da sembrare inerti; altrimenti commetteremo, in quella parte dell’Africa, quei medesimi errori commerciali che si son commessi nelle Americhe ed in Australia; dove numerosissimi sono i prodotti italiani che si vendono con etichetta estera e da mercanti esteri. È necessario perciò vendere e far conoscere [p. 271 modifica]come italiane le nostre merci, contentandoci, per i primi anni, anche di un modestissimo lucro.

Nello introdurre e far conoscere i nostri prodotti ci saranno di grandissimo aiuto i nostri medesimi emigranti, come giustamente osserva un mio pregevole amico, il sig. Cosmo Riccioli. Questo egregio patriotta, dopo aver cospirato e sparso il suo sangue per vedere l’Italia una ed indipendente, lavora indefessamente per redimerla dal servaggio economico, che non è certamente meno duro e pesante del servaggio politico. Egli fu sopraintendente della sezione italiana all’Esposizione universale di Melbourne; alla mostra generale italiana di Torino, per incarico avuto dalla Provincia, dal Municipio dalla Camera di commercio, e dal Banco di Napoli studiò a fondo i presenti rapporti commerciali che l’Italia ha con l’Australia, fece dei progetti per l’avvenire, e pubblicò sul proposito due pregevolissime monografie.

Sul danno enorme, che in quelle lontane regioni, arreca all’Italia il monopolio del commercio italiano esercitato dagli stranieri, e sulla facilità di far conoscere i nostri prodotti per mezzo degli emigranti italiani, egli scrisse assennatissime parole, ispirate dal più fervente amor di patria. Ed io, per destare i nostri commercianti e far sì che, nel Mar Rosso, non cadano nella medesima pania in cui si sono inveschiati in America ed [p. 272 modifica]in Australia, non so far di meglio che ripetere quanto dice il mio egregio amico.

Dopo aver parlato della grande operosità commerciale, di tutte le nazioni europee in Australia, e fatto un rapido schizzo della vita e maravigliosa attività delle tre principali Capitali delle prime colonie, Sydney, Melbourne, Adelaide, egli prosegue così:

«L’Italia intanto, come se fosse tuttavia un’espressione geografica, lascia neghittosa che altri goda frutti delle sue industrie e de’ suoi prodotti, importati in quell’emisfero, e si arricchisca di censo e di nome!

Mai apparve la nostra bandiera mercantile in quei mari, salvo qualche rara eccezione. Gli Italiani residenti colà notavano come un avvenimento i due arrivi occorsi pochi anni addietro dell’«Aurora» da Genova, Cap. F. Vio, e del «Cav. Saverio Polimeni » da Meta, Cap. L. Castellano, poscia naufragato nel mare di Giava; mentre d’altra banda continui son gli approdi di migliaja di velieri inglesi, americani, tedeschi, francesi ed olandesi in que’ paraggi.

Gl’inglesi in primo rango, i tedeschi e i francesi poi, sono i monopolizzatori del grosso commercio in quelle regioni; e da coloro, e principalmente dagli inglesi, sono importati gran parte dei nostri prodotti agricoli e industriali, sempre però per vie indirette onde tenere celata a’ nostri produttori la destinazione. [p. 273 modifica]

Da ciò emerge chiaro come dovendo la merce subire un passaggio di varie operazioni e per conseguenza di competenze o di utili a’ diversi speculatori, senza tener calcolo dei noli duplicati, degli imbarchi e degli sbarchi e del depreziamento di talune merci, giungendo il genere al destino, risulta soverchiamente tassato, oltre di non essere riconosciuto come nostro prodotto. Quindi ignota è la nostra esistenza produttiva, perchè insufficienti a farci da noi stessi apprezzare» 2.

«Ai tanti vantaggi che procura alla madre patria l’emigrante, havvi ancora quello, su cui gli inglesi ed i tedeschi calcolano maggiormente; il migrante serve di mezzo efficacissimo diretto a far conoscere ed apprezzare i prodotti del proprio paese, cominciando alcuni ad usarli egli stesso. Così mette in chiara evidenza a’ consumatori della Colonia che il tale o tal altro articolo è d’importazione diretta. Chi sta addentro, ed anco superficialmente, delle cose commerciali può da sè farsi giusto criterio, che significa constatare l’originale provenienza de’ prodotti immessi ne’ mercati stranieri.

All’Esposizione di Melbourne, un giurato, M.r K... venne un giorno a chiedermi, come mai il Sommacco si trovava nella [p. 274 modifica]sezione italiana, mentre egli, forte consumatore, riteneva esser produzione inglese, o tutt’al più prodotto di qualche Colonia inglese; aggiungendo che da tant’anni viveva in quell’opinione e che sempre l’area ritirato o da Liverpool o da Londra: — Il convinsi sì, è da Liverpool o da Londra che ricevete il Sommacco, ma è prodotto italiano che si coltiva in Sicilia, trafficato da commercianti inglesi; e meravigliato, mi chiese, come e perchè (?) l’Italia non intraprendeva quel commercio direttamente coll’Australia, essendovi colà molto consumo. — Incoraggiato dalle di lui facoltà di commettere da due a quattro tonnellate per saggio, scrissi ad amici in Sicilia, espositori premiati all’Esposizione, C. e P., e questi mi risposero che la loro fabbricazione era impegnata con una casa tedesca ecc. ecc. ecc.

