Rivista italiana di numismatica 1893/Bibliografia
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BIBLIOGRAFIA
LIBRI NUOVI.
Schlosser (Julius von), Beschreibung der altgriechischen Münzen. — I. — Thessalien, Illyrien, Dalmatien und die Inseln des Adriatischen Meeres, Epeiros. — (Kunsthistorische Sammlungen des Allerhöchsten Kaiserhauses). — Wien, 1893. — (Un vol. in-8, di XI-115 pag., con 5 tav. in eliot).
Il tramutamento del ricchissimo e celebre Gabinetto di Vienna dall’antica sua sede della Burg allo splendido palazzo recentemente costruito sul Ring allo scopo d’installarvi il Museo per la Storia dell’Arte, ha segnato una nuova era per quella insigne collezione numismatica, non meno che per le altre collezioni storiche ed artistiche imperiali, disseminate sinora in vari punti della metropoli austriaca e radunate oggi stabilmente in quel grandioso e mirabile edificio.
Abbiamo già avuto occasione, lo scorso anno, a proposito di un articolo del ch. Direttore Kenner nella Numism. Zeitschrift, di accennare al riordinamento ed ampliamento delle serie di monete (e in particolar modo di medaglie) esposte in vetrina, le quali costituiscono ora un saggio copiosissimo ed altamente istruttivo. Oggi salutiamo in questo bel volume del Dott. Schlosser, conservatore-aggiunto, l’inizio dei cataloghi destinati ad illustrare le monete antiche del Gabinetto, seguendo l’esempio del Museo Britannico.
La descrizione delle monete greche, come accade appunto pei cataloghi del Museo londinese, escirà a volumi staccati, senza il vincolo di un ordine prestabilito. Come linea direttiva, essa si propone anzitutto di presentare le monete delle regioni che circondano il Mare Egeo, il vero centro dell’antica cultura ellenica: comprenderà adunque la penisola de’ Balcani, l’Asia Minore e le isole adiacenti. Questo primo volume incomincia colla Tessaglia, per ragioni di opportunità, cioè allo scopo di uniformarsi al sistema e di giovare alla grande opera cui si è accinta l’Accademia di Berlino, che sta compilando un Corpus dell’intera Numismatica greca.
Dopo le monete della Tessaglia e delle sue isole, il Dott. Schlosser descrive quelle dell’Illiria, della Dalmazia e delle isole dell’Adriatico, per terminare con quelle dell’Epiro; segnando accuratamente, ogni volta che gli riuscì possibile (giusta l’esempio dei cataloghi del Gabinetto Reale di Berlino), anche la provenienza di ciascuna moneta, sia diretta, sia, più frequentemente, da qualcuna delle varie collezioni incorporate (in tutto od in parte) nel Gabinetto imperiale dal principio di questo secolo, cioè dalle collezioni Cousinéry, Lipona, Tiepolo, Rollin, Wiczay, Welzl von Wellenheim, e Millosicz.
Altrettanto accurati sono i riferimenti bibliografici; ed in particolar modo i copiosissimi indici, che ci presentano i nomi de’ luoghi (identificati coi nomi greci moderni desunti dai Travels in Northern Greece di W. M. Leake), i tipi, i simboli, l’elenco degl’imperatori romani, quello dei re e tiranni, quello de’ magistrati, i titoli e nomi onorifici, le iscrizioni notevoli, i monogrammi e le sigle, le contromarche e riconiazioni, le riproduzioni d’immagini del culto, di opere d’arte o di edifici, e infine i luoghi di ritrovamento.
Le cinque tavole d’illustrazioni che corredano il volume sono egregiamente eseguite; e del pari commendevole è la veste tipografica del libro; il quale, e per il contenuto e per la parte esterria, si accosta ai cataloghi del Museo Britannico e del Gabinetto di Berlino senz’essere un’imitazione servile né degli uni né degli altri.
S. A.
Bahrfeldt (M.), Die Münzen und das Münzwesen der Herzogthümer Bremen und Verden unter schwedischer Herrschaft 1648-1719. — (Estr. dalla Zeitschrift des historischen Vereins für Niedersachsen), — Hannover, 1892. — (Un vol. in-8, di 156 pag., con 5 tav. in lit).
La pace di Vestfalia, sopprimendo il potere politico dell’arcivescovato di Brema e del vescovato di Verden, ed assegnandone i territori alla corona di Svezia, creò per quei ducati (così si chiamarono d’allora in poi) una condizione singolare, poiché essi continuavano a formar parte dell’Impero Germanico e nello stesso tempo erano una provincia svedese, che aveva per capitale la piccola città di Stade, in cui risiedeva il governatore.
Questo stato di cose durò, con qualche alternativa, sino al 1719, anno in cui la Svezia cedette definitivamente i ducati all’Annover.
Il presente studio numismatico del Sig. Bahrfeldt abbraccia appunto il periodo della dominazione svedese, ed è fondato sugli atti originali dell’archivio governativo, che in parte sono rimasti a Stade, in parte si conservano oggi ad Annover. Anche in questa pubblicazione si riscontrano quella coscienziosità e quella minuziosa esattezza che contraddistinguono gli scritti del benemerito direttore del Numismat. Literatur-Blatt, e che altre volte abbiamo avuto occasione di rilevare.
La monetazione dei ducati di Brema e Verden incomincia con un tallero della Regina Cristina, del quale fu coniato un solo esemplare che si custodisce nella collezione numismatica della Kunsthalle di Amburgo. A questo primo saggio fanno séguito varie altre monete della stessa sovrana, alcune assai rare di Carlo X Gustavo, molte di Carlo XI, e qualcuna di Carlo XII, con cui cessa la coniazione.
Oltre alle monete, il Sig. Bahrfeldt descrive ed illustra due medaglie che si riferiscono ai ducati. La più curiosa di esse, coniata in occasione dell’omaggio prestato a Re Carlo XI, rappresenta un altare su cui si vede un cuore che, al pari delle armi di Brema e Verden, librate in aria, si rivolge verso la costellazione dell’Orsa minore (cioè verso il Nord, per indicare la Svezia); la leggenda è: huc tendimus omnes.
