Satira I

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Aulo Persio Flacco - Satire (I secolo)
Traduzione dal latino di Vincenzo Monti (1803)
Satira I
Prologo II


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SATIRA I.


Il Poeta, e un Amico.


O cure umane! o quanto voto in tutto!
          Chi leggerà tai ciance? P. Ehi, parli meco?
          3A. Niun certo. P. Niuno? A. O niuno, o due: ve’ brutto
Caso. P. E perchè? Polidamante, e seco
          Le nostre Troe von forse a Labeone
          6Pospormi? Inezie. Se mi scarta il cieco
Quirin, tu nol seguir, nè opiníone
     Storta in tal lance raddrizzar. Te stesso
     9Cerca in te stesso: perciocchè di buone
Teste in Roma... Ah se il dir fusse permesso?
     Ma permesso gli è sì, se l’invecchiate
     12Barbe osservo, e il mal vivere d’adesso,
E tutto che facciam, quando lasciate
     Le noci sputiam tondo: allora allora
     15A chi satire scrive perdonate.
A. Nol posso. P. Che far dunque? Il riso fuora
     Della milza mi scoppia. — In chiusa stanza
     18Noi prosator, noi vati ad or ad ora
Qualche cosa scriviam d’alta importanza,
     Che polmon largo aneli. — E tu bianchito
     21Per nuova toga, e il crine in eleganza,

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Indi la gemma natalizia al dito,
     Quest’alte cose al pubblico cospetto
     24Leggi eccelso, col gozzo ammorbidito
Dai gargarizzi, e con svenuto occhietto.
     E i gran Titi vedrai girsene in guazzo,
     27E smodarsi, e applaudir tutti in falsetto,
Come il verso ne’ lombi entra, e in gavazzo
     Mette gl’imi precordj. E alle costoro
     30Orecchie tu dai pasco, o vecchio pazzo?
All’orecchie di tai, ch’uopo t’è loro,
     Benché sfrontato, gridar: basta? — Oh bella!
     33Che val ch’io faccia del saper tesoro,
Se il fregolo che il corpo mi rovella,
     Se questo caprifico con me nato
     36Non sbuccia dalla rotta coratella?
— Ecco dunque il perché smorto e grinzato
     T’ha lo studio! O costumi! E fia che resti
     39Nulla il saper se altrui non è svelato?
— Bello è l’ir mostro a dito, e udir: gli è questì.
     L’andar dettato a lezíon di cento
     42Nobili intonsi per sì poco avresti?
— Ecco, tra il ber, di carmi aver talento
     I satolli Quiriti; ecco un cotale,
     45Che involto in giacintin paludamento
Ti balbutisce con voce nasale
     Certi suoi rancidumi, e l’Issifile,
     48La Fillide, o argomento altro ferale
Recitando distilla, e per sottile
     Laringe invia la voce leziosa.
     51Bravo! gridan gli eroi; bravo! gentile!

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Or non è veramente avventurosa
     Di quel vate la cenere? e su l’ossa
     54Più lieve il cippo sepolcral non posa?
Non vuoi che l’ombra a quel plauso riscossa
     Si ringalluzzi, e nascan le víole
     57Dal fortunato rogo e dalla fossa?
Tu scherzi, mi rispondi, e non si vuole
     Poi tanta muffa al naso. Ov’è chi sdegni
     60Alte d’applauso popolar parole?
E lasciar versi, che di cedro degni
     D’acciughe nè d’aromi abbian paura?
     63O tu, chiunque io finsi a’ miei disegni
Avversario; non io, se per ventura
     Scrivo alcun chè di meglio, (e raro uccello
     66È questo meglio nella mia scrittura)
Non io temo la lode, chè baccello
     Non son: ma dell’onesto io non colloco
     69L’ultimo fin ne’ tuoi: oh bravo! oh bello!
Pesa quel bello: a che riesce il gioco?
     L’Ilíade d’elleboro bríaca
     72D’Azzio i’ non vengo a sdolcinar; tampoco
L’elegíuzze, che indigesto caca
     Il patrizio, nè quanto altri in forbito
     75Desco di cedro a scrivacchiar si sbraca.
In tavola tu sai caldo arrostito
     Dar di scrofa il saíme, e al lodatore
     78Morto di freddo un ferrajol sdruscito.
Parlami il ver, gli dici, ho il vero a core.
     Come parlarlo? Il vuoi da me? La fogna
     81D’un ventre sporto un piede e mezzo in fuore

