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atto quarto 49
son io ’l duce domane; intero il giorno,

al gran macello ch’io farò, fia poco. —
Abner, costui dal mio cospetto or tosto
traggi, e si uccida...
Gion.   Oh ciel! padre, che fai?
Padre...
Saul   Taci. — Ei si sveni; e il vil suo sangue
su’ Filistei ricada.
Abner   È giá con esso
morte...
Saul   Ma, è poco a mia vendetta ei solo.
Manda in Nob l’ira mia, che armenti, e servi,
madri, case, fanciulli uccida, incenda,
distrugga, e tutta l’empia stirpe al vento
disperda. Omai, tuoi sacerdoti a dritto
dir ben potranno: «Evvi un Saúl». Mia destra,
da voi sí spesso provocata al sangue,
non percoteavi mai: quindi sol, quindi,
lo scherno d’essa.
Achim.   A me il morir da giusto
niun re può torre: onde il morir mi fia
dolce non men, che gloríoso. Il vostro,
giá da gran tempo, irrevocabilmente
Dio l’ha fermato: Abner, e tu, di spada,
ambo vilmente; e non di ostile spada,
non in battaglia. — Or vadasi. — D’Iddio
parlate all’empio ho l’ultime parole,
e sordo ei fu: compiuto egli è il mio incarco:
ben ho spesa la vita.
Saul   Or via, si tragga
a morte tosto; a cruda morte, e lunga.


 V. Alfieri, Tragedie - III. 4