Appartengono pure ai ducati alcune tessere o marche di rame, rozzamente monetiformi, che servivano come di controllo militare; ogni soldato svedese che andasse in congedo doveva possedere, e presentare a richiesta, oltre al passaporto, una di tali marche, altrimenti lo si arrestava come disertore.
Di molto interesse sono i documenti riferiti testualmente in appendice, quelli in particolar modo che riassumono le conferenze tenute ad Amburgo nell’ultimo quarto del Sec. XVII per escogitare rimedi alla disastrosa confusione e decadenza monetaria che affliggeva a quei tempi la Germania.
s. a.
Ambrosoli dott. Solone, Breve relazione di un viaggio ad Atene e Costantinopoli. Milano, Lombardi, 1893, in-8, pp. 15.
Capo dott. Tommaso, Catalogo delle monete primitive d’Italia, del dott. Cesare Caputi. Roma, tip. Unione Coop. edit, 1892, in-8, pp. iiij-8i.
Catalogo del Museo Bartolomeo Borghesi, Monete romane consolari ed imperiali di cui la vendita sarà fatta in Roma. (Vendite Sangiorgi, anno II, n. 22, Roma). Firenze, Enrico Ariani, 2893, in-8, pp. IV-130. Con prefazione di Francesco Gnecchi.
Cossa Luigi, Saggio di bibliografia delle opere economiche italiane sulla moneta e sul credito, anteriori al 1849. Bologna, 1892.
Falchi Isidoro, L’usura in Roma nel IV e V secolo av. G. C. (Conferenza al Circolo Filologico di Firenze). Prato, Vestri, 1890, in-8, pp. 31. (Interessa la storia della moneta romana).
Maurizi Giuseppe, Della moneta legale. Foligno, tip. Artigianelli, 1892, in-8, pp. 67.
Fumagalli Giuseppe, Bibliografia etiopica. Milano, Hoepli, 1892. (A pp. 190-192: Numismatica).
R. Biblioteca e Museo Estense. Elenco dei cataloghi. Modena, Vincenzi, 1892. (A pp. 32-36: Museo e medagliere estense).
Borel F., Les foires de Genève au XV siècle. Genève, 1892. (Cfr. il capitolo Monnaies).
Marty Walt., Tableau der schweizerischen Schützenthaler 1842-1892, in Reliefprägung herausgegeben, 48x37 cm. S. Gallen, Busch et C. 1892.
Chestret (Baron de), Numismatique de la principauté de Stavelot et de Malmédy. Bruxelles J. Goemaere, 1892, in-8, pp. 35 et 4 pl.
Mélanges. G. B. De Rossi: Recueil de travaux publiés par l’école française de Rome en l’honneur de M. le comm. G. B. De Rossi. Paris, E. Thorin, edit., 1892, in-8 fig. pp. viij-29i, con 5 tavole. (N. 8: Fabre Paul, Recherches sur le denier de S. Pierre en Angleterre au moyenàge. — N. 11: Prou Maurice, Le monogramme du Christ et la croix sur les monnaies mérovingiennes).
Reinach Th., Numismatique ancienne. Trois royaumes de l’Asie Mineure: Cappadoce, Bithynie, Pont. Paris, Rollin et Feuardent, in-8, pp. VII-208 et pl.
Schlumberger G. et Blanchet J. Adrien, Numismatique du Béarn. 2 vol. in-8 avec 17 pl. hors texte. Paris, Leroux, 1893.
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— — Catálogo de la Colección de monedas y medallas antiguas y modernas, espanolas y extranjeras, reunidas par D. Juan Moraleda y Esteban. Toledo, Menor Hermanos, 1892.
Catálogo abreviado de la colección de monedas y medallas reunidas por el Sr. Dr. D. Francisco Mateos Gago y Fernández, presbitero, formado por D. Francisco Collantes de Téran y D. Francisco de P. Caballero Infante y Zuazo, correspondientes de la Real Academia de la Historia. Sevilla, tip. "El Obrero de Nazaret„, 1892.
Monetario Americano ilustrado clasificado por su proprietario Alejandro Rosa, Buenos Aires, Martin Biedma, 1892, in-4.
Aubòk Jos., Hand-Lexicon über Münzen, Geldwerthe, Tauschmittel, Zeit-Raum und Gewichtsmasse der Gegenwart und Vergangenheit aller Länder der Erde. Wien, Leop. Weiss, 1892, I Lieferung, in-12, pp. 48.
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Bahrfeldt M., Die Münzen und das Münzwesen der Herzogthümer Bremen und Verden unter schwedischer Herrschaft 1648-1719. Zugleich Beiträge zur deutschen Geld- und Münzgeschichte des 17. Jahrhunderts. Hannover, 1892, in-8.
Curtius Dr. C., Ausgewahlte Münzen und Medaillen der Stadt Lübeck. Lübeck, 1892, in-8.
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Münzen und Medaillen-Cabinet des Justizrathes Reimann in Hannover. 3 Bände mit Preislisten. Frankfurt a/M., Hess A., 1892, in-8 gr., con tavole e ritratto.
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Schlosser J., Beschreibung der altgriechische Münzen der kunsthistorischen Sammlungen. I. Tessalien, Illyrien, Dalmatien u. die Inseln d. adriat. Meeres, Epeiros. Wien, in-8, con 5 tav.
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Magasin pittoresque, 31 luglio 1892: Challamel P., La médaille d’honneur des ouvriers et employés de commerce.
Revue de Champagne et de Brie, agosto e settembre 1892: Une nouvelle découverte à Reims. — Goffart H., La monnaie de Fumay.
Revue des deux Mondes, i e 15 novembre 1892: Cucheval–Ciarigny, L’union latine et la nouvelle conférence monétaire.
Revue de l’art français, settembre 1892: Guiffrey J., Documents inédits sur Philippe Danfrie pére, graveur general des monnaies, et Philippe Danfrie fils, controleur des poinçons et effigies (1592-1615); novembre 1892: Jouin, Documents sur quelques graveurs de médailles du XIX siede.
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Allgemeine Zeitung, Beilage n. 207, 1892: Studien über die Zukunft des Geldwesens.