Così di tant’altre industrie e prodotti della cui espansione diretta non ci occupiamo, contenti e soddisfatti di rappresentare nella vastissima scena degli scambî l’infelice parte del Figaro» 3.

3. Più importante e più ricco è il commercio di esportazione, consistente principalmente in oro, avorio, penne di struzzo, caffè, [p. 275 modifica]cera, gomme, pelli (dal 1.º Gennaio sino al 30 Settembre si sono importati in Italia più di quindici milioni di franchi di pelli crude) ecc. ecc. L’oro viene in maggior quantità dai paesi Galla, come pure l’avorio; ma anche le province dello Scioa, Ifot, Damet, Angot, Lasta, Temben, Adiabo ecc., hanno elefanti smisurati, con zanne enormi, lunghe e pesanti 4.

Per far vedere ai miei lettori i grandi guadagni che si otterranno dalle operazioni commerciali in Africa, principalmente dalla esportazione, offro una nota di alcune merci, e del valore che hanno in alcune regioni dell’Africa ed in Italia. Da essa si può vedere come, per ogni operazione commerciale o scambio, non si guadagna meno del 30 per cento. Per esempio: l’avorio, che in Abissinia si vende a f. 11, 80 il k., in Italia si vende 44 f.; la cera, che nei Bogos costa cent. 10 per k., in Italia ha il prezzo medio di f. 2, 90; e, sino al 30 Settembre del corrente anno, si sono importati in Italia ben 4,239 quintali di cera gialla non lavorata; e così di seguito come ognuno può vedere dalla seguente nota: [p. 276 modifica] [p. 277 modifica]

Per attivare pertanto il commercio italo-abissino, apriremo a Sciotel e a Keren un mercato permanente dei nostri principali prodotti, o acquistandoli direttamente dai nostri fabbricanti, o ricevendoli in deposito dai socii produttori, i quali naturalmente saranno preferiti.

Ho detto che apriremo un mercato in Keren, ma avrei dovuto dire che lo ripristineremo, poichè Keren è stato sempre il principalissimo mercato di quei luoghi. Riferisce difatto il Sapeto che:

«Qaran è luogo di fiera, di convegno pei Giabar del Gase, di Saqala, di Scendi e di Damer, capitale dell’antica Meroe, i quali vengono vendendo a Qaran le tele di cotone del Sennar e dell’Egitto; quei di Massawah portanvi altre specie d’indiane e tele di cotone, mussolina, calicot ecc. e tolgono in iscambio butirro, avorio, pelli, corna di bufalo selvatico, mais, penne di struzzo e va discorrendo.

Meroe è penisola di antichissima civiltà, e mostra che dal suo Ammonio si spandessero in Egitto religione e scienze. Molte sue rovine salgono ai tempi più vetusti di quelle di Tebe ecc. ecc.» 5

Ma più che verso l’Abissinia, come saggiamente osserva il nostro Governo, mirere[p. 278 modifica]mo ad estendere i nostri traffici verso il Sudan, regione ricchissima, e che non solo produce ma consuma. Nè si creda, come alcuni fanno, che ciò sia cosa dell’altro mondo, giacchè chi ha studiato spassionatamente la quistione pensa diversamente; e l’illustre Conte Pennazzi, certamente competentissimo, mi scrive sul proposito:

«La distanza fra Kassala-Suakin e Kassala-Massaua è circa la stessa, se una di esse venisse abbreviata di circa 100 chilometri, come lo sarebbe aprendo la strada diretta Massaua Keren per Ailet e Maldì, è certo che i ricchi depositi di merce concentrati a Kassala si diriggerebbero verso il porto più vicino che sarebbe Massaua.

Keren allora diventerebbe un’importante stazione di transito e di scambio; e una società fondata a tale scopo guadagnerebbe».

4. Per notizie attinte da Plinio, Strabone, Arriano ed Agatarcide, l’antichissimo commercio dell’Abissinia consisteva in avorio, corna di rinoceronte, cuoia d’ippopotamo ecc. per l’esportazione; e s’importavano tele gregge di Egitto di bambagia, stuole e sciarpe di arsinoe, tonache di color scarlatto, vasi di vetro e murrini, oricalco ecc. Leggendo queste memorie degli antichi su quel commercio, dice il Sapeto, mi pare di vedere una nota di mercanzie, che alcun negoziante di Massaua mandi a un suo corrispondente del [p. 279 modifica]Cairo, per farne spedizione, tanto il commercio moderno è uguale all’antico. 6

Ed in fatto, egli che studiò a fondo quelle regioni ed i bisogni di quei popoli, consiglia d’importare tele gregge d’Egitto, calicot e mussolina in poca quantità, fazzoletti d’indiana, sciabole prussiane a due tagli (queste no, perchè non dobbiamo fornire le armi ai nostri probabili nemici) conterie di Venezia, braccialetti di vetro, di ferro, di ottone, alcun poco di marrocchino ecc. ecc. 7

Circa poi la ricchezza del commercio interno dell’Africa, che noi dovremo fare di tutto per richiamarlo a noi, nei Bogos, dà le seguenti preziosissime notizie.

