XI - La immortalità dell’anima

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XI - La immortalità dell’anima
X XII

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XI.

La Immortalità dell’anima.

La presenza di Santippe presumibilmente contrastava con l’argomento che Socrate, dopo essersi soffregata la gamba, stava per trattare con i suoi amici: cioè dell’immortalità dell’anima.

Egli, come già abbiamo veduto, non appena gli fu tolta la catena, aveva sentito il piacere, mentre prima sentiva il dolore. Una vera scoperta come quella di Archimede.

Socrate naturalmente non tripudiò, come Archimede, per la sua scoperta sulla legge morale del Piacere e del Dolore. [p. 221 modifica]

Gli faceva ancora un po’ male la gamba, per saltare; e forse gli faceva male anche il cuore per la vista di quel suo povero piccino, che dalle braccia di Santippe si protendeva sino al volto di lui, invano, per l’ultima volta, tentando e inconsapevolmente di conciliare gli inconciliabili e pure gli inseparabili, cioè Socrate e Santippe: inconciliabili ed inseparabili come il piacere ed il dolore: ed aveva esclamato il povero piccino: — File pappos, pappos emòs, caro babbo; oh, babbo mio! — E poi era stato trascinato via con sua mamma.

Ben fu crudele Socrate verso Santippe e verso il suo sangue! Lo accerta Platone che non prese moglie, non ebbe figli. Ma forse può darsi che sia stato così! Socrate stava per isciogliere il suo ultimo canto sull’immortalità del[p. 222 modifica]l’anima. Egli era giunto in vista del grande oceano; egli, come il cigno morente, sentiva il canto salire vertiginoso. Santippe co’ suoi piagnistei avrebbe dato disturbo.

Ma può anche essere un’altra causa, che Platone non dice, cioè che Dioniso, il dio terribile e insieme pietoso, abbia concesso a Socrate in quelli estremi momenti quell’ebrietà che toglie la sensazione delle cose vere presenti e dona la esaltazione per cui, tanto al savio come all’infante, la buia morte appare come una continuata vita.

Dunque Socrate, prima di morire, parlò a lungo della immortalità dell’anima.

Questo famoso discorso di Socrate sull’immortalità dell’anima, conserva anche oggi una strana forza di attualità. [p. 223 modifica]Sì, sì: il problema della morte rimane ancora uno dei più seri problemi della vita, ma sarà meglio non parlarne.

Chi ha visto su di un caro volto immobile rinchiudersi il coperchio della bara, preferisce non parlarne. Dirò soltanto che dei molti argomenti di Socrate, o di Platone, questo più mi piace, come quello che più è semplice, tanto semplice che non è nemmeno un argomento: «Se non ci fosse la vita futura, ben fortunati sarebbero gli uomini malvagi perchè con la loro anima scomparirebbe anche la loro malvagità».

Come anche pare una cosa assurda che per un bicchiere di cicuta, una innocente pianticella, propinata da Anito, si debba spegnere la meravigliosa sensazione del vivere. [p. 224 modifica]

*

Cadeva il sole quando il lungo discorso di Socrate sull’immortalità dell’anima ebbe fine.

Ebbe fine?

Era dal mattino che il servo degli Undici teneva pronto il bicchiere della cicuta, e con una cortesia del tutto ellenica, attendeva che Socrate chiamasse.

Infatti Socrate già disse agli amici: — Voi vi avvierete a questo passo che io transito, alquanto più tardi di me; ma già «ora mi chiama il fato», come direbbe un poeta tragico.

E disse anche: — E’ mi par meglio prendere ora il bagno e lavarmi bene e poi bere il veleno, senza dare poi alle [p. 225 modifica]donne ed a Santippe la noia di lavare il cadavere.

E questa fu l’ultima sua cortesia verso Santippe.

Poi gli furono condotti i figli e Santippe anche. Conversò con essi alquanto, diede alcune sue disposizioni, e poi li rimandò.

Noi non sappiamo altro.

Dopo queste cose egli parlò poco di più.