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Zeitschrift für praktische Geologie, I, 1893: Breidenbach Th., Das Goldvorkommen im östlichen Spanien.
Revista del Museo de La Plata, voi. IV (Buenos Aires, 1892): Pena E., Acunacion de moneda provincial en Mendoza en los anos de 1822-24.
Blanchet J. Adrien, Histoire monétaire du Béarn, Paris, 1893, in-8.
Schlumberer Gustave, Description des monnaies, jetons et médailles du Béarn, Paris, 1893, in-8 con 17 tavole.
Con questi due volumi, i quali, riuniti formano una speciale e completa monografia dell'antica provincia del Béarn, gli egregi Autori hanno colmato una lacuna nella numismatica francese. Nell’opera Monnaies féodales de France del Poey d’Avant troviamo un capitolo speciale dedicato alla numismatica del Béarn; ma, come avviene generalmente in queste opere complessive, l’illustrazione numismatica di questa provincia non solo è monca ed incompleta, ma vi si riscontrano non pochi errori e moltissime inesattezze. L’opera, che stiamo esaminando, ci pare compilata col metodo più pratico e razionale, che si possa desiderare, e tale da rispondere alle esigenze tanto degli studiosi, quanto dei semplici amatori. Il primo volume, dovuto al Blanchet, riassume la storia monetaria del Béarn in sette capitoli, che portano per titolo: I. Amministrazione; II. Officine monetarie; III. Monete classificate per epoche e per genere; IV. Tipi monetarii; V. Corso della moneta di Béarn; VI. Medaglie; VII. Tessere. Nel capitolo l’(pag. 96-97) l’Autore accenna ad alcune imitazioni della moneta Bearnese fatte in Italia da Agostino e Delfino Tizzone nella loro zecca di Desana, e da Ercole Mazzetti nella sua officina di Frinco1 e ne dà la descrizione. A complemento poi di questa monografia, segue una interessante serie di 50 documenti monetarii interamente inediti. — Il secondo volume, opera dello Schlumberger, è la parte pratica del lavoro, e comprende la descrizione delle monete, delle tessere e delle medaglie del Béarn, da Centullo IV (secolo XI) fino a Luigi XV, in numero di 157 monete, 52 tessere, e 24 medaglie. In tutte e tre queste serie l’Autore, esaminando diligentemente collezioni pubbliche e private, potè aggiungere buon numero di pezzi importanti inediti. La descrizione finalmente è corredata da 17 Tavole che illustrano i tipi principali delle singole serie.
L’opera pertanto dei due egregi autori ci pare molto commendevole, e sarebbe desiderabile che altri ne imitassero l’esempio, illustrando mano mano la interessantissima ed estesa serie delle monete feudali di Francia.
E. G.
Boito Camillo, Questioni pratiche di belle arti. Milano, Hoepli, 1893. [Questioncelle architettoniche: 2a Il palazzo della Zecca a Venezia].
Bongi Salvatore, Le Croniche di Giovanni Sercambi lucchese, pubblicate sui mss. originali. Voi. I. Roma, "Istituto storico italiano, „ 1892. — Cfr. i cap. XII, LXXXIII, CLVI, CLIX, CCCXV, interessanti per la storia della monetazione in Lucca nel XIV-XV secolo.
Catalogo della Collezione del conte Vimercati Sozzi di Bergamo (da vendersi per conto degli Eredi). — Monete Greche, Monete Romane, Consolari. Imperiali, Monete Italiane, Medioevali e Moderne, Monete Estere, Nummi cartacei. Medaglie, Libri Numismatici. Milano, L. Pirola, 1893.
Quarta Alb., Prolegomeni alla storia dell’economia politica. Voi I. Roma, tip. elzeviriana, 1892, in-8 [XV. La moneta, la produzione dell’oro e dell’argento; i precursori dell’economia politica in Italia].
Spaventi Silvio, Vittor Pisano detto Pisanello, pittore e medaglista veronese della prima metà del secolo XV. Verona, Pozzati, 1892, in-8 pag. 69.
Vigo Pietro, Statuti e provvisioni del castello e comune di Livorno. Livorno, Vigo, 1892, in-4 gr. — A pp. 135, 142 e 143 decreti per la zecca di Firenze.
Reber B., Fragments numismatiques sur le Canton d’Argovie, avec 30 planches. Genève, chez l’Auteur, 1893, in-8, pp. 87.
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Piton C., Les Lombards en France et à Paris, II partie. Paris, Champion, 1893 [Descrizione dei gettoni, dei sigilli di piombo, dei pesi-moneta e dei marchi di bollo usati dai mercanti lombardi nei loro traffici e conteggi].
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LIBRI NUOVI.
Papadopoli Nicolò, Le Monete di Venezia descritte ed illustrate coi disegni di Carlo Kunz. Parte prima: dalle origini a Cristoforo Moro. Venezia, Ferdinando Ongania editore, 1893, in-4, pag. X e 424, con 16 tavole.
Il nome del senatore Nicolò Papadopoli non è nuovo per i cultori della numismatica italiana, e noi con viva soddisfazione abbiamo apprezzato le sue pubblicazioni intorno all’origine della zecca di Venezia, intorno al valore della moneta veneziana ed altre più brevi, ma non meno pregevoli, le quali rivelano l’erudito indagatore ed il critico profondo. Le principali sue deduzioni furono accolte con favore dagli scienziati, e ne fece tesoro, per citare un solo esempio, G. Salvioli nel suo bellissimo articolo sulla moneta che fu compreso nell’Enciclopedia giuridica italiana.
Un rapido esame dell’elegante volume che abbiamo dinanzi, basta perchè ognuno abbia a riconoscere ch’esso è il prodotto di lunghe ricerche e di studio indefesso, e che l’A. ha voluto offrire un’opera, possibilmente completa, dedicandovi tutta la sua attività ed il suo ingegno.
