Satire di Tito Petronio Arbitro/Nomi che leggonsi nelle satire
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NOMI
CHE LEGGONSI NELLE SATIRE
di
PETRONIO ARBITRO
Abinna, piccolo Magistrato di campagna, la cui giurisdizione credo press’a poco simile a quella de’ nostri Deputati o Rettori di Comunità. Uomo viziosissimo, epperò di Trimalcione, ossia di Nerone, intimo amico.
Agamennone, nome già dato da Varrone ad un pedante declamatore da lui satireggiato nella sua Virgula divina, per la ragione che Agamennone Re de’ Re presso Omero è lungo e instancabile parlatore. Petronio, imitando Varrone, lo ha applicato ad Anneo Seneca, retore e filosofo precettor di Nerone, il quale diffatto nella cena di Trimalcione lo chiama suo maestro. Seneca fu predicator di morale e ne scrisse ex-professo, come ognun sa; ma è fama ch’ei fosse di coloro i quali, giusta il proverbio, vogliono che si faccia com’essi dicono, e non come fanno. Nè povero, nè temperante, nè liberale era costui, ma ricchissimo, e tal divenuto per le concussioni ed usure esercitate in varie provincie dell’impero. E perchè più volte Petronio prende a parlare di lui, come d’uomo che cortigiano ed accortissimo era, e però lo conoscea nella cute, così stimo opportuno di riferire i rimproveri che Tacito nel tredicesimo degli Annali racconta avergli pubblicamente fatto Publio Suilio in occasione di non so qual giudizio. Suilio adunque lo accusò che perseguitava gli amici di Claudio, perchè egli ne fu giustamente scacciato; che avezzo a insegnare a’ giovani lettere da trastullo, odiava chi difendeva i cittadini con viva e reale eloquenza; che era stato questor di Germanico, e adultero di quella casa... Qual sapienza, quai filosofi avergli insegnato, in quattro anni ch’ei serve la corte raspare sette milioni e mezzo d’oro? A’ testamenti, a’ ricchi senza erede tendere le lungagnole per tutta Roma; l’Italia e le provincie con le canine usure seccare. (Davanzati) Queste parole ho creduto di riportare, acciò contro me non si adiri l’animo virtuoso di Teodoro Accio da Asti che in una nota della recente sua aurea traduzione di Giovenale prende vivamente le difese di Seneca contro coloro che il dichiarano un impostore. Veggasi poi come di quei ricchi senza erede, e de’ speculatori di eredità da Petronio si parli, e nuove freccie ritengansi, che egli intende vibrare all’avarizia di Seneca precettore, e di Nerone discepolo.
Agatone, profumiere.
Aiace, scalco di Trimalcione.
Ammea, già corteggiato da Trimalcione.
Appellete, forse un comico.
Ascilto, giovane dissoluto, amico di Encolpo, poi venuto a discordia con lui, indi rappattumatosi. Egli è un discolo in tutti i sensi. Per l’un caso la natura gli fu generosa de’ doni suoi; per l’altro il suo aspetto e la maestria lo rendevano amabile. In questo personaggio immaginario ha forse Petronio voluto descrivere alcun giovinastro di Roma e della corte.
Bargate, Ispettore di polizia.
Barone, giocoliere.
Calva, servo favorito di Abinna.
Carrione, schiavo di Trimalcione viaggiatore.
Cassandra, menzionata da Trimalcione ne’ suoi discorsi eruditi.
Cerdone, uno dei Penati di Casa Trimalcione.
Cicarone, figliuol di Enchione, il qual ne conta prodigi.
Cinnamo, tesoriere di Trimalcione, Giovenale nella prima e nella decima delle sue Satire parla di un Cinnamo stato barbiere, e poi salito ad agiatissima condizione.
Circe, gentildonna di Crotone, bella, galante e capricciosa. Alcuni hanno creduta ch’ella rappresenti Silia, già amica di Petronio, come abbiamo veduto in Tacito.
Corace, servitore mercenario di Eumolpione, e ministro di sue lussurie. La sua qualità prova che i Romani non solamente si contornavano di schiavi, quanti ne potean mantenere, come si vedrà in Trimalcione, ma altresì di uomini liberi, cui davan salario, come si usa fra noi.
Corinto, Orefice.
Creso, favorito di Trimalcione.
Crisanto, galantuomo di cui si narra a tavola vita, morte e miracoli.
Criside, cameriera di Circe, capricciosa e galante, quanto la signora sua, e forse non meno bella.
Dedalo, cuoco di Trimalcione.
Diogene Cajo Pompeo, uno de’ commensali la cui storia non è assai rara anche ai dì nostri.
Dionisio, giovane schiavo di Trimalcione, da lui in tempo della cena fatto libero.
Doride, moglie di Lica; ritratto di qualche moglie Romana de’ tempi di Nerone.
Efeso, recitator di tragedie.
