Saggi poetici (Kulmann)/Parte seconda/Corinna
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CORINNA
105Due volte già d’Ellade
Lo numerose genti
In Delfo s’adunaro
Per celebrare i giuochi,
E ad alto e universale
110Applauso dichiarare
I vincitori Atleti;
Ma l’una e l’altra volta
Mancovvi ’l Re del canto,
Pindaro dal sublime
115Impareggiabil genio.
Coprivano le nevi
Della trista vecchiaja
Il capo del cantore.
Siccome il vasto capo
120Del regnator de’ Numi
Già partorio Minerva
Ch’a sè d’intorno sparse
Mirabile chiarore,
Ond’abbagliato tutto
125Il grand’Olimpo venne;
Così dell’alto vate
Dal capo creatore
Uscivano canzoni
D’inarrivabil estro;
130Ma quel fecondo genio,
Che non conobbe mai
Vincitore o rivale,
In quell’ora parea
Un ardente vulcano,
135Che dopo mezzo secolo
D’eruzioni continue,
Di subito s’estingua.
Allor che nelle mura
Della città d’Apollo
140Udirono gli Achei
L’ultima volta. gli alti
Ditirambi del vate,
I giudici de’ giuochi
Gli dier senza contesa
145Il trionfale alloro.
E da quel giorno i Greci
L’aurea sede lasciaro,
Su che il vate tebano
Cantò le lodi e il vanto
150Del faretrato Nume,
Lasciarl’in faccia all’ara
Qual monumento eterno
Ai secoli venturi.
Allor ch’ammutolio
155Quell’unica nel mondo
Maravigliosa voce;
Quei che finora muti,
Presente lui, restaro,
Ardirono, modesti,
160Cantar del cielo i doni,
Ed erano contenti,
Se da quell’adunanza
Che, poco fa, la voce
Di Pindaro ammirava,
165Ottenevan silenzio
Approvatore ovvero
Applauso non diviso;
Ma ricever l’alloro,
Della vittoria il pegno,
170Per quanto ognun lo brami,
Non osavan sperarlo.
Al tramontar del sole
Timidetta donzella,
A cui dieder gli Dei
175Beltà, sonora voce
E l’invidiabil arte
Di palesar dell’alma
I più occulti pensieri,
Entrò nel sacro tempio
180«Del biondo intonso Dio
Con due ghirlande in mano,
E coronato ch’ebbe
D’Oméro il grave capo
E di Pindaro l’aurea
185E risplendente sede,
Fra loro inginocchiata
A parlar cominciò:
«O tu, che co’ tuoi carmi
Me, ancor fanciulla, festi
190Di mie colombe immemore,
Allor ch’io ti seguiva
Sulle veloci penne
D’ardente fantasia
Nel tuo, da te creato
195Meraviglioso mondo:
E con teco sospesa
E con i sommi Dei,
Col mare e colla terra
A quell’aurea catena,
200Legata all’alto soglio
Di Giove, che sereno
In sulla cima siede
Del nebuloso Olimpo; —
O quand’io ti seguiva,
205Fendendo le remote
Onde dell’oceàno
Immobili, da luce
Lugubre rischiarate,
E con tremor entrava
210Tue vestigia premendo,
Le nere ferree porte
Dello spietato Pluto...
E tu, che tanto gli altri
Contemporanei vati
215Sorpassi, quanto tutte
Le sommità vicine
L’alto Parnasso avanza;
Voi l’un e l’altro esenti
Di sprezzo, orgoglio, invidia,
220Ragion mi date, e dite
Perchè fu condannata
Ad infanzia perpetua
L’una metà de’ frali
E miseri mortali?
225Non furono esse donne
Che, presso al Termodonte
Vinsero l’altro sesso
In arte, ch’egli ha dritto
Di credere sua propria?
230Per qual ragion mai dunque
Escluderle dalle arti,
Che nel core han lor sede?
O voi di viltà scevri,
Spirate al debol petto
235Di timida fanciulla
Quel generoso ardire,
Che vuolsi per condurre
Alla bramata meta
L’ardito suo disegno.