Ricca è la letteratura relativa alla moneta veneziana; ma per quanto ne abbiano trattato in passato e nel secolo presente illustri scrittori, pure mancava un’opera che valesse ad appagare tutte le esigenze, tanto di coloro i quali riguardano la moneta quale oggetto d’arte, quanto degli altri che la considerano qual monumento storico, testimonio della civiltà dei popoli e della loro agiatezza. S’aggiunga che le monete di Venezia sono d’importanza universale; imperocché non rimasero limitate entro i confini della Repubblica, come accadde con quelle di molti altri comuni e principi, ma si diffusero in lontane contrade, imponendosi per la loro bontà nei mercati e negli affari e dettando pure norma alla monetazione straniera; onde i grossi ed i ducati veneziani vennero in molti luoghi imitati ed anche copiati in guisa che solo l’esperto osservatore sa distinguere il plagio dall’originale.
Il Papadopoli si professa discepolo del compianto Vincenzo Lazari, che perito in giovane età, non potè dare a Venezia l’intera illustrazione della sua zecca, come ne aveva concepito il pensiero.
In fatti egli mostra di seguirne il metodo strettamente scientifico; laddove nell’esame dei nummi s’attiene alla scrupolosa esattezza, della quale fu maestro lodato il triestino Carlo Kunz. Opera del quale sono quasi tutti i bellissimi disegni che compongono le tavole di questo volume, o che sono intercalati nel testo, e che con mirabile fedeltà riproducono la maggior parte delle monete descritte.
L’A. non tralascia mai di rilevare tutti gli avvenimenti che influirono sulla monetazione. Ad ogni capitolo egli premette de’ brevi cenni intorno alle vicende politiche ed economiche che si svolsero durante il governo di ciascun doge, e come dalla storia trae argomento per meglio illustrare le monete, così di queste approfitta per chiarire i fatti che quella ci presenta oscuri, o per appurarli dalla erronea interpretazione che vi diedero gli scrittori di epoche alla nostra più vicine. Subito da principio l’origine della zecca, che viene esposta con rigorosa analisi de’ documenti, e le più antiche monete veneziane lo conducono a parlare diffusamente dei rapporti della Repubblica con gl’imperatori d’Occidente.
È questo uno dei punti più controversi della storia di Venezia; perchè deficienti ne sono le fonti contemporanee, e perchè gli scrittori che ne trattarono parecchi secoli più tardi, ignorando le vere condizioni del passato, non fecero che raccogliere la parte migliore delle tradizioni, che a loro erano pervenute già alterate a danno del vero sotto l’influsso di fortunate vicende, ed anche queste essi magnificarono, mossi o da ragioni di stato o dall’ambizione di vedere riferita a remota antichità la gloria e la potenza della loro patria. Con loro si accordano pure i posteriori storici veneziani nell’affermare l’assoluta indipendenza di Venezia fino dalla sua origine, ed i moderni, pur riconoscendo con qualche restrizione l’alta sovranità degl’imperatori greci, n’escludono invece quella dell’impero d’Occidente, o non potendo negarla la sottacciono. Tutti questi, meno lo Zon ed il Lazari, ammettono come cosa indiscutibile, che la Repubblica abbia avuto ed esercitato da tempi immemorabili il diritto di zecca. A simile asserzione contraddicono le più antiche monete che insieme col nome di Venezia portano pur quello degli imperatori Lodovico, Lotario, Corrado ed Enrico, e le quali vennero tirate in campo dagli scrittori non veneziani per sostenere che la veneta città mantenne a lungo rapporti di dipendenza coll’impero occidentale.
È naturale che si tentasse di diminuire l’importanza di si irrefragabile monumento, volendo taluni che le monete di questo genere fossero state coniate per le possessioni, che Venezia aveva in terra ferma e per le quali avrebbe riconosciuto il predominio imperiale, altri che esse fossero state fabbricate dagl’imperatori per affermare i diritti che vantavano, ma non possedevano su quella città. Altri invece le ascrissero alla città di Vannes nell’Armorica; altri ne negarono persino la genuinità credendole opera di falsari moderni, e ci fu Federico Schweitzer che nel suo zibaldone intitolato: Serie delle monete e medaglie di Aquileia e di Venezia, attribuì i denari col nome di Enrico imperatore al doge Enrico Dandolo, dicendo che il titolo imperiale ben poteva essergli lecito, quasi maestà, dopo la conquista di Costantinopoli. Ma le opinioni dello Schweitzer non possono destare meraviglia in chi ricorda che egli osò eliminare la zecca di Trieste solo per far piacere a certi soggetti di Oltralpe, che non potevano capacitarsi che questa città fosse stata nel medio evo qualche cosa più di un villaggio di pescatori, e che lo Schweitzer pure si distinse coli’ illustrare le falsificazioni del famigerato Cigoi di Udine.
Il Papadopoli riassume le opinioni degli scrittori più accreditati di ambo i partiti, e principalmente quelle del conte di San Quintino e di Vincenzo Promis, il qual’ultimo, com’egli riconosce, determinò l’attribuzione delle prime monete veneziane in modo assai soddisfacente. Esamina lo stato della Repubblica fino dai primi tempi e le relazioni ch’ella ebbe con Costantinopoli, e mette in rilievo la politica da lei tenuta verso il nuovo impero d’Occidente, e per la quale seppe assicurarsi il favore di questi monarchi; giacché ne riconobbe la supremazia, ma conservò l’acquisita autonomia di governo, rinvigorendola anzi con maggiori diritti e privilegi che la natura delle istituzioni germaniche rendeva compatibili con le prerogative sovrane. Egli ripete le considerazioni già svolte nell’opera che abbiamo da principio indicata, e la critica oggettiva da lui osservata ci rende chiara testimonianza che il sentimento di patria non prevalse sull’amore della verità. Dallo studio delle cose provengono i suoi retti giudizi, che il Salvioli trovò essere i più conformi alla storia ed ai documenti numismatici.
