Satire (Alfieri, 1903)/Satira decimaprima. La filantropineria
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SATIRA DECIMAPRIMA.
LA FILANTROPINERIA.
Πάντες γὰρ αὐθήμερον ἀξιοῦσιν οὐχ ὅπως ἵσοι, ἀλλὰ καὶ πολὺ πρῶτος αὐτὸς ἕκαστος εἶναι. |
Tucidide, VIII, 89. |
Tutti immediatamente pretendono, non che all’esser uguali fra loro, ma al primeggiar di gran lunga ciascuno. |
Qui il vero amor degli uomini mi sforza
A smascherare un impostor Fantasma,
Che Neroneggia in Socratesca scorza.
Da un tal Mostro il mio secol s’innorgasma;
E il tien, com’è dover, dal freddo Gallo,
Che niun affetto sente e affetti plasma.
Filantropía nomar troppo è gran fallo
Ciò, che appellar si de’ Filocachía1,
Da che ai ribaldi in bocca ha fatto il callo.
Questa etade, peggior di quante pria
State ne sieno in crudeltade e in puzzo,
Palma de’ suoi Filantropi mi dia. —
Ogni impudente ottuso cervelluzzo
(Due magne basi del saper Francese),
S’inVolterizza, e tosto ha l’occhio aguzzo:
Ma le Midesche orecchie ha sì ben tese,
Ch’ei scerne ed ode il più minuto verme
Che rode e uccide o questo o quel paese.
L’un grida: Ecco perchè l’Italia è inerme:
Codarda, or volge il barbaro coltello
Solo a troncar de’ suoi Cantor lo sperme.
Ed ambo i Sessi in virginale ostello
Disgiunti chiude per la intera vita,
Vittime, oimè, del voto insano e fello! —
L’altro, piangendo, a lagrimar v’invita
Sul più orribile oltraggio, che riceve
L’Umanitade misera tradita:
Dico, dei Mori il traffico; che in breve
Vuota d’uomini avrà l’Affrica tutta,
Mentre Europa lo zucchero si beve.
Ma nol berà più, no; tosto che instrutta
Noi l’avrem dei be’ Dritti ampi dell’Uomo:
E vincerà Filosofia la lutta. —
Quindi ascolto esclamante il terzo Tomo:
E i venduti fra noi Servi-soldati,
Da cui, più ch’altri, chi li nutre, è domo?
E quei miseri, in culla già arruolati,
Russi e Borussi schiavi, in sangue ascritti
Già di morte sul libro anzi che nati?
Forse di lesa Umanità delitti
Lievi son questi, e sopportar si denno? —
Ma, tra i campion d’Umanitade invitti
Splende oltre tutti il velenoso senno
Del Tito Quarto, che inveir là s’ode
Contro quante mai stragi i Preti fenno.
Ad una ad una annoverarle ei gode
Da Ifigenïa giù giù fino ai dì nostri,
Com’uom cui non pietà ma invidia rode:
Ch’essi pur son persecutori e mostri,
Che velo non san farsi d’alcun Dio,
Stolti e crudi più assai dei Pigia-chiostri. —
Ma il quinto udiamo; e l’ultimo; perch’io
Stufo omai son di porre ai tristi in bocca
Il ver, che a comun danno indi n’uscío.
Così s’entro vil fogna mai trabocca
Ramo d’argenteo fiume, in picciol corso
Fetido e sozzo dal trist’alvo ei sbocca.
Zitti, via, zitti: udiam costui che il morso
Magisterial vien dar nei pregiudizj,
Fraterno agl’impiccandi almo soccorso. —
Inorridir fan me gli empi giudizj,
Cui tirannica legge osa dar base
Che impon che il malfattore si giustizj.
Mercè tal erro, che esecrando invase
Tutti in addietro i facitor di leggi,
D’Umanità la palma a noi rimase.
Filantropía benefica, che reggi
Per man di noi filosofi la sorte
Del secol nostro, il crudo error correggi.
Ch’ultimo scempio legalmente apporte
L’uno all’altr’uomo? ahi barbaro attentato!
Sia proscritta la pena empia di morte.
Giù le Forche. Ah! mi sento io già rinato,
Or che al mio core alma certezza è scudo,
Che mai più niun mio simil fia impiccato. —
Così di Santa Umanitade il Drudo
Esclamava. Indi tosto, in bel quintetto,
Prosieguon tutti. Io l’inno lor qui acchiudo. —
O vero, o solo, o degnamente eletto
Dei Filantropi tutti Patriarca,
Voltèro, deh sii sempre il Benedetto!
Per te, serbato alla comune Parca
Avrà l’Italo Musico il suo intero,
A viril vita ricondotto e parca.
Per te, il Fratesco Inquisitorio impero
Cangierà sede, e direm noi la Messa,
Visto che il far le feste è un danno mero.
Per te, l’adusta madre Etïopessa
Suoi bruni parti non vedrà venduti
Dal negro sposo che li fura ad essa.
Per te, quei tanti Bindoli minuti
Che muoion pei dïurni oboli tre
Non saran più dal Pubblico pasciuti.
Per te, non fia Repubblica nè Re
Che lasci omai carnefice far l’arte,
Che tante volte palpitar ci fe’.
I tuoi Scritti davver son Sacre Carte
Ad ogni uom che due verbi accozzar sa:
Pera ogni iniquo che s’ardìa biasmarte.
In nome della Santa Umanità,
Chi vuol che i rei s’impicchino, si uccida:
E in Nome della Santa Libertà,
Chi non crede in Voltèro e in noi, si uccida:
A farla breve e ripurgare il Mondo,
Ogni Ente non filosofo, si uccida. —
Chi tal Genía non odia, è Gallo o tondo.
Note
- ↑ Filocachía, amore della reità; come Filantropía, amore dell’umanità; e Filantropinería, parola Bernesca per accennare la moderna buffoneria sanguinosa che si fa velo dell’amore degli uomini.