«L’Ennarea ed il Caffa sono la patria del Caffè, che è migliore del Moka, se si usassero più cautele nel raccoglierlo e nella maniera di riporlo e trasportarlo in otri netti dalle sugne e dai zibetti. A Ennarea e nei paesi Galla è a prezzo così vile, che viene venduto gli 60 Kilo lo scudo. In quei paesi meridionali.abbonda pure il muschio-zibetto, e tutte le famiglie hanno il Gatto (in Amahregna Ankesò) di questo nome, addomesticato, e da cui, nelle parti calorose raschiano l’ontume odoroso, che sogliono vendere le 60 dramme lo scudo. Molte sono le mandre degli armenti, e la specie bovina è di aitan[p. 280 modifica]za grandissima. L’oro horro, o puro, è pure un ramo principale di commercio; nel paese è in poca quantità, ma i Negri dell’Ovest, o del Dinka, i Scianqalla Cussiti del Fasoqlo provveggono gli Abissini di forse 4000 once d’oro, che portano quindi a Massawah, (oncie 1000) a Berbera e a Sawaken. Molto maggiore è l’oro che i Fungi vengono vendendo nel Sennar: grande pure è il commercio della cera, che quel terrazzo fa con l’Abissinia, e coi porti anzidetti. Il commercio loro si fa per la massima parte per cambio, e gli oggetti più ricercati dai naturali sono varie specie di conteria di Venezia, il rame vecchio d’Egitto e dell’Haggias, e tessuti rossi e turchini di cotoni indiani.

Tenuti in gran pregio sono i velluti genovesi di cotone, e lo smercio di questi sarebbe maggiore di quei di Vienna, se i Negozianti di Genova avessero comandite in Cairo e Gedda, come hanno quelli di Venezia e di Trieste. In somma quell’altipiano è dipinto dai Negozianti come un paese fertile, ricco, felice, e in tutto conforme all’altra Abissinia» 8.

Secondo adunque quel che dice il Sapeto occorre procurarci i campioni delle merci, principalmente dei tessuti, che più facilmente si smerciano in quelle regioni dell’Africa, e cercare d’imitarle. È vero che gli studii del Sapeto rimontano a parecchi anni fa, a quasi [p. 281 modifica]un mezzo secolo, ma i suoi consigli si possono seguire ciecamente, senza tema di errare. Poichè, come egli osservò che il commercio dei suoi tempi era affatto simile al più vetusto commercio abissino, osservo anche io che il commercio odierno è, sù per giù, identico a quello studiato ed additato dal Sapeto.

5. Per confermare quanto io dico non so far di meglio che riportare per intero quel tratto della relazione officiale del nostro Governo che si occupa del commercio di Massaua. Lo riporto per intero perchè in esso ci sono delle notizie e dei consigli veramente preziosi, e dei quali possono far tesoro e la nostra Società ed i commercianti italiani.

«Col possesso e col protettorato di tutta la costa, da Massaua ad Assab, sono in nostra mano gli sbocchi che possono avere sull’Eritreo i prodotti dell’Etiopia specialmente settentrionale e della parte meridionale del Sudan.

Il principale genere d’importazione a Massaua è costituito dai tessuti e filati di cotone, che vengono dall’India e dall’Inghilterra. La maggior parte dei tessuti si dirige al Sudan; pochissimi prendono la via d’Abissinia, ove si smercia di preferenza il cotone filato rosso per tessere una larga striscia che adorna gli sciamma, il classico manto portato dagli Abissini a qualunque condizione appartengano. [p. 282 modifica]

Altri generi d’importazione sono per lo più di consumo locale a Massaua e dintorni dura, farine, conserve alimentari, generi coloniali, spiriti, bevande alcooliche. Una discreta quantità di queste ultime, della peggiore specie, che una casa d’Alessandria d’Egitto provvede a Marsiglia, si smercia in Abissinia, purchè l’apparenza delle bottiglie sia tale da illudere i compratori. In questo genere, più che nei tessuti, che si vendono a basso prezzo, sarebbe facile stabilire una concorrenza italiana.

Le conterie, quasi tutte fornite dalle nostre fabbriche di Murano, sono ora meno ricercate che per l’addietro.

Pellami, zibetto, avorio, caffè, gomme, cera, oro, sono i principali oggetti d’esportazione.

Tengono il primo posto, e a grande distanza dagli altri, le pelli di bue e di pecora secche che si spediscono in Alessandria d’Egitto, Salonicco, Marsiglia, e di cui una certa quantità è anche portata a Napoli e a Genova.

Lo zibetto, secrezione di un piccolo mammifero abissino, è adoperato per la composizione di profumi e trova il maggiore smercio a Londra e a Costantinopoli. Crediamo che potrebbe trovarlo anche in Italia. È capace di costituire un ramo di ricco commercio (il suo prezzo oscilla da 140 a 150 franchi al chilo) per la quantità che se ne può [p. 283 modifica]trovare, e pel valore che rappresenta sotto piccolo volume, rendendo lievi le spese di trasporto.

