Santippe/IV
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IV.
Socrate e la Morte.
Socrate col lungo naso fiutava la scìa dei profumi che lasciava dietro a sè Cleonetta, quando ecco un altro giovane di nome Clinia, figlio di Assioco, che accompagnato da un amico e dal suo maestro di musica, corre per le vie di Atene: — Socrate, Socrate, — grida, dove è Socrate?
Lo trovò alfine. Egli era presso all’Ilisso, dove sgorga la Bella Fontana. Allora Clinia, riempiendosi gli occhi di lagrime, disse: — Ora è tempo, Socrate, di mostrare coi fatti quella sapienza che tu lodi sempre. Non sai? mio padre è in fin di vita: egli che poco fa si rideva di quelli che hanno paura della morte, ora è disperato! Vieni, vieni tu a confortarlo, così che egli senza lamenti, si avvii al suo fato, ed io mostri di essere anche in ciò pietoso figliuolo.
E Socrate, levandosi, disse: — Tu non chiederai inutilmente a me cosa alcuna che sia giusta; ma questa poi è santa! — E si affrettò verso la casa di Assioco. Come vi arrivarono, videro costui il quale giaceva nel letto ed era molto disperato perchè doveva morire. Assioco era stato, come noi diremmo, un lottatore della vita, un uomo politico. Ma allora era assai languido ed afflitto, perchè doveva assolutamente morire.
Socrate, appena lo vide, così gli parlò: — Oh, ma cosa è questo, Assioco? Come? tu che ti sei sempre mostrato valoroso nei finti combattimenti, adesso hai paura di quelli veri? Ma non sapevi tu che la vita è come una peregrinazione, un passaggio? No, non è da uomo nè da Ateniese lamentarsi così.
— Belle parole, Socrate, — rispose Assioco faticosamente, — ma non valgono un fico secco: io ho paura, capisci tu?, quando penso che fra poco sarò senza luce e privato di tutti i miei poderi e delle mie ricchezze, e mi sentirò trasmutato in putrefazione ed in vermini; e questo avverrà in qualunque luogo mi mettano. Sai tu che è orribile?
— Ma tu parli, Assioco, — disse Socrate, — come se dopo morto avessi da tornare ancora vivo! Di’ un po’, Assioco, al tempo del governo di Dracone soffrivi tu qualche male? No, perchè tu non eri ancor nato. Bene, così tu non soffrirai nessun male dopo morto. Dove vuoi che trovi posto il male, se tu non ci sarai più?
— Ma è — ripeteva Assioco — che io voglio bene alla vita e che adesso soffro per il dolore di vedere distrutta la mia vita!
E allora Socrate cominciò, per confortarlo, a raccontare tutti i mali della vita: «Gli Dei filarono ai mortali una dolorosa vita, perchè nessun animale è più miserabile dell’uomo fra quelli che respirano l’aria e strisciano per terra».
E siccome Assioco era stato uomo di governo, e Atene era una città democratica, così Socrate gli parlò di tutti gli inconvenienti della democrazia, come io credo avrebbe parlato di tutti gli inconvenienti della aristocrazia, se Atene fosse stata una città governata a tirannide. — Tu, mio caro, — diceva Socrate, — sei stato come un balocco in mano della plebe: oggi applausi, feste, carezze: domani sei stato fischiato, esigliato, scomunicato. Ti pare? E una bella vita questa?
— Sì, sì, — dice Assioco, — questo è vero. Quel cervello balzano di Aristofane che disse male di tutti, in fine non aveva torto quando satireggiò il Demos; ed io lo so, che ci sono stato dentro. Chi si accosta al popolo è molto più miserabile di lui. Ma anche con tutto questo di morire non ne voglio sapere: io voglio invece diventare vecchio, molto vecchio; ma non morire.
E allora Socrate cominciò dolcemente a persuaderlo che diventar vecchi è una cosa anche più brutta che aver da fare col popolo. — La Natura, vedi, Assioco, ci ha dato la vita come fosse un prestito. Un’usuraia, sai, è la Natura! Se tu non sei disposto a restituirle il suo prestito, cioè la vita, lei te la ipoteca, ti mette le mani alla gola, ti porta via la vista, l’udito. Tu resisti? e lei ti rende paralitico, brutto. Tu resisti ancora? e lei ti rende imbecille come un bambino. Ecco perchè molti vecchi sono come bambini. Credi, Assioco, che la partenza da questa vita non è che un passaggio da un male ad un bene, tanto è vero che gli Dei liberano molto presto dalla vita quelli che essi amano.
— Bravo! — sospirò con amaritudine Assioco. — E allora tu che sai tutte queste belle cose, perchè stai al mondo? perchè non muori anche tu?
