Saul (Alfieri, 1946)/Atto quarto
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ATTO QUARTO
SCENA PRIMA
Gionata, Micol.
può tornare il mio sposo?
Gion. Ah! no: placato
non è con lui Saúl; benché in se stesso
sia appien tornato: ma profonda è troppo
in lui la invidia; e fia il sanarla lungo.
Torna al tuo sposo, e nol lasciare.
Micol Ahi lassa!...
Chi piú di me infelice?... Io l’ho nascosto
sí ben, ch’uom mai nol troveria: men riedo
ver esso dunque.
Gion. Oh cielo! ecco, sen viene
turbato il padre: ei mai non trova stanza.
Micol Misera me!... Che gli dirò?... Sottrarmi
voglio...
SCENA SECONDA
Saul, Micol, Gionata.
Micol Signor...
Saul Davide ov’è?
Micol ... Nol so...
Saul Nol sai?
Saul Cercane; va; quí tosto il traggi.
Micol Io rintracciarlo?... or,... dove?...
Saul Il re parlotti,
e obbedito non l’hai?
SCENA TERZA
Saul, Gionata.
Gion. Oh padre!... Io t’amo: ma ad un tempo io cara
tengo la gloria tua: quindi, ai non giusti
impeti tuoi, qual figlio opporsi il puote,
io mi oppongo talvolta.
Saul Al padre il braccio
spesso rattieni tu: ma, quel mio ferro,
che ad altri in petto immerger non mi lasci,
nel tuo petto il ritorci. Or serba, serba
codesto David vivo; in breve ei fia...
Voce non odi entro il tuo cor, che grida?
«David fia ’l re». — David? fia spento innanzi.
Gion. E nel tuo core, in piú terribil voce,
Dio non ti grida? «Il mio diletto è David;
l’uom del Signore egli è». Tal nol palesa
ogni atto suo? La fera invida rabbia
d’Abner, non fassi al suo cospetto muta?
Tu stesso, allor che in te rientri, al solo
apparir suo, non vedi i tuoi sospetti
sparir, qual nebbia del pianeta al raggio?
E quando in te maligno spirto riede,
credi tu allor, ch’io tel rattenga, il braccio?
Dio tel rattiene. Il mal brandito ferro
gli appunteresti al petto appena, e tosto
forza ti fora il ritrarlo: cadresti
tu stesso in pianto a’ piedi suoi; tu padre,
pentito, sí: ch’empio, nol sei...
vero tu parli. Inesplicabil cosa
questo David per me. Non pria veduto
io l’ebbi in Ela, che a’ miei sguardi ei piacque,
ma al cor non mai. Quando ad amarlo io presso
quasi sarei, feroce sdegno piomba
in mezzo, e men divide: il voglio appena
spento, s’io il veggo, ei mi disarma, e colma
di maraviglia tanta, ch’io divento
al suo cospetto un nulla... Ah! questa al certo,
vendetta è questa della man sovrana.
Or comincio a conoscerti, o tremenda
mano... Ma che? donde cagione io cerco?...
Dio, non l’offesi io mai: vendetta è questa
de’ sacerdoti. Egli è stromento David
sacerdotale, iniquo: in Rama ei vide
Samuél moribondo: a lui gli estremi
detti parlava l’implacabil veglio.
Chi sa, chi sa, se il sacro olio celeste,
ond’ei mia fronte unse giá pria, versato
non ha il fellon su la nemica testa?
Forse tu il sai... Parla... Ah! sí, il sai: favella.
Gion. Padre, nol so: ma se pur fosse, io forse
al par di te di ciò tenermi offeso
or non dovrei? non ti son figlio io primo?
Ove tu giaccia co’ tuoi padri, il trono
non destini tu a me? S’io dunque taccio,
chi può farne querela? Assai mi avanza
in coraggio, in virtude, in senno, in tutto,
David: quant’ei piú val, tanto io piú l’amo.
