Monetazione Carolingia italiana. - Carlomanno
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MONETAZIONE CAROLINGIA ITALIANA
CARLOMANNO.
Begga, nipote a un Carlomanno, morto nel 615, e figlia di Pipino de Landis, primo duca del Brabante, impalmavasi, nel 649, ad Ansegiso, rampollo degli antichi re Franchi, marchese sulla Schelda e duca egli stesso del Brabante pel contratto maritaggio. Dal loro figlio Pipino, cognominato il Grosso o di Heristal, maggiordomo (maire du Palais) di tre consecutivi Merovingi, impotenti simulacri di re, discendono i fratelli Carlomanno e Pipino, l’ultimo dei quali, chiamato il Breve, impugnò lo scettro di Francia, momentaneamente ricongiunta sotto di sè, nel 752, e fu padre di un altro Carlomanno e di Carlomagno che, eletto re, nel 768, e sacrato dal pontefice imperatore a Roma, nell’800, appare il più nobile rappresentante di quella dinastia che, appellata poscia Carolingia, diede quindici re alla Francia e parecchi imperatori d’Occidente all’Europa1.
Fra i diversi figli di Luigi il Germanico, abiatico di Carlomagno, figura un novello Carlomanno, che non bisogna confondere nè coi preannunziati, nè con altri omonimi contemporanei.
Occupandoci ora di lui, intendiamo, se ci vien fatto, designare colla maggiore probabilità il luogo, dove ebbero battitura alcuni denari contraddistinti col suo nome, e che alcuni nummografi esiterebbero a ritenere usciti dalla zecca milanese, senza renderci consapevoli da quale altra fabbrica, italiana o straniera, possano essere provenuti. Per tacere d’altri, non meno autorevoli, citeremo, fra costoro, gli egregi fratelli Francesco ed Ercole Gnecchi, i quali adottarono per massima di non descrivere, nel recente e grandioso loro trattato sulle Monete di Milano, che le monete di quei principi, i quali, se non sempre, almeno qualche volta vi posero l’indicazione della zecca milanese, vale a dire il nome della nostra città2.
Al pari adunque di vari nummoli di Carlo il Grosso, di Guido, di Lamberto, ecc., anche quelli di Carlomanno, recanti dall’un de’ lati, oltre la croce, il nome suo, e dall’altro il tempietto tetrastilo, coll’epigrafe christiana religio, dovrebbero essere eliminati dalla serie monetaria milanese pel semplice motivo di non trovarsene altri di lui portanti, col suo, il nome eziandio della metropoli lombarda.
Con tutto il rispetto dovuto a sì benemeriti cultori degli studii, siaci permessa una succinta e modesta disamina.
Di conserva ad altri trattatisti, il rimpianto professore Bernardino Biondelli, nella prefazione alla succitata opera dei fratelli Gnecchi, opinerebbe che Lodovico il Pio, figlio e successore a Carlo Magno, sia stato il primo ad imprimere alle monete un carattere religioso, coll’introdurvi la duplice impronta cristiana, il tempio e l’analoga leggenda, per opporla alle parole che, quasi un grido di guerra, i Califfi conquistatori stamparono, a que’ tempi, sulle loro monete, a glorificazione di Allah e di Maometto, suo inviato3.
In relazione a siffatto avviso, il Barthélemy, appoggiandosi egli pure ad un erudito del suo paese, M. Fillon4, aveva già precedentemente portato a nostra cognizione che i più solleciti a valersi dei predetti, motto ed emblema, siano stati que’ principotti ecclesiastici, i quali, insigniti del diritto di monetazione, avrebbero trovato opportunissimo di lasciarvi un segno perenne del loro carattere precipuamente religioso5.
Senza distruggere la priorità nell’iniziativa di Lodovico il Pio, o se vuolsi quella anteriore, — giusta alcuni, — dello stesso Carlo Magno, tale congettura, anzichè apparire destituta di fondamento, rinviene un valido appoggio in molte e molte monete medioevali de’ nostri Vescovi, de’ nostri Comuni; ma in qualsivoglia guisa possa venire essa risolta dai più addottrinati, constatiamo, innanzi tutto, come il numismatico ed archeologo Barthélemy che, francese di nascita e membro della Società degli Antiquari di Parigi, dovrebbe pure saperne qualche cosa sulla storia metallica dei Carolingi, suoi connazionali, si mostri assai più esplicito in alcune particolarità meglio rispondenti al nostro assunto colle seguenti testuali dichiarazioni.