Nel mentre è certo che Carlo Magno nella pace di Aquisgrana dell’812 riconobbe di non avere alcun diritto su Venezia, ed è probabile che questa si mantenne sotto il dominio di Bisanzio ancor durante il governo del doge Giovanni Partecipazio I, non v’ha d’altro canto motivo a dubitare ch’essa siasi qualche anno dopo accostata all’impero dei Carolingi e ne abbia accettata l’alta sovranità, come ne fa fede un decreto di Lotario I dell’846, pubblicato nel volume XI della Zeitschrift für Rechtsgeschichte, nel quale al capoverso 12 si ordina al doge Pietro d’imprendere una spedizione navale contro i Saraceni di Benevento, e come meglio di qualunque altro documento lo confermano i denari di Lodovico I e di Lotario I col nome di Venezia. Riguardo a questi denari non si può ammettere nè che gl’imperatori abbiano usato del nome di una città che a loro non era soggetta, nè che i Veneziani essendo pienamente liberi, abbiano fabbricata una moneta che aveva attinenza troppo palese con quella imperiale. «Il coniare moneta,» osserva giustamente l’A. a pag. 7, «ed il porvi il proprio nome fu sempre considerato come indizio di sovranità; ma il coniare moneta per far prova dinanzi al mondo della propria sovranità è un’idea che comincia nell’epoca civile e mostra la conoscenza del passato quale guida del presente. Laonde troveremo anche nella storia veneta un simile atto; ma più tardi solo quando il progresso civile sarà già alquanto avanzato, o quando Venezia, divenuta più forte, vedrà meno potenti i suoi vicini.» Le 24 varietà di conio che del denaro di Lodovico I il Pio sono enumerate in questo volume, valgono pure a provare che la moneta veniva fabbricata in quantità corrispondente ai bisogni di una vera circolazione e non semplicemente per far pompa di autorità. Ben 22 esemplari di tale denaro sono disegnati nelle due prime tavole, e di tutti quanti vengono indicati il peso, le collezioni in cui si conservano, e le opere che ne parlano.
L’A. s’accorda col conte di S. Quintino nel giudicare che questi denari e quelli di Lotario I, di cui conosce tre varietà, non sieno stati battuti a Venezia, dove gl’imperatori non ebbero mai potere diretto, nè tennero corte o palazzo; ma bensì in qualche officina imperiale, esistente in Italia, forse a Pavia, non potendosi ritenere che solamente dalla Francia si provvedesse ai bisogni di un regno tanto vasto. Per lo contrario non v’ha dubbio che abbia avuto origine a Venezia il successivo denaro anonimo con D • S CVNSERVA ROMANO IMP e XPE SALVA VENECIAS, il quale nel titolo, nel peso, nella forma e nell’aspetto corrisponde perfettamente a quelli che furono coniati secondo il sistema carolingio da Lodovico II. Se non che la sua diversa leggenda tradisce un primo tentativo di emanciparsi dall’autorità imperiale fatto da’ Veneziani tra l’855 e l’880, e va eziandio notato ch’esso fu fabbricato al tempo in cui per disposizione dello stesso Lodovico erasi cessato di stampare sulle monete il nome delle città. Anche questo artificio, che sarebbe stato inutile se la Repubblica avesse goduto del diritto di zecca, giova a dimostrare ancor una volta che i denari dei due predecessori non furono una semplice ostentazione.
Il Liruti, Girolamo Zanetti ed il conte Carli motivarono le loro asserzioni coi celebri trattati tra i dogi di Venezia e gl’imperatori, de’ quali il più antico spetterebbe a Lotario I e sarebbe dell’anno 840. In questo non si fa parola del diritto di zecca; ma si parla dei denari mancosi e della lira veneziana. Il Papadopoli si occupa pure di tali documenti, che appartengono alla famosa raccolta del Liber Blancus, ordinata nell’anno 1344. dal doge Andrea Dandolo, ed in merito al primo conchiude che esso non è apocrifo, come lo volle il conte di S. Quintino, ma che appartiene ad altra epoca e ad altro principe, che potrebbe essere quel Lotario II, figlio di Ugo di Provenza, che fu dal padre associato all’impero nel 931 e regnò in Italia fino al 950, anno della sua morte. Anche di questo Lotario era contemporaneo in Venezia un doge col nome di Pietro.
Laddove i diplomi seguenti di Lotario I, Lodovico II, Carlo il Grosso e de’ loro successori fino alla metà del secolo decimo hanno il carattere di vere concessioni del principe quale supremo monarca, e sono la conferma degli anteriori privilegi con l’aggiunta de’ nuovi, donde la loro intestazione di privilegium confirmationis imperatoris; invece il controverso di Lotario, che porta il titolo di pactunt inter..,, si presenta sotto la forma di un trattato convenuto quasi di comune accordo fra le due parti, e somiglia intieramente ad altri patti di questo genere, e principalmente a quelli stipulati con Berengario II nel 953 (o 951) o con Ottone I nel 967, che tenendo conto de’ cangiamenti suggeriti dalla politica del momento, si vedono riprodursi per lunga epoca anche dopo che Venezia divenuta potente, aveva raggiunta una completa indipendenza.
Coi privilegi di Rodolfo di Borgogna, 924, e del suo successore Ugo di Provenza, 927, si concede a Venezia l’uso di propria moneta, lo che viene interpretato per diritto di zecca dall’A., il quale non divide in proposito il dubbio manifestato da VincenzoPromis che anche questi documenti non sieno perfettamente genuini.
Riesce per l’opposto evidente che anche nella Repubblica aveva avuto vigore la legislazione monetaria dell’impero carolingio, e sembra naturale che ella fruisse di que’ vantaggi che i posteriori regnanti solevano accordare ai sudditi più potenti sotto forma prima di privilegio, poscia d’infeudamento, riservandosi però sempre la facoltà di disporre della moneta come di tutte le altre regalie. Per moneta propria non devesi credere che s’intendessero i nummi improntati coi nomi de’ dogi, ma bensì quelli battuti in Venezia colrindicazione della città e dell’imperatore, e ce lo conferma il fatto che mentre i secondi si succedono per un periodo di quasi due secoli da quando si cominciò ad usare del privilegio, i primi compariscono appena dopo l’anno 1156, al tempo della titanica lotta dei comuni contro Federico Barbarossa.