Or, se chi dona e toglie i regni, il desse
a David mai, prova maggior qual altra
poss’io bramarne? ei piú di me n’è degno:
e condottier de’ figli suoi lo appella
ad alte cose Iddio. — Ma intanto, io giuro,
che a te suddito fido egli era sempre,
a Dio, cui spetta: ed il tuo cor frattanto
contro Dio, contro il ver, deh! non s’induri.
Se in Samuél non favellava un Nume,
come, con semplice atto, infermo un veglio,
giá del sepolcro a mezzo, oprar potea
tanto per David mai? Quel misto ignoto
d’odio e rispetto, che per David senti;
quel palpitar della battaglia al nome,
(timor da te non conosciuto in pria)
donde ti vien, Saulle? Havvi possanza
d’uom, che a ciò basti?...
Saul Oh! che favelli? figlio
di Saúl tu? — Nulla a te cal del trono? —
Ma, il crudel dritto di chi ’l tien, nol sai?
Spenta mia casa, e da radice svelta
fia da colui, che usurperá il mio scettro.
I tuoi fratelli, i figli tuoi, tu stesso...
non rimarrá della mia stirpe nullo...
O ria di regno insazíabil sete,
che non fai tu? Per aver regno, uccide
il fratello il fratel; la madre i figli;
la consorte il marito; il figlio il padre...
Seggio è di sangue, e d’empietade, il trono.
Gion. Scudo havvi d’uom contro al celeste brando?
Non le minacce, i preghi allentar ponno
l’ira di Dio terribil, che il superbo
rompe, e su l’umil lieve lieve passa.
SCENA QUARTA
Saul, Gionata, Abner, Achimelech, Soldati.
scorran per me dell’inimico sangue,
alta cagione a ciò mi sforza. Il prode
non è chi il trovi. Un’ora manca appena
alla prefissa pugna: odi, frementi
d’impazíente ardore, i guerrier l’aure
empier di strida; e rimbombar la terra
al flagellar della ferrata zampa
de’ focosi destrieri: urli, nitriti,
sfolgoreggiar d’elmi e di brandi, e tuoni
da metter core in qual piú sia codardo;...
David, chi ’l vede? — ei non si trova. — Or, mira,
(soccorso in ver del ciel!) mira chi in campo
in sua vece si sta. Costui, che in molle
candido lin sacerdotal si avvolge,
furtivo in campo, ai Benjamíti accanto,
si appiattava tremante. Eccolo; n’odi
l’alta cagion, che a tal periglio il guida.
Achim. Cagion dirò, s’ira di re nol vieta...
Saul Ira di re? tu dunque, empio, la merti?...
Ma, chi se’ tu?... Conoscerti ben parmi.
Del fantastico altero gregge sei
de’ veggenti di Rama?
Achim. Io vesto l’Efod:
io, dei Leviti primo, ad Arón santo,
nel ministero a che il Signor lo elesse,
dopo lungo ordin d’altri venerandi
sacerdoti, succedo. All’arca presso,
in Nobbe, io sto: l’arca del patto sacra,
stava anch’ella altre volte al campo in mezzo:
troppo or fia, se vi appare, anco di furto,
il ministro di Dio: straniera merce
è il sacerdote, ove Saulle impera:
pur non l’è, no, dove Israél combatte;
se in Dio si vince, come ognor si vinse. —
Me non conosci tu? qual maraviglia?
e te stesso conosci? — I passi tuoi
ritorti hai dal sentier, che al Signor mena;
stanza ha il gran Dio; lá dove, è giá gran tempo,
piú Saúl non si vede. Il nome io porto
d’Achimeléch.
Saul Un traditor mi suona
tal nome: or ti ravviso. In punto giungi
al mio cospetto. Or di’, non sei tu quegli,
che all’espulso Davidde asilo davi,
e securtade, e nutrimento, e scampo,
ed armi? E ancor, qual arme! il sacro brando
del Filisteo, che appeso in voto a Dio
stava allo stesso tabernacol, donde
tu lo spiccavi con profana destra.
