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temporanei o qual venne rilevato dagli assaggi chimici, e solo in pochi casi trattandosi di pezzi molto rari che non potevano abbandonarsi al crogiuolo, lo si indica in modo approssimativo. Per i nummi di maggior rarità sono citate pure le collezioni che li possiedono, e di tutti vengono enumerate le opere in cui sono descritti o disegnati.
Il Papadopoli ebbe cura di stabilire il vero nome di ciascuna moneta e non tralasciò d’indagare la destinazione di quelle che furono bensì emesse dalla zecca di Venezia, ma che dovevano aver corso in altre parti dello stato.
La piccola moneta del doge Vitale Michiel II, la quale solennemente afferma l’autonomia della Repubblica, è argomento di una interessante disquisizione, donde apparisce manifesto che questo nummo scodellato, di bassa lega che da un lato ha il busto di San Marco visto di faccia, è una frazione del piccolo e ha probabilmente analogia coll’obolo, che allora veniva usato in altri paesi dell’Italia superiore ed era corrispondente alla metà del piccolo, essendo pur chiamato mezzo denaro. Molti raccoglitori ed anche valenti numismatici non ponendo mente alla diversità dell’intrinseco, lo confusero col denaro propriamente detto, e forse tratti in errore dalla sua somiglianza coi denari che portano il nome dell’imperatore Enrico, nel classificarlo lo appellarono denaro col busto di San Marco. Ma essendo da parecchi documenti accertata l’esistenza in Venezia di una monetina inferiore per valore al denaro e che era chiamata bianco VA. ritiene che ad esso sia da attribuirsi questa denominazione, derivata probabilmente dalla patina argentea, di cui solevansi coprire le monete di biglione. Il bianco è ricordato per l’ultima volta in un atto del 1348, e la moneta in quistione dopo essersi ripetuta sotto i successori del Michiel, termina col doge Andrea Dandolo, 1343-1354. Tale coincidenza di date dimostra vieppiù che il bianco delle scritture e la piccola moneta con San Marco sono una cosa sola.
Il rarissimo bianco del Michiel è posseduto dal R. Museo di Parma, dal civico di Trieste e dalla raccolta dell’avv. Gregorutti in Fiumicello. I due ultimi furono trovati a Grado, nella laguna aquileiese, località che fornì non pochi esemplari delle più vetuste e rare monete veneziane.
Nelle collezioni figurano alcune monete di argento, generalmente dorate, tanto doppie che semplici, le quali hanno l’impronta de’ grossi veneziani; ma sono di rozza fattura, scodellati alla foggia delle bizantine, e portano il nome de’ dogi da Marino Morosini a Giovanni Soranzo. Qualificate col titolo di grosso cauceo, furono da taluno credute prodotto di una zecca veneziana che sarebbe stata