L’avorio arriva in poca quantità dall’Abissinia; è tutto spedito in India dai Baniani, che ne fanno incetta.

Il caffè arriva dall’Abissinia in partite di maggior rilievo, ma la sua esportazione per l’Italia non potrebbe, nelle circostanze attuali, arrivare ad una grossa cifra. Parte è consumato sul luogo, parte è avviato ai porti turchi e ad Aden. Il caffè abissino ha un gusto eccellente, mescolato con altre qualità, col moca per esempio; ma non è di bella apparenza, e pare che sui mercati d’Europa incontri meno favore che nei porti del Mar Rosso.

Le gomme potranno essere una ricca fonte di commercio coll’Italia, quando dal Sudan, luogo di produzione, potranno più liberamente arrivare a Massaua.

L’oro che in commercio si chiama abissino è del paese dei Galla. Trattandosi di merce che si può facilmente trafugare, sfugge ad ogni sindacato della dogana; si calcola che se ne esporta annualmente dall’Abissinia per circa un milione di lire.

Il commercio delle perle e delle madreperle, che si pescano nelle isole Dahlac e sulla costa dancala, merita un cenno speciale. La pesca delle perle, che è già considerevole (rappresenta un valore annuo di più d’un milio[p. 284 modifica]ne di lire), darà un frutto maggiore quando saranno bene studiati i giacimenti di conchiglie perlifere e la pesca sarà regolata con norme razionali. Le perle, come l’oro, sfuggono alla sorveglianza doganale; il valore medio delle madreperle esportate da Massaua è di circa lire 300,000 all’anno, con un provento doganale di lire 28,000. Le madreperle vanno in genere a Trieste, da dove pare sieno spedite a Vienna per esser lavorate.

Commercio con l’Abissinia; col Sudan; strada Cartum-Cassala-Massaua; effetti dell’amministrazione italiana. — Allo sviluppo del commercio coll’Abissinia si oppongono ostacoli che non è in nostro potere di rimuovere. I prodotti più ricchi di quella regione son quelli delle provincie più lontane da Massaua, e questi stenteranno a prender la via del nostro possedimento finchè le comunicazioni saranno così difficili, finchè continuerà a dominarvi l’arbitrio dei capi delle provincie. Le vie in Abissinia son sentieri scavati dalle acque, o tracciati dal secolare passaggio delle carovane, che, nella stagione delle pioggie, devono arrestarsi finchè non sia possibile passare a guado i corsi d’acqua. Il sistema feudale, per cui i capi delle provincie sono pressochè indipendenti e spesso in lotta fra loro o col Negus, lascia alla rapacità ed all’arbitrio campo libero di vessare il pacifico commercio.

È stato calcolato che un mulo il quale par[p. 285 modifica]ta da Baso, il grande emporio dell’Abissinia, con un carico di caffè, paga circa 30 franchi di dogana, mentre il valore del carico, al punto di partenza, è di due talleri 9.

L’avvenire commerciale di Massaua, dal lato dell’Abissinia, si collega dunque coll’avvenire politico-economico di quel regno; e non vi è certo chi vorrebbe sostenere che esso debba rimanere immutabile. Per ora è la media ed alta Abissinia che, per ragioni topografiche, coi suoi limitati prodotti e pei suoi limitati bisogni, deve necessariamente far capo a Massaua.

Ma più che verso l’Abissinia, Massaua mira e deve mirare ad estendere i suoi commerci col Sudan.

Il Sudan, che consuma e che produce (e i suoi prodotti naturali sono ora accumulati dopo tre anni di guerra), aveva tre grandi strade pel suo commercio: quella del Nilo, quella di Suachim, quella di Massaua. Da una relazione del console d’Inghilterra a Suachim ricaviamo la seguente tabella dell’esportazione annua media dal Sudan prima del 1883. [p. 286 modifica]

MERCI ORIGINE Via
della valle
del Nilo
Via
Berber-Suachim
Lire italiane Lire italiane
Penne di struzzo Darfur 20,800,000 125,000
Gomme Cordofan, ecc. 18,200,000 4,992,000
Avorio Bahr-el-Ghazal 1,716,000 2,150,000
Caffè Vari 325,000 585,000
Pelli Tribù di Baggara 364,000 . . .
Cereali e diversi Dongola, ecc. 9,100,000 . . .
Totale 50,505,000 7,852,000


Sulla via che fa capo a Massaua, la sola rimasta aperta, dobbiamo ora sforzarci d’attirare il commercio; nè dubitiamo che continuerà a percorrerla, anche quando si riaprissero le altre due strade, per l’abitudine che hanno le carovane di battere la stessa strada e di servirsi degli stessi recapiti nei luoghi d’arrivo.

Gli scambi con le provincie più lontane del Sudan si sono già iniziati. Alla fine dello scorso aprile giunse felicemente a Massaua una grande carovana proveniente da Cassala, attraverso i territorii degli Habab e dei Temeriam, ed un’altra ne è giunta, ai primi di giugno, di oltre 700 cammelli, carichi di gom[p. 287 modifica]me. Fatto notevolissimo, che prova come le relazioni fra Massaua ed il Sudan possano attivarsi per quella via, lasciando da parte la strada di Cheren, ed evitando le vessazioni degli Abissini, il maggiore ostacolo al passaggio del commercio per la via Cartum-Cassala-Massaua. Il nuovo cammino, poco più lungo di quello che attraversa il paese dei Bogos, ma in compenso più facile in ogni stagione, potrà essere sempre più comodamente percorso quando avremo fatto sentire con maggiore efficacia la nostra azione pacifica sulle tribù intermedie.