Dalle monete che possediamo pare che l’attività della zecca veneta non abbia avuto principio se non cinquanta o sessanta anni dopo la concessione di Rodolfo, a meno che non si voglia ammettere che non sieno pervenuti fino a noi gli esemplari di tutte le emissioni. Tale ipotesi non pare priva di fondamento. Il rovescio di queste stesse monete mostra il tempietto carolingio, nel quale le colonne sono sostituite dalla parola VENECI ed invece della leggenda XPISTIANA RELIGIO vi è un ornato di lettere che non danno alcun significato. Consta che Ottone fu il primo ad abbandonare ne’ suoi denari simile iscrizione; onde, osserva l’A., si può supporre che i Veneziani abbiano approfittato di quel diritto almeno durante il regno di questo monarca copiando il tipo dei denari imperiali di allora ed aggiungendovi soltanto il nome della loro città. In tal modo sarebbesi per tradizione conservato lo stesso tipo sulle monete di Corrado I e di Enrico II; mentre non sembrerebbe naturale che ai loro tempi si fosse preferito un tipo che era già antiquato.
Il Papadopoli divide le monete coniate da questo tempo fino al doge Vitale Michiel II in due gruppi. Nel primo colloca quelle col tempietto, facendovi precedere i denari senza nome di principe e coll’iscrizione CRISTVS IMPER, che da altri furono giudicati posteriori a quelli di Corrado I (II) e di Enrico II (III), ma che egli esaminandone il peso e con riguardo alle condizioni della potestà imperiale in Italia negli ultimi anni di Ottone III e durante le lotte tra Enrico ed Arduino, crede sieno più antichi e palesino che i Veneziani abbiano un’altra volta cercato di eliminare dalle monete il nome degli imperatori. Il secondo gruppo comprende i nummi che portano il nome di Enrico ed hanno l’effigie di San Marco. Le varietà di conio, le forme differenti delle lettere e sopratutto il loro peso vario e decrescente danno a vedere che furono fabbricati durante un numero abbastanza lungo di anni e che forse oltre ad Enrico III (IV), essi spettano anche al di lui successore Enrico IV (V).
La parte che verte intorno alle monete dei dogi da Vital Michiel II, 1156- 1172, a Cristoforo Moro, 1462-1471, non è meno pregevole della precedente ed oltre alle notizie ciii fu già accennato e che si riferiscono alle condizioni politiche ed economiche della Repubblica, v’hanno copiose informazioni circa l’origine, il valore e le vicende di ogni moneta e circa le leggi che regolavano la coniazione e le misure che dovevano impedirne gli abusi. Noi vi troviamo delle pagine importantissime, ove non con vaghi ragionamenti, ma con l’analisi di un materiale abbondantissimo e fino ad oggi poco curato, l’A. chiarisce molti dubbi, combatte non pochi errori e fa risaltare alcuni fatti che da altri non erano stati avvertiti.
Allo scopo di giovare allo studio della storia veneta e di agevolare l’intelligenza de’ documenti che la riguardano, egli si occupa dettagliatamente del sistema monetario e del metodo di conteggio usati dai Veneziani, esamina il prezzo che le monete ideali ed effettive ebbero nelle varie epoche e ne segna le alterazioni determinando il rapporto delle une verso le altre. Epperò accerta l’eguaglianza del denaro de’ primi dogi con quello di Verona e la derivazione della relativa lira da quella di Carlomagno, osservando come i denari di Sebastiano Ziani, di Orio Malipiero e di Enrico Dandolo non pesino nemmeno un quarto del primitivo denaro carolingio, al quale anche nell’intrinseco rimangono molto inferiori. Da ciò essi ebbero il nome di piccoli, che col tempo divenne ufficiale e si mantenne nelle scritture anche quando l’uso popolare diede al denaro altri appellativi. Egli tratta largamente del grosso, moneta di argento finissimo che fu creata dal doge Enrico Dandolo intorno al 1200, ed il cui valore era da prima di 26 piccoli, ma col volger del tempo salì a 48 e da ultimo a 60 piccoli non ostante che fosse stato sensibilmente diminuito anche il suo peso, dopo che per lungo tempo s’era conservato inalterato. Parimenti espone la relazione tra la lira di piccoli e la lira di grossi, che formarono la base del sistema monetario de’ Veneziani, avendo dato origine a tutte le altre di cotal nome, ed infine le mette a raffronto col ducato d’oro, il quale istituito durante il governo di Giovanni Dandolo, aveva acquistato riputazione nella maggior parte d’Europa essendosi elevato al grado di moneta universale. All’appendice prima, che riassume i risultati di queste ricerche intorno al valore della moneta di Venezia dal 1200 al 1472, vanno unite tre tavole, delle quali: la prima stabilisce il rapporto della lira di piccoli, detta semplicemente lira veneta, col grosso, ed il prezzo che tradotto nella moderna moneta decimale, corrisponde alla quantità di argento puro ch’ella rappresentava nelle varie epoche; la seconda contiene il ragguaglio tra il ducato e le lire di piccoli, precisando il peso dell’oro che spettava a ciascuna di queste conformemente alle diverse valutazioni; la terza indica la proporzione fra il valore dell’oro e quello dell’argento.
Ad ogni capitolo segue la descrizione delle monete del relativo doge, disposte secondo il metallo ed il valore. Di ciascuna vengono notati il peso ed il titolo: questo come risulta da’ documenti contemporanei o qual venne rilevato dagli assaggi chimici, e solo in pochi casi trattandosi di pezzi molto rari che non potevano abbandonarsi al crogiuolo, lo si indica in modo approssimativo. Per i nummi di maggior rarità sono citate pure le collezioni che li possiedono, e di tutti vengono enumerate le opere in cui sono descritti o disegnati.
Il Papadopoli ebbe cura di stabilire il vero nome di ciascuna moneta e non tralasciò d’indagare la destinazione di quelle che furono bensì emesse dalla zecca di Venezia, ma che dovevano aver corso in altre parti dello stato.
