Pagina:Rivista italiana di numismatica 1893.djvu/446


bibliografia 397

sposizione dello stesso Lodovico erasi cessato di stampare sulle monete il nome delle città. Anche questo artificio, che sarebbe stato inutile se la Repubblica avesse goduto del diritto di zecca, giova a dimostrare ancor una volta che i denari dei due predecessori non furono una semplice ostentazione.

Il Liruti, Girolamo Zanetti ed il conte Carli motivarono le loro asserzioni coi celebri trattati tra i dogi di Venezia e gl’imperatori, de’ quali il più antico spetterebbe a Lotario I e sarebbe dell’anno 840. In questo non si fa parola del diritto di zecca; ma si parla dei denari mancosi e della lira veneziana. Il Papadopoli si occupa pure di tali documenti, che appartengono alla famosa raccolta del Liber Blancus, ordinata nell’anno 1344. dal doge Andrea Dandolo, ed in merito al primo conchiude che esso non è apocrifo, come lo volle il conte di S. Quintino, ma che appartiene ad altra epoca e ad altro principe, che potrebbe essere quel Lotario II, figlio di Ugo di Provenza, che fu dal padre associato all’impero nel 931 e regnò in Italia fino al 950, anno della sua morte. Anche di questo Lotario era contemporaneo in Venezia un doge col nome di Pietro.

Laddove i diplomi seguenti di Lotario I, Lodovico II, Carlo il Grosso e de’ loro successori fino alla metà del secolo decimo hanno il carattere di vere concessioni del principe quale supremo monarca, e sono la conferma degli anteriori privilegi con l’aggiunta de’ nuovi, donde la loro intestazione di privilegium confirmationis imperatoris; invece il controverso di Lotario, che porta il titolo di pactunt inter..,, si presenta sotto la forma di un trattato convenuto quasi di comune accordo fra le due parti, e somiglia intieramente ad altri patti di questo genere, e principalmente a quelli stipulati con Berengario II nel 953 (o 951) o con Ottone I nel 967, che tenendo conto de’ cangiamenti suggeriti dalla politica del momento, si vedono riprodursi per lunga epoca anche dopo che Venezia divenuta potente, aveva raggiunta una completa indipendenza.

Coi privilegi di Rodolfo di Borgogna, 924, e del suo successore Ugo di Provenza, 927, si concede a Venezia l’uso di propria moneta, lo che viene interpretato per diritto di zecca dall’A., il quale non divide in proposito il dubbio manifestato da VincenzoPromis che anche questi documenti non sieno perfettamente genuini.

Riesce per l’opposto evidente che anche nella Repubblica aveva avuto vigore la legislazione monetaria dell’impero carolingio, e sembra naturale che ella fruisse di que’ vantaggi che i posteriori regnanti solevano accordare ai sudditi più potenti sotto forma prima di privilegio, poscia d’infeudamento, riservandosi però sempre la facoltà di disporre della moneta come di tutte le altre regalie. Per moneta propria non devesi credere che s’intendessero i nummi im-