La notizia che si era felicemente iniziata, per questa via, una corrente di scambi fra l’interno e la costa, ha fatto colpo sul ceto commerciale egiziano, i cui traffici furono interrotti dal blocco del Sudan, e che è pronto a riannodarli per la via di Massaua. Anche le autorità egiziane ed inglesi in Egitto, visti alla prova i risultati della nostra politica a Massaua e della loro a Suachim, han cominciato a convincersi che il miglior mezzo di guadagnarsi gl’indigeni è di allettarli con la prospettiva dell’interesse, e che non si avvia il Sudan ad una pacificazione sequestrando le popolazioni e spingendole a gettarsi per fame in braccio ai ribelli.

I paesi di Ravaja e di Haghig sul littorale l’uno al nord, l’altro al sud di Suachim, erano stati abbandonati dagli Egiziani all’avanzarsi della ribellione; le autorità anglo-e [p. 288 modifica]giziane di Suachim fanno ora il tentativo di aprirvi un mercato coll’interno. A Ravaja è stato stabilito un presidio militare per sicurezza; i negozianti di Suachim sono stati incitati a trasportarvi i loro commerci; il bestiame proveniente dagli altri punti della costa è stato esentato da ogni diritto doganale » 10.

Come si rileva dalla memoria officiale, gli scambii col Sudan si erano felicemente, sarei per dire splendidamente, iniziati attraverso il paese degli Habab e dei Temeriam, lasciando da banda Keren, e quando ancora gli Habab, non si erano sottomessi all’ Italia.

Quanto adunque non dovrà essere importante lo sviluppo che prenderà il commercio col Sudan quando, occupati gli altipiani, si riaprirà la via di Keren? Quando, come dice dice il Pennazzi, sarà abbreviato di oltre cento chilometri il percorso da Cassala a Massaua? Quanto non dovrà riuscire facile il traffico, con quella fertilissima regione, oggi che abbiamo fatto sentire con maggiore efficacia la nostra azione pacifica sulle tribù intermedie»?

L’ho detto sempre, e lo ripeto ancora, che Sciotel e Keren saranno per noi una [p. 289 modifica]miniera inesauribile, che in quella regione ci si aprirà il più largo campo di prosperità e di ricchezza nazionale.

L’Africa oggi ingoia i nostri milioni, ma non passerà molto, se noi sapremo e vorremo profittare, e ce li restituirà ad usura.

6. Non posso dar termine a questo ultimo capitolo senza cedere alla forte tentazione di rubare al mio amico Riccioli un suo sommario progetto per l’esportazione italiana. Il suo progetto, è vero, riguarda il commercio nostro con l’Australia, ma a me sembra che la maggior parte dei prodotti, annoverati dal Riccioli, si possono introdurre proficuamente anche in Africa.

Del resto essendo la Società da me propugnata di sua natura generale, e non determinata per una particolare regione, si potrebbe tentare d’iniziare con l’Australia il commercio dei generi proposti dal Riccioli.

Ecco senz’altro quanto egli ha pubblicato; ed i futuri componenti della Società di colonizzazione agricola e commerciale giudichino da sè della importanza della proposta del Riccioli, giacchè qualsiasi commento sarebbe superfluo.

«Noi abbiamo prodotti agricoli e minerali di prima necessità, ed in tale abbondanza e bontà, che tutto il mondo esplorato ha bisogno di provvedersene.

Gli Olî d’oliva per macchina e mangiabili — gli Zolfi — i sommacchi — i marmi ed u[p. 290 modifica]na indeterminata quantità di generi, sui quali nessuna nazione può farci concorrenza. La concorrenza che invece facciamo no i alle altre nazioni stà soltanto nella nostra inerzia, nella quale fatalmente ci culliamo senza ricordarci che i nostri maggiori furono un tempo i più abili ed arditi iniziatori del mondiale commercio!

Non passo a rassegna tutti gli articoli che noi siamo in grado di esportare; mi limito soltanto ad additarne alcuni, la cui importanza merita speciale considerazione:

Olii di uliva. — Che noi siamo i più fortunati produttori di questo prezioso liquido, ognuno lo conosce.

Intanto vediamo esportare questo nostro prodotto dagli stranieri, non solo, ma ci tocca pure sottostare e subire la legge che c’impongono i loro mercati, comperando, alloraquando il nostro produttore, stretto dal bisogno, cede a prezzi talmente limitati, da non lasciarsi che il solo beneficio d’invertire in moneta il frutto della proprietà, senz’utili di sorta, e spesso per far fronte ad urgenze, come sarebbero quelle di soddisfare le imposte, o di dar luogo alla nuova produzione nei serbatoi che talvolta rigurgitano di una o più raccolte.

Quali danni apportino al produttore ed al Paese tali artificiali ristagni non occorre analizzarli.