240Non a vittoria aspiro,
Ma a rendere qui dritto
All’oltraggiato sesso.
Frattanto il sol che scende
Di Patrasso nell’onde,
245Fa penetrar nel tempio
Un obliquo suo raggio,
Che a caso al sommo Omero
La sacra fronte irradia,
E quel volto ch’ha impressi
250Gli altissimi pensieri,
Lieto sorrider sembra.
Veduto ciò, con gioja
Esclama la fanciulla:
«Accetto il fausto augurio,
255Venerato cantore!
M’è ’l tuo dolce sorriso
Presago di successo!»
Ella scorse la notte
Fra veglie e lieti sogni.
260All’apparir dell’alba
Echeggia di lontano
L’altisonante tromba,
Suon grato e in un tremendo,
Ch’annunziale che l’ora
265Omai de’ giuochi è giunta,
E che la numerosa
Ed impaziente turba
Sol i campioni attende.
S’indirizzò Corinna
270Là dove in piano immenso
Stan mille e mille d’ogni
Contrada della Grecia
Uniti spettatori.
Ella chinati i rai
275E con incerto passo
Attraversò le turbe
Che immote udíano e tacite
La gara de’ cantori.
Digià con dotti versi
280Parea fissar la palma
Un cittadin d’Atene;
Allor ch’un abitante
Della scogliosa Chio
A celebrare imprese
285Apollo vincitore
Del serpente Pitone.
Cogli animati, versi
Dipinge il divo canto,
Fascinante l’orecchio,
290Del mostruoso serpe
I furibondi moti,
L’orribile caduta
Cogli ultimi sospiri
Della fuggente vita.
295Fu dell’arena intiera
Universal l’applauso.
Con passo mal sicuro
Corinna innanzi venne
Ai giudici de’ giuochi,
300Che, palesato il nome
Della patria e de’ suoi,
Le fan subito cenno
D’incominciare il canto,
Un semplice preludio
305Sull’ubbidiente lira
Riverente silenzio
Impose all’adunanza,
E Corinna tremante
Sciolse sua voce al canto:
310All’ombrosa caduta
Della sacra sorgente
Siede il Delfico Nume,
E con giubilo mira
L’abbattuto Pitone,
315Il tempio incominciato,
La folla e i lieti giuochi
Dei pellegrin venturi.
Subito udir gli sembra
Il battere dell’ali
320D’un cigno. Ei volge ’l capo,
E vede Amor che viene
A lui con l’arco d’oro:
Odesi ad ogni istante
Del Dio nella faretra
325Risuonar le quadrella.
Con orgoglioso sprezzo
Apollo mira il figlio
Di Venere, ch’or l’arco
Or l’aurata faretra,
330Ora il vel che lo cuopre
Come fanciul vagheggia.
☆
«Che dunque vostra Pafo
Sì povera divenne,
Che non abbia trastullo
335Di tua etade condegno?
E per sfuggir dal tedio,
Or quell’armi tu tratti,
Convenienti solo
Al nostro braccio forte?» —
340«Di Pafo e Gnido l’are
Colme sono d’offerte,
Che depongono a gara
Chi ad adorar ne viene.
Ma spesso avvien che impresa
345Più difficil ne alletti,
Qual d’abbassar l’orgoglio
D’un vincitor superbo.»
Così dicendo Amore
Dal turcasso due strali
350Prende, l’un d’oro e aguzzo,
L’altro di piombo e ottuso:
L’un genera l’amore,
L’altro dispetto ed odio.
☆
Piagò coll’aureo strale
355Febo; con quel di piombo
Vezzosa giovinetta,
Che sull’ameno lido
Del genitor Penéo
Va le fiere inseguendo.
360Feriscono gli strali
D’Amor anche da lungi!
Avvampa il cor d’Apollo
D’inestinguibil fiamma,
Or senza gioja vede
365Il suo tempio nascente
E de’ popol la turba.
Impazïente il core
Il tragge involontario
Là ne’ piani di Tempi.
