Saggio intorno ai sinonimi della lingua italiana/Rubare - Rapire
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RUBARE - RAPIRE.
Omero cantò le dure fatiche de’ greci accampati sotto le mura di Troja per vendicar l’onta d’Elena rapita; Virgilio descrisse quella terribil notte, nella quale Troja fu rubata ed arsa. Rapire si dice più propriamente di persone, e rubare solamente di cose; Ganimede vien rapito, e non rubato, dall’aquila di Giove, e le giovani Sabine non sono rubate, ma rapite dai compagni di Romolo; quindi il valore dato dalle leggi ai vocaboli ratto e rapitore, ben altramente grave, che quello di furto, di rubamento, di ladro non è. «Non può la fanciulla retta, dice il Maestruzzo, contraere matrimonio col rapitore. Item tutti i favoreggiatori de’ rapitori sono puniti nel capo.1»
Vero è bene che il verbo rapire s’adopera talvolta parlando di cose, e si dice rapire un pomo, rapire una lettera di mano ad uno, e simili; ma nemmeno in questo caso può pareggiarsi a rubare, perchè con rapire va sempre congiunta l’idea d’un atto di mano pronto e violento, con rubare non sempre; essendo che rubare è propriamente spogliar altrui d’una cosa per inganno, o per forza: epperò si dice rubare, e non rapire, una provincia, una nave, una casa, perchè nè la provincia, nè la nave, nè la casa possono portarsi via con mano, e si dice rapire un pomo, una lettera, quando si vuole specificare non il furto della cosa, ma l’atto col quale uno è stato privato di essa.
Esaminiamo ora i due verbi al figurato. Rapire ha qui un significato tutto suo, al quale rubare non può aggiungere, ed è quello di esprimere l’effetto d’ogni forte impressione fatta sulla mente dell’uomo dalla bellezza, e dall’armonia, o dalla profonda loro contemplazione: e questo bellissimo traslato deriva dal senso primitivo della voce, come a dire che una forte impressione rapisce, cioè trasporta l’anima, la mente: dell’uomo fuori de’ suoi termini ordinarii; nè qui le due voci possono in nessun modo incontrarsi. V'hanno poi nel comune discorso due modi di dire ne’quali sembra a prima giunta che esse possano adoperarsi promiscuamente; il primo è rubare, e rapire il paradiso, presa la metafora dal Vangelo. Ma anche in questo caso affatto particolare le due voci vengono differenziate dall’idea caratteristica, la quale è d’inganno in rubare, e di forza o violenza in rapire; perchè il ladro che dopo una lunga serie di misfatti, giunto all’estremo raccomanda la sua vita a Dio, e muor pentito, si dice che ruba il paradiso, quasi volendo dire che egli fa inganno alla clemenza del comun padre; ma quegli che con un coraggioso martirio cancella le colpe della vita passata rapisce il paradiso, cioè fa forza, per dir così, all’eterna giustizia. E con bella maestria di lingua toccò il Segneri di questa differenza nel passo seguente: «Se a te non bastasse l’animo nè di rubarti il paradiso nel modo pur ora detto, nè di rapirtelo, non ti hai però così tosto da disperare.» ed il buon padre aveva detto poco prima «Se pretendi qual valido assalitore rapirti il cielo.»
Il secondo modo è quando diciamo rapire, e rubare il cuore, e qui la differenza sta nella nobiltà relativa delle due voci, poichè rapire il cuore sì usa in istile patetico, e suona sulle labbra d’ogni gentil persona; rubare il cuore è frase comica, e da porre in bocca de’ camerieri; e delle fantesche, a cagione della sua bassezza.
Terminerò con un cenno sull’origine di queste due voci, onde vengano a confermarsi sempre più le differenze indicate. Rapire è dal lat. rapere, pigliare, ghermire, portar via con forza, e con prestezza, onde ha l’origine comune con rapidità. Rubare è dall’antico germanico raub2, spoglia, preda, e rauben, spogliare, predare, onde il ted. mod. 3, ed il latino-barbaro raudare4 per rubare, adoperato nelle leggi alamannica, e salica5. Era ben diritto, che quell’orrida gente del settentrione, la quale spogliò tante volte l'Italia, lasciasse stampata nella lingua di lei la memoria indelebile del barbaro suo governo.