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costui, ma ricchissimo, e tal divenuto per le concussioni ed usure esercitate in varie provincie dell’impero. E perchè più volte Petronio prende a parlare di lui, come d’uomo che cortigiano ed accortissimo era, e però lo conoscea nella cute, così stimo opportuno di riferire i rimproveri che Tacito nel tredicesimo degli Annali racconta avergli pubblicamente fatto Publio Suilio in occasione di non so qual giudizio. Suilio adunque lo accusò che perseguitava gli amici di Claudio, perchè egli ne fu giustamente scacciato; che avezzo a insegnare a’ giovani lettere da trastullo, odiava chi difendeva i cittadini con viva e reale eloquenza; che era stato questor di Germanico, e adultero di quella casa... Qual sapienza, quai filosofi avergli insegnato, in quattro anni ch’ei serve la corte raspare sette milioni e mezzo d’oro? A’ testamenti, a’ ricchi senza erede tendere le lungagnole per tutta Roma; l’Italia e le provincie con le canine usure seccare. (Davanzati) Queste parole ho creduto di riportare, acciò contro me non si adiri l’animo virtuoso di Teodoro Accio da Asti che in una nota della recente sua aurea traduzione di Giovenale prende vivamente le difese di Seneca contro coloro che il dichiarano un impostore. Veggasi poi come di quei ricchi senza erede, e de’ speculatori di eredità da Petronio si parli, e nuove freccie ritengansi, che egli intende vibrare all’avarizia di Seneca precettore, e di Nerone discepolo.
Agatone, profumiere.
Aiace, scalco di Trimalcione.
Ammea, già corteggiato da Trimalcione.
Appellete, forse un comico.
Ascilto, giovane dissoluto, amico di Encolpo, poi venuto a discordia con lui, indi rappattumatosi. Egli è un discolo in tutti i sensi. Per l’un caso la natura gli fu generosa de’ doni suoi; per l’altro il suo aspetto e la maestria lo rendevano amabile. In questo personaggio immaginario ha forse Petronio voluto descrivere alcun giovinastro di Roma e della corte.