— Caro, è qui l’errore, — disse Socrate. — Ma io non so che poche cose, e le più comuni, che sono quelle che ti ho dette. Queste poche cognizioni che io possiedo, le ho comperate da un gran sapiente, che però, bada, se le faceva pagare. Niente per niente. Per alcune cognizioni voleva otto oboli, per altre due dramme; alcune non le cedeva che a quattro dramme l’una. Io ci ho speso tutto quel po’ che mi lasciò il mio povero padre. Ma credi, che ne sono contento, perchè da ora innanzi, o Assioco, la mia anima desidera la morte.
— Be’, contami un po’ su, — disse Assioco, — perchè la tua anima desidera la morte.
E allora cominciò Socrate a dire il sogno delle meravigliose parole. Oh, allora quale olio santo egli recò al morente!
Oh, preti; oh, preti, che al morente ripetete le lugubri parole di non so quale enorme peccato, ed impassibili compite i gesti macabri col crisma, leggete di Socrate, e interpreterete meglio Cristo, redentore nostro.
Perchè Socrate aprì le sue labbra e disse: — Oltre alle cose che ti ho dette, vedi, Assioco, vi sono molte e belle ragioni per credere anche nell’immortalità dell’anima. Ma ti pare che una natura mortale avrebbe potuto levarsi a tanta altezza da domare le belve, passare i mari, conoscere il cammino del sole e delle stelle, fondare le città, gli stati, tramandarne la memoria, se non ci fosse in noi uno spirito immortale? Io credo proprio che tu non andrai verso lo morte, ma verso la immortalità, o Assioco! Perchè tu devi sapere che l’anima, essendo sparsa per i pori del corpo, si trova come imprigionata in questa materia, e perciò desidera di ritornare al suo luogo proprio, al suo principio, così che non appena ti sarai liberato da questa composizione corporale, tu ti troverai immerso nell’eternità, cioè in una nuova vita senza dolore e senza vecchiaia, dove tu potrai contemplare tutta la verità, viva e fiorente, e potrai ragionare sul serio, mentre sino a qui tu hai ragionato, o per far piacere alla moltitudine o per metterti in bella vista. Consòlati, dunque, consòlati, Assioco: non c’è posto per la morte, perchè non c’è un atomo che essa possa ridurre in niente.
Ma ad Assioco poco importava della prigione del corpo dove si era sempre trovato abbastanza bene, e meno ancora della verità fiorente: voleva sapere di preciso quello che sarebbe accaduto di lui personalmente; e allora Socrate gli parlò della geografia di oltretomba, cosa molto incerta anche allora, cioè di certe beate isole dove vanno a finire i morti.
— Queste beate isole lontane sono circondate dal profondo oceano. Tre volte all’anno la terra ferace matura di per sè rigogliosi frutti e dolci come il miele. Le anime dei morti vi soggiornano libere da ogni affanno. Ma bada, Assioco, che prima di arrivare a quelle isole, si va in una pianura chiamata il luogo della verità perchè lì ci stanno i giudici, e bugie non se ne possono dire, nè i giudici si possono comperare come in Atene. Se nella vita sarai stato buono, o Assioco, se sarai vissuto piamente, allora essi ti imbarcano per quelle isole che si chiamane Fortunate: la primavera lì non finisce mai, gli alberi sono pieni di frutta, vi sono banchetti, danze e molti altri divertimenti, come mi disse un mago che mi ha insegnato tutte queste cose.
*
Quest’ultimo genere di discorso consolò Assioco più di ogni altro discorso.
— Se è così, quasi quasi mi fa piacere di morire, — disse, — benchè morire sia in tale caso un termine improprio, non ti pare, Socrate?
— Ma certamente! Noi non moriamo; noi andiamo all’immortalità.
— E allora senti, Socrate: torna dopo mezzogiorno a ripetermelo un’altra volta questo bel discorso. Adesso mi metto qui quieto! — E le palpebre gli scesero giù, e Assioco vide il suo viaggio verso le Isole Fortunate, con tutte quelle belle cose che lo aspettavano di là. Peccato che ci fosse quella pianura della verità; ma sperava di cavarsela abbastanza bene. Del resto, poi, tutto il mondo è paese, e i giudici di quella pianura era probabile che fossero anche loro un po’ come quelli di Atene, cioè gente da bene con cui non è difficile venire ad onesti accomodamenti.
Stette un po’ Socrate riguardando silenziosamente, quando Assioco si riscosse e domandò:
— Credi tu, Socrate, che sia necessario molto denaro portare nell’Ade?
— Non credo.
Assioco volse, consolato, uno sguardo verso il forziere dell’oramai vana pecunia.
*
Socrate uscì piano piano dalla camera di Assioco, e additò il morente, ora tranquillo e sopito, a Clinia; e dopo alquanto si ritrovò ancora presso l’Ilisso, alla Bella Fontana, che era un luogo fuori di porta.