Enchione, commensale.
Encolpo, nome del Protagonista di tutta la Satira, in bocca del quale ella è messa. Sotto questo nome Petronio rappresenta qualche insigne cattivello, seppur non parla di sè medesimo, comunque a lui non convengano nè la povertà, nè la rapacità, che gli attribuisce. M’induce a credere che esso prima sotto il nome di Encolpo, e poi di Polieno nasconda sè medesimo, sì perchè a guisa di testimonio e compagno rinfaccia a Nerone le di lui tresche ed infamità, come perchè il morde sulla concorrenza per Silia, la qual può supporsi esser la donna chiamata Circe, o l’altra per nome Trifena. Oltre a ciò la filosofia di Encolpo parmi tanto d’accordo con quella che Tacito attribuisce a Petronio, che la supposizione diventa a’ miei occhi del tutto probabile.
Endimione, ragazzo.
Enotea, sacerdotessa di Priapo. L’autore ha introdotto varie superstizioni e pie stravaganze della religion de’ pagani, a fine di dar la baia a Nerone, che tutte le proteggeva, senza che sempre le adottasse.
Ermero, sfacciatissimo liberto di Trimalcione; costui sarà stato sicuramente il ritratto di alcuno dei favoriti.
Ermogene, nominato in grazia della figlia sua, moglie di Glico.
Eso, viaggiatore, e cagion de’ malanni, che avvengono nel vascello di Lica. La faccenda di quel vascello, come altri ha ben riflettuto, non è che un accomodamento della favola, onde darle ordine e progressione.
Eumolpione. Ecco un soggetto principalissimo della Satira. Io tengo per fermo che lo schizzinoso Petronio abbia voluto dipingere in lui tanto Nerone, quanto il poeta Lucano della famiglia degli Annei, e fratello o cugino di Seneca, come ognun sa; nè io sono il primo ad avere siffatta opinione. Egli è troppo noto che Nerone avea la smania di far versi, e di declamarli, ed è ugualmente notissimo quanto mal riuscisse ne’ primi, e il poco garbo, che avea nella declamazione, sebbene riportasse corona di attore eccellente. Ora Eumolpione è introdotto ridicolo recitator d’Epigrammi, e sì fastidioso e seccante, che ad ogni tratto ne busca di buone sassate; ed è pure il più lascivo e maligno vecchietto del mondo. Nè il rappresentarlo vecchio e calvo osta all’allusione, perchè è costume de’ satirici il rendere più che possono caricato il loro soggetto. Ciò tuttavia può meglio convenire a Lucano, cui parimenti quel nome ferisce. Perchè il poemetto della Guerra Civile, che si fa recitare ad Eumolpione, è una delle migliori cose di questo libro, e Petronio, benchè non gli avesse data l’ultima mano, com’egli si esprime, ha con esso voluto insegnare allo scrittore della Farsaglia, che un poema epico non si detta altrimenti a guisa d’una gazzetta in versi, com’altri ha detto, ma esige fuoco, sublimità, scelta, e ridondanza d’immagini, giusta il modello che ne presenta.
Felicione, nome di un Dio lare di Trimalcione.
Filargiro, schiavo di Trimalcione.
Filero, legista di Roma, altre volte facchino.
Filerone, insieme a Plocrimo, Seleuco, Echione, Ganimede, Nicerota, ed altri, tutti liberti di Trimalcione, è un di coloro, che dialogizzano in tempo della cena. Costoro non altro possono raffigurare, che uno stuolo di viziosi, mal educati, e di nessuna origine, favoriti dal principe, i quali sono divenuti ricchi, non si sa come, del che principalmente intende l’autore satirizzarli.
Filomena, donna Crotonese, la quale in sua gioventù erasi applicata a buscarsi qualche eredità; speculazione allora in pratica presso le scostumate persone di Roma, come si disse alla voce Agamennone e come si ha da Orazio, Marziale, Giovenale, e da quasi tutti gli scrittori contemporanei. Divenuta vecchia introduce due suoi giovinetti figliuoli in casa Eumolpione, uomo celibatario, e creduto ricco, prostituendoli con quella speranza di successione alla di lui brutalità.
Fortunata, schiava giunta ad esser moglie di Trimalcione, e degna di tal marito. Alcuni pretendono doversi in essa conoscere Attea liberta di Nerone, e sì amata da lui, che postosi in capo di farsela moglie acciò il Senato non si opponesse, la disse nata di real sangue, ed ebbe testimonj che ne fecero fede.
Ganimede. V. Filerone.
Gaville, donna del contado.
Gitone, vezzoso giovinetto amato ardentemente da Encolpo, cui Ascilto il contrasta. Il Balillo di Anacreonte l’Alessi di Virgilio, e il Gitone di Petronio sono press’a poco la medesima cosa.