La piccola moneta del doge Vitale Michiel II, la quale solennemente afferma l’autonomia della Repubblica, è argomento di una interessante disquisizione, donde apparisce manifesto che questo nummo scodellato, di bassa lega che da un lato ha il busto di San Marco visto di faccia, è una frazione del piccolo e ha probabilmente analogia coll’obolo, che allora veniva usato in altri paesi dell’Italia superiore ed era corrispondente alla metà del piccolo, essendo pur chiamato mezzo denaro. Molti raccoglitori ed anche valenti numismatici non ponendo mente alla diversità dell’intrinseco, lo confusero col denaro propriamente detto, e forse tratti in errore dalla sua somiglianza coi denari che portano il nome dell’imperatore Enrico, nel classificarlo lo appellarono denaro col busto di San Marco. Ma essendo da parecchi documenti accertata l’esistenza in Venezia di una monetina inferiore per valore al denaro e che era chiamata bianco VA. ritiene che ad esso sia da attribuirsi questa denominazione, derivata probabilmente dalla patina argentea, di cui solevansi coprire le monete di biglione. Il bianco è ricordato per l’ultima volta in un atto del 1348, e la moneta in quistione dopo essersi ripetuta sotto i successori del Michiel, termina col doge Andrea Dandolo, 1343-1354. Tale coincidenza di date dimostra vieppiù che il bianco delle scritture e la piccola moneta con San Marco sono una cosa sola.
Il rarissimo bianco del Michiel è posseduto dal R. Museo di Parma, dal civico di Trieste e dalla raccolta dell’avv. Gregorutti in Fiumicello. I due ultimi furono trovati a Grado, nella laguna aquileiese, località che fornì non pochi esemplari delle più vetuste e rare monete veneziane.
Nelle collezioni figurano alcune monete di argento, generalmente dorate, tanto doppie che semplici, le quali hanno l’impronta de’ grossi veneziani; ma sono di rozza fattura, scodellati alla foggia delle bizantine, e portano il nome de’ dogi da Marino Morosini a Giovanni Soranzo. Qualificate col titolo di grosso cauceo, furono da taluno credute prodotto di una zecca veneziana che sarebbe stata istituita nella Grecia per provvedere a’ bisogni di que’ possedimenti.
Il Papadopoli si dichiara di contrario avviso, e riferendo le osservazioni fatte da Paolo Lambros e da Carlo Kunz, suppone invece che le medesime sieno state fabbricate dai piccoli principi franchi, che s’erano stabiliti sulle coste e sulle isole del Levante, ove con profitto imitavano le monete della Repubblica che da tutti erano allora tenute in sommo pregio. A questo genere di contraffazioni sono da ascriversi pure certi altri grossi piani, di provenienza orientale, che sono inferiori nell’intrinseco e talvolta anche nel peso ai veri veneziani, e non diversi sono i mezzi grossi che riproducono il tipo dell’intiero e che dalla Repubblica non furono mai coniati.
È ben vero che una legge del maggior consiglio del 1305, riportata dal Lazari, prescrive che a Corone e Modone, castella della Morea, si debbano fabbricare quelle specie di monete che sembrassero più acconce ad impedire i danni cagionati dal denaro messo in circolazione dai principi d’Acaja e di Romania. Ma mancano notizie che confermino se questo decreto sia mai stato mandato ad effetto. Piuttosto v’è da sospettare che già allora si avesse in mira la fabbricazione de’ torneselli, la quale fu incominciata appena negli ultimi anni di Andrea Dandolo.
I torneselli eseguiti a Venezia e non altrove, si avvicinano nel peso, nella forma e nel titolo a quelli di Chiarenza che in Oriente avevano il predominio per le esigenze del piccolo commercio. Da un lato essi mostrano la croce patente col nome del doge, dall’altro la leggenda VEXILIFER VENETIARVM e in luogo del castello hanno il leone alato di San Marco in quella posizione che fu detta dal volgo in molléca e con termine di zecca in soldo. Questa nuova moneta acquistò in breve tanto favore che, massime durante il principato di Antonio Venier, ne furono coniate ingenti quantità, per cui alla loro fabbricazione si dovettero preporre propri magistrati.
Quando al principiare del secolo XV la Repubblica estese i suoi domini dalla parte di terra ferma, furono presi molti provvedimenti atti a regolare il rapporto delle monete veneziane con quelle che avevano corso ne’ territori acquistati e con le monete estere. A Verona ed a Vicenza vigeva ancor l’antica lira veronese che era di un terzo maggiore della veneta; epperò nel 1404 fu fatto rivivere il mezzanino col tipo che aveva al tempo del doge Francesco Dandolo. Esso pesava un terzo del grosso ed era pari a 16 piccoli, ma equivaleva al soldo veronese; sicché in im documento lo si chiama: mezaninus venetus sive soldus de Verona. Inoltre furono introdotti de’ piccoli i quali presentano la croce perlata che divide l’epigrafe col nome del doge, e nel rovescio la testa di San Marco con la leggenda S • MARCVS VENET. Dodici di questi piccoli erano uguali al soldo veronese.
Per la prima volta sotto Tomaso Mocenigo figura una rarissima monetina di mistura alquanto più pesante dei piccoli di Verona, la quale da un lato è fregiata di una croce accantonata da quattro apici triangolari e dall’altro ha il busto di S. Marco disegnato in modo da ricordare quello degli antichi bianchi. Essa è lavorata con molta cura e rimanendo sempre rara, si succede coi nomi di Francesco Foscari, Pasquale Malipiero, Cristoforo Moro e di qualche altro doge posteriore. Siccome col principato del Mocenigo coincide l’annessione del Friuli, l’A. sospetta che per questa provincia ella fosse destinata e gliene offre motivo Tessere stati chiamati a formar parte di un collegio istituito nel 1421 per le cose della zecca, anche i Savi che dovevano investigare sopra i fatti del Friuli e delle terre nuovamente acquistate. È probabile che negli archivi di Udine si giunga a scoprire qualche atto che rechi luce in proposito; intanto ci persuade ad accettare l’ipotesi del Papadopoli un decreto, da lui citato, che nel 1442 ordina a’ massari dell’argento di mandare a Padova, a Treviso ed alle altre regioni di terra ferma e nella patria del Friuli i bagattini che si usano spendere in ciascuno di questi luoghi.