Venne il servo; portò il veleno; gli insegnò, da persona esperta, il modo che doveva seguire perchè il veleno presto salisse al cuore.

Poi il servo se ne andò, dicendo a Socrate: — Addio, Socrate, procura di sopportare l’inevitabile meno dolorosamente che tu possa.

— Sì, addio anche a te, caro, — gli [p. 226 modifica]risposo Socrate: E vòlto agli amici: — Era una garbata persona, colui. Mi ha tenuto spesso compagnia.

Poi prese con mano ferma il veleno e bevve tutto di un fiato.

Allora la carcere si riempi di gran pianto. Ma Apollodoro, che tutto quel dì aveva lacrimato come Santippe invece di ascoltare i discorsi di Socrate sull’immortalità dell’anima, diè in un urlo, e venne fuori di sè, e fu allora che Socrate gli disse: — Ho mandato via Santippe specialmente per questo, per non vedere questi eccessi e queste lagrime. — Ed affissando con le grandi pupille gli amici, soggiunse: — Io ho sempre inteso dire che conviene morire lietamente.

Poi attese camminando, finchè il gelo della morte gli giunse al cuore. Allora [p. 227 modifica]si sdraiò e si coprì il volto. Ma ad un certo punto si riscosse e discoprendosi del lenzuolo e rivolgendosi a Critone, mormorò queste ultime parole: — Critone, noi siamo in debito di un gallo ad Esculapio. Dateglielo. Non ve ne dimenticate!

*

Esculapio era il dio della medicina, ed era costume in Atene, come oggi si paga il medico dopo che vi ha curato da qualche infermità, di fare un regalo al dio. E così Socrate voleva pagare e ringraziare il medico Esculapio per averlo guarito con la morte del male della vita.

Socrate aveva, forse, trovato l’ultimo corollario della legge sul Piacere e sul Dolore. Era stato liberato dalla catena [p. 228 modifica]della vita, e forse allora sentiva piacere. Questo è quanto di più preciso noi sappiamo intorno all’immortalità dell’anima.

Dopo, ancora, ritornò il servo degli Undici. Percepì un fremito sotto il lenzuolo. Scoperse Socrate e vide che aveva l’occhio fisso.

Questa cosa vedendo, Critone gli chiuse gli occhi e la bocca.

*

Sono passati parecchi secoli da quel giorno che Socrate morì per aver bevuto la cicuta, propinatagli dai suoi concittadini; ma strana cosa: io non mi posso raffigurare Socrate morto e la sua bocca sigillata per sempre. E sì che egli era ben morto corporalmente! Un poeta rac[p. 229 modifica]conta che quando fu già dopo il tramonto, uscirono dalla prigione, a capo chino, in silenzio, quegli amici di Socrate, e poi quella povera Santippe; e c’erano davanti alla carcere alcuni monelli che giocavano con gli scarabei, e martoriando una civetta, e cantando:

E gira, gira a tondo,
E gira tutt’il mondo...

Poi quando videro uscire coloro e dilungare così tristamente, capirono che l’uomo che doveva morire in quel dì, era morto; e allora ruppero le danze e corsero su dal carceriere, e sì gli dissero:

— È vero che hanno ucciso quell’uomo brutto? Facci vedere l’uomo brutto che è morto.

E quegli disse: — Se sarete buoni, vi farò vedere l’uomo morto. [p. 230 modifica]

E così li condusse, perchè piace a molti che non hanno ancor lagrimato dentro il loro cuore, andare a vedere il morto.

Ma cosa strana! Io non so imaginare Socrate morto. E la favola degli eroi che spezzano il marmo del sepolcro e risorgono, mi pare pur vera cosa! Io me lo vedo ancora tornare davanti, Socrate, col suo sorriso; e mi domanda con quei suoi grandi occhi tondi: — Che c’è di nuovo? Gli uomini sono diventati belli e buoni?

— Si attende ancora, figlio di Sofronisco. Gli uomini stan diventando meccanici.