Ti fa dir gofferie, che fan vergogna,
Vate spelato. Te felice, o Giano, 84Cui le terga beccò niuna cicogna;
Nè del ciuccio imitò mobile mano
L’orecchie, nè la lingua sizíente 87D’Apula cagna beffator villano.
Ma tu patrizio sangue, che veggente
Non hai la nuca, volgiti e t’invola 90Al rider che ti fa dietro la gente.
— Roma che dice. — Uh! che ha da dir? Che or cola
Molle il tuo verso, egual, liscio sì bene, 93Ch’aspra ugna non v’intacca: ogni parola
Tiri a fil di sinopia: o regie cene,
O il vizio biasmi, o il lusso, di gran lampo 96Febeo la Musa il suo cantor sovviene.
Ecco d’eroici sensi menar vampo
Cianciator grecizzante; e lo stivale 99Non sa un bosco schizzar, dire un bel campo,
Corbe, porci, capanne, e le di Pale
Fumanti stoppie; donde Remo uscío, 102E tu logrante al solco il vomerale,
Quinzio, cui la consorte ansia vestío
Nanti a’ buoi dittator, mentre il littore 105Riconducea l’aratro. Affedidio
Bravo poeta! V’ha chi scritta in core
Tien d’Accio la Briseide venosa; 108Tal altro di Pacuvio è ammiratore,
E dell’Antiope sua bittorzolosa Il cor gramo soffulta di sventura. 111Or come vedi i lippi padri a josa