E tu il cingevi al perfido nemico
del tuo signor, del sol tuo re? — Tu vieni,
fellone, in campo a’ tradimenti or vieni:
qual dubbio v’ha?...
Achim. Certo, a tradirti io vengo;
poiché vittoria ad implorare io vengo
all’armi tue da Dio, che a te la niega.
Son io, sí, son, quei che benigna mano
a un Davidde prestai. Ma, chi è quel David?
Della figlia del re non egli è sposo?
Non il piú prode infra i campioni suoi?
Non il piú bello, il piú umano, il piú giusto
de’ figli d’Israél? Non egli in guerra,
tua forza, e ardire? entro la reggia, in pace,
non ei, col canto, del tuo cor signore?
Di donzelle l’amor, del popol gioja,
dei nemici terror; tale era quegli,
ch’io scampava. E tu stesso, agli onor primi,
di’, nol tornavi or dianzi? e nol sceglievi
a guidar la battaglia? a ricondurti
vittoria in campo? a disgombrar temenza
della rotta, che in cor ti ha posta Iddio? —
Se danni me, te stesso danni a un tempo.
sacerdoti crudeli, empj, assetati
di sangue sempre. A Samuél parea
grave delitto il non aver io spento
l’Amalechita re, coll’armi in mano
preso in battaglia; un alto re, guerriero
di generosa indole ardita, e largo
del proprio sangue a pro del popol suo. —
Misero re! tratto a me innanzi, in duri
ceppi ei venia: serbava, ancor che vinto,
nobil fierezza, che insultar non era,
né un chieder pur mercé. Reo di coraggio
parve egli al fero Samuel: tre volte
con la sua man sacerdotale il ferro
nel petto inerme ei gl’immergea. — Son queste,
queste son, vili, le battaglie vostre.
Ma, contra il proprio re chi la superba
fronte innalzar si attenta, in voi sostegno
trova, e scudo, ed asilo. Ogni altra cura,
che dell’altare, a cor vi sta. Chi sete,
chi sete voi? Stirpe malnata, e cruda,
che dei perigli nostri all’ombra ride;
che in lino imbelle avvoltolati, ardite
soverchiar noi sotto l’acciar sudanti:
noi, che fra il sangue, il terrore, e la morte,
per le spose, pe’ figli, e per voi stessi,
meniam penosi orridi giorni ognora.
Codardi, or voi, men che ozíose donne,
con verga vil, con studíati carmi,
frenar vorreste e i brandi nostri, e noi?
Achim. E tu, che sei? re della terra sei:
ma, innanzi a Dio, chi re? — Saúl, rientra
in te; non sei, che coronata polve. —
Io, per me nulla son; ma fulmin sono,
turbo, tempesta io son, se in me Dio scende:
quel gran Dio, che ti fea; che l’occhio appena
d’Agág mal prendi; e nella via d’empiezza
mal tu ne segui i passi. A un re perverso
gastigo v’ha, fuor che il nemico brando?
E un brando fere, che il Signor nol voglia?
Le sue vendette Iddio nel marmo scrive;
e le commette al Filisteo non meno,
che ad Israél. — Trema, Saúl: giá in alto,
in negra nube, sovr’ali di fuoco
veggio librarsi il fero angel di morte:
giá, d’una man disnuda ei la rovente
spada ultrice; dell’altra, il crin canuto
ei giá ti afferra della iniqua testa:
trema, Saúl. — Ve’ chi a morir ti spinge:
costui; quest’Abner, di Satán fratello;
questi, che il vecchio cor t’apre a’ sospetti;
che, di sovran guerrier, men che fanciullo
ti fa. Tu, folle, or di tua casa il vero
saldo sostegno rimovendo vai.
Dov’è la casa di Saúl? nell’onda
fondata ei l’ha; giá giá crolla; giá cade;
giá in cener torna: è nulla giá. —
Saul Profeta
de’ danni miei, tu pur de’ tuoi nol fosti.