Giulio Proculo, commensale di Trimalcione divenuto ricchissimo da becchino ch’egli era, poi impoveritosi pei disordini.
Glico, uomo ricco, la cui moglie dilettavasi più del suo cassiere, che di lui.
Gorgia, aspirante alla eredità di Eumolpione.
Lica. Se con questo nome non ha voluto Petronio prender di mira qualche gran barbassoro di Nerone, e impiegato nelle cose di mare o di traffico, siccome è probabile egli può avervi nascosto Nerone istesso, onde rappresentandolo in diverse figure mostrar ch’egli era dissoluto e brutale in tutte le situazioni della sua vita.
Licurgo, Patrizio Romano, che s’invaghisce di Ascilto il qual finisce per isvaligiargli la casa. Esempio di quegli imbecilli, che di altro non si danno pensiero che dei loro piaceri.
Lucrone, altro degli Iddii domestici di Trimalcione.
Mammea, ricco cortigiano, e forse rival di Norbano.
Manicio, padron di locanda.
Margarita, nome della cagnuola di Creso.
Massa, schiavo favorito di Abinna.
Melissa, moglie di Terenzio locandiere, amata da Nicerota.
Menecrate, maestro di cappella.
Menelao, ripetitor nel Ginnasio.
Mìnofilo, schiavo di Trimalcione.
Miselio, già servo di Scissa.
Mitridate, schiavo di cui si legge la morte.
Nicerota. V. Filerone.
Norbano. Alcuni interpreti suppongono ch’ei rappresenti Tigellino, il gran favorito di Nerone.
Pannicchina, ragazza di sett’anni, la quale nelle orgie notturne descritte vivamente dall’autore è fatta sposa del bel fanciullo Gitone.
Pansa, padre del cuoco di Trimalcione.
Plocrimo, V. Filerone.
Polieno, altro nome, che Petronio dà a sè medesimo, avendol dato ad Encolpo. Questo giovine incontra varie avventure amorose, che sono leggiadramente narrate. Ma non soddisfacendo egli all’ardore di Circe, gli convien soffrire umiliazioni e fastidj. Che se abbiasi ad intendere che il nome di Polieno celi quel di Nerone, come altri ha voluto, avremo allora un’altra figura di codesto principe, derisa e resa pubblica per infamarlo. Polieno è in forma di schiavo, e Tacito racconta che spesse volte Nerone vestivasi in questa forma, e andava la notte ai bagordi e bordelli, ove sentiva di esser meglio che in trono.
Pompeo, V. Diogene.
Priamo, uno de’ parlatori al convito.
Proculo. V. Giulio.
Proselenide, vecchia incantatrice, che si propone di restituire a Polieno le forze mancategli. Nuovo frizzo alla sciocca superstizione de’ Romani, ed a quella di Nerone, il qual per altro in questo caso manifesta di non prestarvi fede. E ciò mi è di ulteriore argomento a credere che Polieno sia Petronio medesimo, che degli altri parlando, sè medesimo non risparmia, sì per abbellir variamente il suo libro, come per acquistarsi maggior credenza ne’ leggitori.
Psiche, damigella di Quartilla, e ministra de’ suoi capricci. Criside e Psiche sono il ritratto di tutte le cameriere delle donne galanti. Questo nome di Psiche, come quelli di Circe, Doride, e simili, fa conoscere che fu sempre costume nel mondo gentile e voluttuoso di torre ad imprestito i nomi più graziosi delle favole e de’ romanzi, ed appropriarseli.
Quartilla, sacerdotessa di Priapo, e molto divota di lui.
Safinio, uomo, di cui raccontasi a tavola.
Scauro, romano, la cui villeggiatura era nella Campania.
Scilace, cane di Trimalcione.
Scintilla, moglie di Abinna, donnicciuola loquace ed insipida, quale sarà stata alcuna di coloro che erano ammesse ai crocchj neroniani; ma non si potrebbe plausibilmente affermare, anzi pur sospettare, chi abbia l’autore voluto in essa percuotere.
Scissa, uomo ricco della Campania.
Scilano, uno de’ commensali, come Filerone. Nella Satira 10. Giovenale rammenta un personaggio di simil nome, e di egual merito.
Serapa, zingaro greco.
Stico, servo di Trimalcione.
Terenzio, oste.
Tito. V. Diogene.
Trifena, donna dal buon tempo, mantenuta da Lica, e che innamorasi di Encolpo e di Gitone. Si direbbe che Petronio abbia voluto mordere in lei l’incostanza e la sfrontatezza di gran parte di quelle femmine, che noi chiamiamo mantenute.
Trimalcione, eroe principale della Satira, uomo estremamente appassionato d’ogni sorta di voluttà, fornito di vivacità e di cognizioni confusamente ammassate, e ritratto principal di Nerone, al quale, come abbiam veduto più sopra, fu già coniata una medaglia con questo nome.
Trincia, scalco di Trimalcione.