Nell’Australia i nostri olii trovano un ri[p. 291 modifica]levantissimo consumo per le molte migliaja di macchine che vi esistono, e, oltre di quello per uso meccanico, è da aggiungervi il mangiabile, giacchè il Continente Australe è occupato da ogni nazione ed il sistema di vita non è esclusivamente e rigorosamente inglese; anzi si può ben affermare che le abitudini sono un complesso di carattere prevalente tedesco-francese-spagnolo-italiano anzichè inglese. Ed è tanto ciò realmente vero, in quantochè mentre in Inghilterra ben di rado in un ristoratore si trova dell’olio, in Australia in tutte le trattorie di lusso, specialmente, vi stà quasi come da noi. E gli isdraeliti, che vi dimorano in numero considerevolissimo, ne sono i più forti consumatori.

Tanto è risentito il bisogno degli Olii in Australia, quanto da qualche tempo a questa parte, precisamente nel South Australia s’è cominciata la piantagione dell’ulivo; ma non sembra si possa raggiungere l’intento, e ottenere una produzione soddisfacente e costante, per lo squilibrio rapido di temperatura, tanto nocivo alla fioritura, nelle regioni australi.

Zolfi — Tutti conosciamo di quale importanza sia questo minerale e se l’Italia possa temere rivali.

Nel 1880 nella Nuova Zelanda si scoprirono alcuni strati di Zolfo di ottima qualità paragonabile ai nostri — detti commercialmen[p. 292 modifica]te primi di Licata — Si costituì indi, nel 1881, una Società di capitalisti ed in breve tempo si stanziarono le somme occorrenti. Ma per fortuna d’Italia, e più specialmente della Sicilia, la scoverta dello Zolfo nella Nuova Zelanda non fu che un fuoco fatuo, e ben presto seguì il disinganno; imperocchè dagli studii fatti da persone competenti, da cui ebbi agio informarmi, la quantità che se ne sarebbe potuta ricavare non sarebbe riuscita a coprire le spese di estrazione ed altro, essendosi appena trovati dei meschini filoni poco nutriti e poco prolungati.

Intanto questo nostro minerale, che, è di somma importanza per l’industria chimica e per tante altre esigenze nel vecchio mondo, viene adoperato in Australia per estrarre acidi, per la viticoltura, per la lavatura delle lane, e si sta da qualche tempo sostituendo all’estratto di tabacco per curare la malattia della scabia delle pecore.

È superfluo dimostrare quali quantità se ne potrebbero consumare, conoscendosi dai documenti ufficiali l’eloquente cifra dei molti milioni di animali pecorini che quel suolo australe alimenta.

Questo commercio, come pel resto, si esercita dagli speculatori di Liverpool, Londra e di altri porti inglesi; però giungendo al destino, il nostro minerale si vede miscelato, come ebbi ocularmente ad osservare, e [p. 293 modifica]nelle masse di 2.de correnti e 2.de vantaggiate si trovavano le qualità terze.

Sale marino e sal gemma. — Ciò che è detto per gli Olii e gli Zolfi, tanto per non ripetere sovente gli stessi particolari, i nostri sali troverebbero un considerevolissimo consumo, sia per le qualità fine, come per le comuni, quali si adoperano per la conservazione delle enormi quantità di carni e cuoj, che si esportano per ogni dove.

Sommacchi. — Anche questo genere è di nostra speciale produzione e va pure importato dagli inglesi. Esso serve per la concia delle pelli e cuoj; ed è strabocchevole il consumo che se ne fa, essendo grandissimo il numero degli animali vaccini che in quelle regioni si macellano, tanto che il costo delle carni pressapoco, equivale, come da noi pei cereali.

Marmi delle cave di Carrara e del Napoletano. — Non v’è edificio di nuova costruzione o ricostruzione dove non si faccia uso dei nostri marmi: stabilimenti pubblici d’ogni genere, case di commercio, cimiteri e case private, anco della più modesta costruzione, tutti chi per decorazioni d’architettura, chi per pavimenti od altro, stimano assai opportuno servirsi dei nostri marmi bianchi o colorati che siano.

L’Inghilterra, come s’è detto, ne fa l’esportazione; ed una casa inglese stabilita a [p. 294 modifica]Carrara con una succursale a Sydney ne è l’unica specialista per tutto quel continente.

Cementi per decorazioni. — Ai marmi seguono i lavori in cemento, quali vengono adoprati per diversi usi, e sono ricercatissimi per pavimenti, per ornamenti di ville e giardini pubblici e privati.

Tessuti di seta. — Per dare un’idea dell’importantissimo consumo di questo articolo basta accennare soltanto che l’importazione annua ammonta da’ 12 ai 15 milioni di franchi, prodotti dalle fabbriche di Lione e di Zurigo ed importi da Londra.

Quantunque il serico tessuto dalle etichette appare di esecuzione francese o svizzera, pure come lo scrivente ebbe agio di apprendere in Londra 12 anni or sono, quelle case ritirano dal Lombardo, più specialmente, il prezioso tessuto, facendolo passare come di produzione francese. E Lione stessa ancora, alla sua volta, commette ai nostri industriali per poi porre in commercio, come di propria fabbricazione, i prodotti in parola.