Durante il ducato di Francesco Foscari fu pensato anche ai bisogni di Brescia, Bergamo e delle altre parti della Lombardia soggette a Venezia, che usavano della lira imperiale, la quale era il doppio della veneta, e quindi a queste contrade deve spettare quel piccolo detto anche bagattino il cui dritto porta fra le braccia della croce le lettere F F D V ed il rovescio il leone accosciato senz’iscrizione. All’incontro, conforme opina l’A., il quattrino stabilito per Ravenna va cercato nella rarissima moneta, la quale ha la croce adorna di ricci ed il leone rampante privo di ali che fra le zampe tiene una banderuola. Il suo peso si avvicina assai a quello dei quattrini battuti nelle città della Romagna e che equivalevano a due denari piccoli della lira colà adoperata. Sarebbe invece il mezzo quattrino destinato per la stessa Ravenna un’altra monetina, pure di somma rarità, la quale ha il lato diritto comune con la precedente; ma nel rovescio presenta il leone accosciato col vangelo tra le zampe anteriori e S • MARCVS VENETI.
Nel 1453 s’introdussero i quattrini con la croce ed il nome del doge da una parte, e dall’altra col leone rampante senz’ali che nelle zampe anteriori porta la spada. Essi dovevano spendersi in tutto lo stato, tranne che nella città di Venezia, ed erano stati creati allo scopo di facilitare i conteggi delle varie lire adoperate nella terra ferma, per modo che i medesimi a Padova ed a Treviso valevano quattro piccoli, e tre pezzi formavano il soldo veneziano; a Verona ed a Vicenza erano uguali a tre denari della lira veronese, ed a Brescia corrispondevano a due dei bagattini del luogo, ond’erano appellati anche quattrini-duini.
L’ultimo capitolo riguarda quella moneta senza nome di doge, di cui un lato presenta l’effige di San Marco ritto di prospetto colle braccia aperte, e l'altro uno scudo bandato a scacchi e l’epigrafe in caratteri semigotici: . Vincenzo Lazari l’aveva giudicata per un tornese destinato alla Dalmazia; laddove da Carlo Kunz ella fu ritenuta per un mezzanino di grosso del valore di due soldi veneziani. Il Papadopoli esclude ambo queste ipotesi ed adducendo una deliberazione del senato presa negli anni 1410 e 1414, vi scorge il soldo di una lira particolare, propria di quei paesi ed usata anche in tempi posteriori col nome di lira dalmatica. L’aspetto della moneta ci dà il motivo della sua istituzione. Con essa la Repubblica avrebbe inteso di colpire le monete straniere, particolarmente le aquileiesi, che avevano invasa la Dalmazia e vi godevano molto favore. In fatti questo soldo ha somiglianza co’ denari del patriarca Antonio II Panciera, e lo scudo, contrariamente al primo decreto del senato che stabiliva dovesse rimaner vuoto, porta come in quelli una banda scaccata, nella quale si potrebbe ravvisare l’arma della famiglia Surian, di cui un membro per nome Jacopo era a Zara capitano nel 1416.
Nella seconda parte del volume viene pubblicata una serie di documenti che riguardano l’origine delle varie specie di monete, la loro fabbricazione, il loro valore ed il loro corso, o riproducono le leggi che venivano adottate per i magistrati preposti alla moneta e per le altre persone addette alla zecca. Un’appendice c’informa dei massari all’argento ed all’oro, de’ quali l’A. presenta un elenco più completo di quelli che furono precedentemente stampati. In altra appendice vengono da ultimo enumerate con ordine cronologico tutte le monete veneziane sino al 147 1 indicandosi il loro grado di rarità ed il prezzo che le medesime attualmente hanno in commercio.
La numismatica in Italia fece negli ultimi anni considerevoli progressi, ed accanto alle pubblicazioni migliori va annoverata la presente opera del conte Nicolò Papadopoli. Nel nostro articolo abbiamo della medesima riferito alcune parti, dalle quali per le interessanti notizie che contengono o per l’argomento trattato con novità di concetto e di giudizio, riesce evidente che il chiarissimo Autore superando abilmente le maggiori difficoltà, portò un ricco contributo alla storia della sua patria ed alla scienza delle monete. Siamo certi che non diverso sarà l’apprezzamento degli studiosi e degl’intelligenti, e che il favore col quale eglino accoglieranno questo lavoro, lo moverà a pubblicare entro breve spazio anche i due altri volumi da lui annunciati, che, se saranno degni del primo, l’opera sua potrà dirsi completa, e ben poco resterà ancora da aggiungere intorno alla moneta veneziana.
- Trieste, nel giugno del 1893.
LIBRI NUOVI.
R. Reber, Fragments numismatiques sur le Canton d’Argovie Genève, 1890, in-8, con 30 tav.
L’Autore, pubblicando questo suo lavoro e dandogli un titolo assai modesto, dichiara con pari modestia, essere sola sua intenzione di riassumere quanto fu già scritto da altri sulla storia monetaria del Cantone di Argovia, aggiungendovi quei materiali, che egli potè raccogliere colle sue ricerche e coll’aiuto d’altri.
Egli s’era da principio proposto di illustrare esclusivamente le medaglie storiche di uomini illustri, di premii, ecc. che si riferiscono al Cantone di Argovia, ma poi pensò di completare il suo lavoro pubblicando in forma riassuntiva le monete di sicura attribuzione, finora conosciute, appartenenti a quel Cantone. 11 libro è opportunamente arricchito da una bibliografia numismatica del Cantone di Argovia, assai utile per chi vuol dedicarsi allo studio di questa parte della numismatica svizzera.
A complemento del lavoro seguono infine 30 tavole, delle quali 21 illustrano le medaglie e 9 le monete.
L’Autore, ammettendo già che il suo lavoro è ben lontano dall’essere completo, accenna ad un Supplemento, che naturalmente seguirà a questo primo lavoro, e ad una seconda edizione, quando col sussidio di numismatici intelligenti in materia, potrà dare a questo primo tentativo una forma più regolare e completa. — Nel mentre quindi ringrazia tutte quelle persone che l’hanno coadiuvato nel suo lavoro, rivolge un appello a tutte quelle che potrebbero essergli utili completando il materiale da lui già raccolto e mettendolo così in grado di poter dare una completa ed esatta Monografia numismatica del Cantone di Argovia. Da parte nostra, riconoscendo la grande utilità pratica di questa illustrazione speciale, auguriamo all’Autore un buon esito in questo suo lodevolissimo intento.
E.
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Note
- ↑ Frinco e non Franco come per isbaglio dice l’Autore.