Visto non hai, pria di venirne in campo,
che quí morresti: io tel predico; e il faccia
Abner seguire. — Abner mio fido, or vanne;
ogni ordin cangia dell’iniquo David;
che un tradimento ogni ordin suo nasconde.
Doman si pugni, al sol nascente; il puro
astro esser de’ mio testimon di guerra.
Pensier maligno, io ’l veggio, era di David,
scegliere il sol cadente a dar nell’oste,
quasi indicando il cadente mio braccio:
ma, si vedrá. — Rinvigorir mi sento
da tue minacce ogni guerrier mio spirto;
al gran macello ch’io farò, fia poco. —
Abner, costui dal mio cospetto or tosto
traggi, e si uccida...
Gion. Oh ciel! padre, che fai?
Padre...
Saul Taci. — Ei si sveni; e il vil suo sangue
su’ Filistei ricada.
Abner È giá con esso
morte...
Saul Ma, è poco a mia vendetta ei solo.
Manda in Nob l’ira mia, che armenti, e servi,
madri, case, fanciulli uccida, incenda,
distrugga, e tutta l’empia stirpe al vento
disperda. Omai, tuoi sacerdoti a dritto
dir ben potranno: «Evvi un Saúl». Mia destra,
da voi sí spesso provocata al sangue,
non percoteavi mai: quindi sol, quindi,
lo scherno d’essa.
Achim. A me il morir da giusto
niun re può torre: onde il morir mi fia
dolce non men, che gloríoso. Il vostro,
giá da gran tempo, irrevocabilmente
Dio l’ha fermato: Abner, e tu, di spada,
ambo vilmente; e non di ostile spada,
non in battaglia. — Or vadasi. — D’Iddio
parlate all’empio ho l’ultime parole,
e sordo ei fu: compiuto egli è il mio incarco:
ben ho spesa la vita.
Saul Or via, si tragga
a morte tosto; a cruda morte, e lunga.
SCENA QUINTA
Saul, Gionata.
Saul Taci; tel dico ancor. — Tu se’ guerriero? —
Tu di me figlio? d’Israél tu prode? —
Va; torna in Nob; lá, di costui riempi
il vuoto seggio: infra i levitichi ozj
degno di viver tu, non fra’ tumulti
di guerra; e non fra regie cure...
Gion. Ho spento
anch’io non pochi de’ nimici in campo,
al fianco tuo: ma quel che or spandi, è sangue
sacerdotal, non Filisteo. Tu resti
solo a tal empia pugna.
Saul E solo io basto
a ogni pugna, qual sia. Tu, vile, tardo
sii pur domani al battagliare: io solo
Saúl sarò. Che Gionata? che David?
Duce è Saúl.
Gion. Combatterotti appresso.
Deh! morto io possa su gli occhi caderti,
pria di veder ciò che sovrasta al tuo
sangue infelice!
Saul E che sovrasta? morte?
Morte in battaglia, ella è di re la morte.
SCENA SESTA
Micol, Saul, Gionata.
Micol Ritrovar nol posso...
Saul Io ’l troverò.
tuo sdegno...
Saul Ha l’ali, e il giungerá, il mio sdegno.
Guai, se in battaglia David si appresenta:
guai, se doman, vinta da me la guerra,
tu innanzi a me nol traggi.
Micol Oh cielo!
Gion. Ah! padre...
Saul Piú non ho figli. — Infra le schiere or corri,
Gionata, tosto. — E tu, ricerca, e trova
colui.
Micol Deh!... teco...
Saul Invan.
Gion. Padre, ch’io pugni
lungi da te?
Saul Lungi da me voi tutti.
Voi mi tradite a prova, infidi, tutti.
Itene, il voglio: itene al fin; lo impongo.
SCENA SETTIMA
Saul.
(misero re!) di me solo io non tremo.