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Ti fa dir gofferie, che fan vergogna,
     Vate spelato. Te felice, o Giano,
     84Cui le terga beccò niuna cicogna;
Nè del ciuccio imitò mobile mano
     L’orecchie, nè la lingua sizíente
     87D’Apula cagna beffator villano.
Ma tu patrizio sangue, che veggente
     Non hai la nuca, volgiti e t’invola
     90Al rider che ti fa dietro la gente.
— Roma che dice. — Uh! che ha da dir? Che or cola
     Molle il tuo verso, egual, liscio sì bene,
     93Ch’aspra ugna non v’intacca: ogni parola
Tiri a fil di sinopia: o regie cene,
     O il vizio biasmi, o il lusso, di gran lampo
     96Febeo la Musa il suo cantor sovviene.
Ecco d’eroici sensi menar vampo
     Cianciator grecizzante; e lo stivale
     99Non sa un bosco schizzar, dire un bel campo,
Corbe, porci, capanne, e le di Pale
     Fumanti stoppie; donde Remo uscío,
     102E tu logrante al solco il vomerale,
Quinzio, cui la consorte ansia vestío
     Nanti a’ buoi dittator, mentre il littore
     105Riconducea l’aratro. Affedidio
Bravo poeta! V’ha chi scritta in core
     Tien d’Accio la Briseide venosa;
     108Tal altro di Pacuvio è ammiratore,
E dell’Antiope sua bittorzolosa
     Il cor gramo soffulta di sventura.
     111Or come vedi i lippi padri a josa

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Insinuar ne’ figli esta lordura,
     Chiedi tu donde viene alla favella
     114Questa sì rancia del parlar frittura?
Questo smacco di stile, a cui la bella
     Guancia lisciato, e di piacer furente
     117Per le panche il zerbino ti saltella?
Orator di canuto e reo cliente,
     Onta non hai del non saper salvarlo,
     120Se non t’odi quel fiacco, egregiamente?
Se’ ladro, un dice a Pedio. A refutarlo
     Pedio che fa? In antitesi a capello
     123Libra i suoi furti. E allor lodarlo, alzarlo
Perchè ben pianta i tropi. Oh questo è bello!
     Bello? ehi, Quirin! se’ forse in frega andato?
     126E i’ movermi? io trar fuori il quattrinello
Se cantando mel chiede un naufragato?
     Porti agli omeri il voto nelle rotte
     129Vele dipinto, e canti, o sciagurato?
Pianga lagrime vere, e non la notte
     Parate, chi a suoi lai mi vuole inchino.
     132— Ma nerbo cresce e grazia alle mal cotte
Rime. — Oh! si vede. Il Berecinzio Atino,
     Bella chiusa di verso! e mi s’accosta
     135Quel che il glauco Nereo spacca delfino.
Cosi, sottrammo al lungo Apennin costa
     Dolce assai. — Ma non è voto midollo
     138Canto l’armi e l’eroe, e tutta crosta?
— Certo: un ramaccio in gran sughera frollo.
     — Quali adunque son versi in tuo pensiero
     141Molli, e da dirsi inflesso alquanto il collo?

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Mimallonj rimbombi i corni empiero
     Ritorti; ed Evio una Baccante intuona
     144Presta a tagliar la testa a toro altero;
E la Menade insana, che scozzona
     Coi corimbi la lince, Evio ripete;
     147La reparabil Eco al suon risuona.
Or se scorresse in noi delle segrete
     Pallottole paterne un solo spruzzo,
     150Queste mattezze si farian? Vedete
Peregrino giojel, che sul labbruzzo
     Nuota stemprato a fiore di saliva!
     153Menade, e Atino in molle! e il poetuzzo
Nè scaffal batte, nè rode ugna viva.
     A. Ma con mordace verità, chè vale
     156Punger tenere orecchie? E se t’arriva,
Che si ghiaccin de’ grandi a te le scale?
     Statti all’erta: la lettera canina
     159Nei nasi illustri ringhia. P. Una cotale
Merce la sia per me dunque divina.
     Non m’oppongo: allegría; tutti, sì tutti
     162Siete versi stupendi. A. Or ben cammina.
P. Niun quì, dici, a sgravar l’alvo si butti:
     E tu due serpi vi dipingi, e al piede:
     165Pisciate altrove, è sacro il loco, o putti.
Me la batto. Ma che? Libero fiede
     Lucilio la città; frange il sannuto
     168Dente in Lupo, ed in Muzio: il pel rivede
Tutto al ridente amico suo l’astuto
     Flacco, e per entro al cor ti scherza, esperto
     171Nel sospender la gente al naso acuto.

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E s’io fiato è delitto? nè coperto,
     Nè manco dirla in buca èmmi permesso?
     174A. No. P. Pur la voglio sotterrar quì certo.
Ho visto, ho visto, o mio libretto, io stesso:
     Mida ha d’asin l’orecchie. Un cotal mio
     177Rider da nulla, e mormorar sommesso
No con nessuna Iliade per dio
     Nol baratto. O chiunque hai nelle vene
     180Dell’audace Cratino il brulichío,
E d’Eupoli, e del gran vecchio d’Atene
     Impallidisci su le carte irate,
     183Guarda ancor queste, se per man ti viene
Cosa che vaglia. Orecchie vaporate
     A quelle fonti io cerco, e cor di foco;
     186Non lettor, che in iscarpe inzaccherate
Delle greche pianelle si fa gioco,
     E vuoi dir losco al losco, e si dà prezzo,
     189Chè fatto Edil municipal di poco,
Superbo dell’onor ruppe in Arezzo
     Le false mine. Nè buffon dimando
     192A schernir linee su la polve avvezzo,
E calcoli in lavagna; sghignazzando
     Se proterva bagascia la severa
     195Barba al Cinico svelle. Io costor mando
La mane in piazza, e al lupanar la sera.