L’uso delle stoffe di seta è immenso in quei paesi.

È ben difficile incontrare una serva che non abbia il suo abito di seta, e non è a meravigliarsi, giacchè una serva non ha meno di 18 a 20 franchi di salario per settimana, bene inteso, oltre al vitto e all’alloggio.

I nastri di seta sono anco di rilevantissi[p. 295 modifica]mo consumo e sono più generalmente apprezzati quelli alti e di vivi colori.

Guanti. — Dall’esportazione che fa la sola Napoli per Londra si può valutare l’importanza di questa industria, e l’utile che se ne ricaverebbe, se l’importazione in Australia si facesse direttamente da noi; ma fatalmente, come è detto delle altre produzioni, non giunge in quelle regioni, che sempre pel tramite di Londra.

Non valgono dimostrazioni, per efficaci che siano, a far comprendere quanto rilevante sía il consumo de’ guanti, e di ogni genere di lusso che riguarda la donna. Si trascura volentieri d’indossare un abito elegante per un altro modesto, pure di calzare i guanti. Senza guanto una Signora ed anco una serva molto difficilmente vanno per istrada.

Ceramica. — Questa nostra stupenda specialità artistica che va ora rigogliosamente risorgendo per l’impulso d’un insigne personaggio, il Principe Gaetano Filangieri, il cui incitamento sta per fecondare fruttuosi successi, troverà anco colà indubbiamente il suo favore, specialmente per taluni lavori, che ho ragione di saperli apprezzati e ricercati.

Terraglie. — L’Inghilterra, la Germania e la Francia esportano dovunque ogni prodotto delle loro industrie e non ultima la terraglia.

Si sà, che quella inglese è la preferita, ed è da tutti con ragione apprezzata. Eppe[p. 296 modifica]rò per i suoi pregi si fa anco ben rimunerare, perciò non tutti esclusivamente se ne provvedono.

Noi pure quindi di questa industria potremmo ricavarne vantaggi, e sì per la qualità come per il modico prezzo riesciremo fra gli altri, iniziare il nostro concorso» 11.


7. «Dio volesse, che questo mio lavoro invogliasse alcuno Italiano a viaggi proficui ad ogni guisa di scienze; che pur troppo dai nostri giorni la schiatta dei Marco Polo è al tutto spenta, e nessuno v’ha ch’io sappia, il quale allettato dall’amor della scienza, dia l’addio all’Italia per viaggiare in luoghi ricchi di produzioni naturali, di monumenti, d’iscrizioni, o di preziosi manoscritti, i quali da lui studiati recassero alla storia naturale all’etnografia, alla geografia, alla storia, alla filologia utili scoperte, che facessero meritevole la nostra patria di sedere accanto alle altre nazioni più dotte d’Europa in questo genere di studi, come per la sua savia politica è stata reputata degna di convenire nei consigli della diplomazia» 12.

Così il Sapeto poneva termine al suo pre[p. 297 modifica]gevole volume, pubblicato nel 1847, e da me più volte rammentato.

Ma le sue forti ed aspre rampogne, ben meritate al tempo in cui egli scriveva, sarebbero ora ingiustissime e del tutto immeritate; poichè non vi è quasi un punto solo dell’Africa, fin oggi conosciuto, che non porti impresse orme italiane. E numerosa è la falange dei dotti ed arditi viaggiatori nostri che, coi loro studii, le loro esplorazioni, e le loro scoperte, contribuirono largamente ad arricchire la geografia dell’Africa portentosa.

Non ho la pretesa di fare un elenco minuto di tutti i nostri concittadini che viaggiarono in quella parte del mondo, e dei nostri missionarii che ivi sparsero per lunghi anni il seme della vera civiltà: rammenterò soltanto quei nomi che i miei modesti studii geografici e la mia memoria mi suggeriscono.

Dal 1840 al 1880 furono in Africa i Missionarii Dejacobis e Montuori, il P. Felicissimo da Cortemiglia, l’Ab. Beltrami: E. Casalis vi dimorò per ventitre anni, e l’E. Cardinale Massaia per ben trentacinque anni nell’Abissinia meridionale. Miani al Mombuttù; Gessi, strenuo abolizionista della schiavitù nelle province dell’alto Nilo, nel Sudan, e nelle province equatoriali dell’Egitto. Antinori, Issel, Beccari O. furono nei Bogos a scopo scientifico e per riferire sulla colonia [p. 298 modifica]di Sciotel. Beccari G. B. viaggiò per studii commerciali sulle coste del Mar Rosso; ed il Pennazzi nell’Abissinia e nel Sudan Orientale. Antinori, Chiarini, Cecchi, Martini formarono la spedizione diretta al Caffa, ed organizzata dalla Società geografica italiana. Matteucci, Borghesi, Massari dal Cairo si recarono al Golfo di Guinea attraversando il Darfur. Matteucci, Bianchi, Vigoni, Ferrari ecc. furono spediti in Abissinia, a scopo commerciale, dalla Società di esplorazione commerciale in Africa di Milano.

