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monete che insieme col nome di Venezia portano pur quello degli imperatori Lodovico, Lotario, Corrado ed Enrico, e le quali vennero tirate in campo dagli scrittori non veneziani per sostenere che la veneta città mantenne a lungo rapporti di dipendenza coll’impero occidentale.

È naturale che si tentasse di diminuire l’importanza di si irrefragabile monumento, volendo taluni che le monete di questo genere fossero state coniate per le possessioni, che Venezia aveva in terra ferma e per le quali avrebbe riconosciuto il predominio imperiale, altri che esse fossero state fabbricate dagl’imperatori per affermare i diritti che vantavano, ma non possedevano su quella città. Altri invece le ascrissero alla città di Vannes nell’Armorica; altri ne negarono persino la genuinità credendole opera di falsari moderni, e ci fu Federico Schweitzer che nel suo zibaldone intitolato: Serie delle monete e medaglie di Aquileia e di Venezia, attribuì i denari col nome di Enrico imperatore al doge Enrico Dandolo, dicendo che il titolo imperiale ben poteva essergli lecito, quasi maestà, dopo la conquista di Costantinopoli. Ma le opinioni dello Schweitzer non possono destare meraviglia in chi ricorda che egli osò eliminare la zecca di Trieste solo per far piacere a certi soggetti di Oltralpe, che non potevano capacitarsi che questa città fosse stata nel medio evo qualche cosa più di un villaggio di pescatori, e che lo Schweitzer pure si distinse coli’ illustrare le falsificazioni del famigerato Cigoi di Udine.

Il Papadopoli riassume le opinioni degli scrittori più accreditati di ambo i partiti, e principalmente quelle del conte di San Quintino e di Vincenzo Promis, il qual’ultimo, com’egli riconosce, determinò l’attribuzione delle prime monete veneziane in modo assai soddisfacente. Esamina lo stato della Repubblica fino dai primi tempi e le relazioni ch’ella ebbe con Costantinopoli, e mette in rilievo la politica da lei tenuta verso il nuovo impero d’Occidente, e per la quale seppe assicurarsi il favore di questi monarchi; giacché ne riconobbe la supremazia, ma conservò l’acquisita autonomia di governo, rinvigorendola anzi con maggiori diritti e privilegi che la natura delle istituzioni germaniche rendeva compatibili con le prerogative sovrane. Egli ripete le considerazioni già svolte nell’opera che abbiamo da principio indicata, e la critica oggettiva da lui osservata ci rende chiara testimonianza che il sentimento di patria non prevalse sull’amore della verità. Dallo studio delle cose provengono i suoi retti giudizi, che il Salvioli trovò essere i più conformi alla storia ed ai documenti numismatici.

Nel mentre è certo che Carlo Magno nella pace di Aquisgrana dell’812 riconobbe di non avere alcun diritto su Venezia, ed è pro-