370Ivi Dafne ritrova,
Dafne per lui più bella
Delle Grazie e di Venere:
E per lei lieto, immemore
D’aver sua sede in cielo,
375Lascerebbe l’Olimpo.
☆
Ma son, non che i mortali,
Gli Dei giuoco d’Amore!
La Ninfa, visto ch’ebbe
Apollo, al par d’un mostro
380Orrendo il teme e l’odia,
E rapida sen fugge.
Apollo l’inseguisce
E le grida correndo:
«D’un Nume altera prole!
385Son io pastor che sprezzi
Od un ladron che temi?
Sappi, che figlio io sono
Della vezzosa Leto
E del possente Giove,
390E fratello di Diana
Cui tu te dedicasti.
Rallenta il corso, anch’io
Rallenterò ’l mio passo,
Temendo che ’l piè molle
395Pietra aguzza t’offenda.
Sol mira me: se spiaccio,
Abborri me, se ’l vuoi!»
☆
In vano. Dafne corre
Ancor più ratta, e giunta
400Alla paterna sponda,
Grida: «Salvami, o padre!
O se nol puoi, distruggi
Questa beltà fatale,
Ch’è dell’eccidio causa
405Dell’unica tua figlia!»
Appena questa brama
Fuor de’ suoi labbri uscío,
Ch’ella diviene immota
E con iscabra scorza
410Si va coprendo. I piedi
Divengono radici,
Le svelte braccia rami,
La bella chioma foglie.
È trasformata Dafne
415In un alloro. Febo
Veggendola sospira:
«Tu non volesti, Dafne
Essermi sposa; almeno
La fronde mia sarai.»
420Qui si tacque Corinna.
L’inusitato oggetto,
La voce incantatrice,
Forse l’ardir e i vezzi
Della giovin donzella
425Empiono di stupore
L’innumerabil folla
Che impazïente attende
De’ giudici il parere.
Già tre volte la voce
430Dell’araldo sonora
Aveva proclamato
Il nome di Corinna;
Quand’all’entrata udissi
Dell’affollata arena
435Il replicato grido:
«Pindaro, ve’! Pindaro.
Quale benigno Nume
Dall’Olimpo disceso,
In mezzo a folte turbe,
440Che rispettose un varco
Gli apron, con grave passo
Avanzasi ’l canuto
Poeta incoronato
Ver la sede de’ Giudici.
445Questi spontaneamente
L’onoran coll’alzarsi
Dalle lor sedie: ed egli
In tai detti parlò:
«Io no, qui già non venni
450Coll’ambizioso intento
D’ottener la corona
Dovuta a giovin merto.
Chi ne’ venturi tempi
Cantando abbellirebbe
455Le vostre primavere,
Quand’al canoro bosco
Verranno alfine tolti
Quegli usignuoli tutti,
Che in seno ad alta gloria
460Cantando incanutiro;
Se ricusiam corone
A giovani cantori?
Venuto qui son io
Per ottener vittoria
465E nuova, e grande, e illustre,
E testimonio farmi
Non invidioso e lieto
Dell’alto merto altrui.»
Depongono repente
470I giudici de’ giuochi
Il vittorioso serto
Nelle gloriose mani
Del Re dell’armonia.
Ei volge d’ogni intorno
475Gli occhi per rintracciare
La timida Corinna,
Che tremando sen stava
Ascosa fra la turba.
Ma incontanente a lui
480La mostran cento e cento
Alzate mani e grida,
Egli benignamente
Col serto a Apollo sacro
A lei ne viene e dice:
485«Ricevi dalle mani
Di Pindaro, o Corinna,
Il lauro vittorioso,
E sii nell’avvenire
La gloria e le delizie
490Di questa patria terra,
Qual Pindaro lo fu.»
E colla propria destra
Egli l’illustre serto
Intralcia fra gli sciolti
495Capelli di Corinna.
Fiammeggiano le guancie
Dell’alma giovanetta
E sembrano due rose,
D’un lauro all’ombra nate,
500Che vengono bagnate
Dal pianto dell’Aurora.