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atto quarto 45
Davidde, il forte, in cui vittoria è posta,

non è chi il trovi. Un’ora manca appena
alla prefissa pugna: odi, frementi
d’impazíente ardore, i guerrier l’aure
empier di strida; e rimbombar la terra
al flagellar della ferrata zampa
de’ focosi destrieri: urli, nitriti,
sfolgoreggiar d’elmi e di brandi, e tuoni
da metter core in qual piú sia codardo;...
David, chi ’l vede? — ei non si trova. — Or, mira,
(soccorso in ver del ciel!) mira chi in campo
in sua vece si sta. Costui, che in molle
candido lin sacerdotal si avvolge,
furtivo in campo, ai Benjamíti accanto,
si appiattava tremante. Eccolo; n’odi
l’alta cagion, che a tal periglio il guida.
Achim. Cagion dirò, s’ira di re nol vieta...
Saul Ira di re? tu dunque, empio, la merti?...
Ma, chi se’ tu?... Conoscerti ben parmi.
Del fantastico altero gregge sei
de’ veggenti di Rama?
Achim.   Io vesto l’Efod:
io, dei Leviti primo, ad Arón santo,
nel ministero a che il Signor lo elesse,
dopo lungo ordin d’altri venerandi
sacerdoti, succedo. All’arca presso,
in Nobbe, io sto: l’arca del patto sacra,
stava anch’ella altre volte al campo in mezzo:
troppo or fia, se vi appare, anco di furto,
il ministro di Dio: straniera merce
è il sacerdote, ove Saulle impera:
pur non l’è, no, dove Israél combatte;
se in Dio si vince, come ognor si vinse. —
Me non conosci tu? qual maraviglia?
e te stesso conosci? — I passi tuoi
ritorti hai dal sentier, che al Signor mena;