Dal 1880 al 1885:

Bianchi, Diana, Monari cercano aprire una nuova via dall’Abissinia ad Assab, e cadono assassinati dai Danachili. Giulietti, Biglieri ed i loro valorosi compagni, da Assab s’inoltrano nell’interno in cerca di una nuova via, e cadono per mano dei Danachili.

Salimbeni dimora tre anni nel Goggiam per costruire un ponte sull’Abai (Nilo azzurro).

Franzoi si reca ardimentosamente a Ghera, per trasportare in Italia le ossa del povero Chiarini.

Bove, Massari, Stassano esplorano il Congo; Camperio, Haimann la Cirenaica. Robecchi-Brichetti tenta aprire una via d’Alessandria (Egitto) a Tripoli per l’oasi di Siwa; Cicognani, Cappucci, Dulio viaggiano nello Scioa; Marazzani Terzi Visconte nell’Abissinia e sulle coste del Mar Rosso. [p. 299 modifica]

Porro ed i suoi infelici compagni sono trucidati nello Harar; e la loro morte fa uscire dal torpore il nostro Governo, il quale dispone l’occupazione di Massaua.

Non era adunque al tutto spenta la schiatta dei Marco Polo; e lo dimostrano all’evidenza i sodalizii, le Società costituitisi allo scopo di studiare ed esplorare l’Africa; ed i nostri numerosissimi viaggiatori e missionarii che percorsero quasi tutta quella terra, rendendo ovunque simpatico e bene accetto il nome italiano.

Eglino ci hanno spianato il cammino, hanno dissodato il terreno, e molti ancora l’hanno fecondato col sangue loro!

Ed ora i nostri soldati entusiasti accorrono in quelle contrade non solo per fertilizzare l’opera dei nostri insigni viaggiatori e missionarii, e per vendicare il prezioso sangue sparso in quelle regioni dai Giulietti, dai Bianchi, dai Porro, e quello dei loro valorosi compagni caduti a Dogali ed a Saati, ma più per un’opera di civiltà: per strappare cioè alla barbarie quegli accidiosi popoli, abolendo ras, razzie, schiavi, e Negus.

I nostri soldati, conquisteranno quelle terre col cannone, colla forza, e col valore; e le spedizioni agricole e commerciali della nostra Società sapranno mantenere saldo alla madrepatria quel diritto di conquista se[p. 300 modifica]guendo le auguste ed antiche tradizioni di Roma.

La messe è ricca, è matura! che aspettiamo adunque per coglierla?

Aspettiamo forse che marcisca? che vada per noi perduta? Ovvero aspettiamo che la colgano, come al solito, gli stranieri e ne gittino a noi le briciole?

Oh! allora ci accorgeremo, ma troppo tardi, che in Abissinia, come in America ed in altre regioni dell’Africa, non abbiam saputo fare altro che l’infelice parte del Figaro!

Ma no; non sarà mai! Non è più possibile tornare indietro, non è più possibile arrestarsi a metà via: l’onore, la dignità, l’interesse nazionale italiano, sono gravemente impegnati nel Mar Rosso.

L’onore fu mantenuto illibato per l’eroico olocausto che, delle loro vite, fecero i cinquecento di Dogali.

E voi giovani valorosi, orgoglio delle vostre famiglie e della terra che vi dette la vita, voi che, cadendo volenterosi sul colle di Dogali, vi rendeste immortali, siate per sempre benedetti,

Finchè nel mondo si favelli o scriva.

La dignità è affidata alle cure di un uomo energico, risoluto, il quale sa ciò che vuole e va sempre diritto e sicuro alla meta: Francesco Crispi.

Tocca a noi dunque, a noi privati citta[p. 301 modifica]dini, unirci insieme in un comune volere, e far sì che non vada disperso tanto lavoro, tanta ricchezza, tanto sangue: Spetta a noi di gittare le basi del più grande, del più solido edifizio coloniale; che sarà oggetto d’invidia per gli stranieri, e fonte inesauribile di prosperità e di ricchezza nazionale.

Note

  1. Sapeto. Op. cit. p. 13.
  2. Cosmo Riccioli. Australia ed Italia, relazione a S. E. il Ministro di Agric. indus. e comm. p. 10. Napoli 1883. 1883.
  3. Cosmo Riccioli. I Commerci coll’Australia (studii fatti nell’Esposizione di Torino) Relazione alla Camera di Commercio, Consiglio Provinciale, Municipio, e Banco di Napoli. P. 67. Napoli 1886.
  4. Sapeto, Op. cit. p. 32.
  5. Sapeto, Op. citata. Pag. 207.
  6. Sapeto, op. cit. p. 59.
  7.       »       »    »    »   374.
  8. Sapeto, Op. citata. Pag. 30 e 31.
  9. Cioè nove franchi!
  10. Memoria sull’ordinamento ecc. ecc. di Massaua, presentata alla Camera dei Deputati dal Ministro degli Esteri, nella tornata del 30 giugno 1886. Pag. 38 e seguenti.
  11. Cosmo Riccioli. Australia ed Italia, Relazione a S. E. il Ministro di Agric. Indus. e Comm. Napoli 1883 Pag. 11 e seguenti.
  12. Sapeto Op. citata Pag. 352.