Le zecche, egli dice, stabilite dai Carolingi nel regno d’Italia e conosciute a mezzo delle monete sono sei, e le nomina, quelle di Milano, Pavia, Lucca, Treviso, Ravenna e Pisa. Non contiamo, prosegue egli, in questo numero Venezia; dappoichè pensiamo che, se quella repubblica introdusse il nome degli imperatori in alcune delle sue monete, non fece che comportarsi alla stessa maniera dei romani pontefici, i quali non intesero mai con simile atto di manifestare veruna specie di soggezione. Ripartendo poi, fra le officine delle memorate città italiane, le monete dei non pochi dominatori Carolingi, il medesimo autore attribuisce a Milano quelle di Carlomagno, Luigi I (Lodovico il Pio), Lotario I, Carlo II (Carlo il Calvo), Carlomanno, Arnolfo, Berengario, Guido, Luigi III, Ugo, Lotario II ed, escludendo dalle altre zecche italiane, notisi bene, le monete di Carlomanno, assegnate a quella soltanto di Milano, aggiudica alla zecca di Pavia altre monete carolingie di Luigi I, Lotario I, Carlo II, Arnolfo, Berengario, Rodolfo re di Borgogna6.
Le incessanti scoperte nummarie però comprendono oggidì fra le monete dì Milano anche taluna battutavi dal monarca borgognone, e così dicasi di altre monete coniate da altri dominatori sia in questa città che altrove in Italia7.
Osserva inoltre il Barthélemy, e ciò è quanto massimamente ne interessa, come sianvi parecchi re d’Italia, le cui monete non recano il nome di Milano, ma semplicemente le parole xpistiana relicio (sic), e come siasi convenuto di considerare queste monete, talvolta d’una assai larga dimensione, fabbricate nella medesima città di Milano8.
Si è convenuto, così si esprime il Barthélemy; certamente, soggiungiamo noi, si sarà convenuto fra i numismatici più accreditati di cui egli, numismatico del pari eccellente, avrà avuto contezza.
A siffatto asserto prestava fede il Morbio, come più volte ebbe a parlarcene personalmente, e come ognuno può rilevare dall’Elenco ragionato delle sue monete e medaglie vendute in Germania dopo la di lui morte, avendovi compreso sotto la zecca di Milano il denaro di Carlomanno (passato poi in nostra proprietà quantunque mancante dell’indicazione locale)9.
Non risulta che la pensasse diversamente l’Hoffmann, nel Catalogo della insigne sua Collezione Numismatica, in quella parte che riguarda le Monete Carolingie; perciocchè, assegnando egli alla zecca di Milano un denaro tolto dal Biondelli a Carlomagno per darlo a Carlo il Calvo10, esclude la possibilità che altri denari di Carlomanno e di Guido di Spoleto, recanti, col loro nome, il tempio e la iscrizione religiosa, siano stati battuti nel territorio francese, senza però addimostrare in quale altro luogo lo fossero; mentre ascrive alla Francia (non si stenta a crederlo) la moneta di altro Carlomanno, del figlio forse di Luigi il Balbo, colle parole: carloman rex e coll’accenno della città di Limoges (Limoux Civis) nell’Aquitania11.
Invano cercammo nella Numismatica Medioevale di Gioachimo Lelewel un indizio qualunque per chiarire la cosa12; ci rivolgemmo allora al Fougères e al Combrouse, i quali, citando nella loro Descrizione nummaria della seconda razza Reale di Francia, alcune monete di Carlomanno, fra cui una spettante al gabinetto Rousseau e due a quello Nazionale di Francia, riproducono, nel loro tipo, due denari del medesimo regnante alle Tav. 11 e 12, sotto i N. 146 e 148; ma sì l’uno che l’altro di questi denari differiscono da quello che noi possediamo e che reputiamo coniato in Italia, somigliante ad altro prodotto dall’Hoffmann, e da lui considerato come estraneo alle monete di conio francese13.
Il denaro di stampo largo da noi posseduto, pareggiabile a quello descritto dall’Hoffmann, reca nel diritto: + carl . oman rex, colla croce nel campo accantonata da quattro globetti, e nel rovescio: xpistiana reiicio (sic) col tempietto tetrastilo nel mezzo, sormontato da una crocetta.
Ma i due denari, essi pure di larga dimensione, fomiti dai due citati nummografi Fougères e Combrouse, presentano una maggiore rozzezza tanto nel disegno che nei caratteri della leggenda del diritto, di cui quella segnata col N. 148 viene espressa colle parole hcarlemanvs rex. Recano entrambi, del resto, la croce nel campo accantonata da quattro punti, sì l’uno che l’altro portano nel rovescio il tempio carolingio, colla scritta: xpistiana relicio; ma neanche per essi gli autori si sono presa la pena di stabilire ove possano essere stati coniati14.
Riprendiamo la storia per meglio avvalorare, se è possibile, quanto conchiuderemo di poi.
Carlomanno, terzo di nome, quale regnante, succeduto, nell’anno 876, coi fratelli, Luigi II il Giovane e Carlo il Grosso, al padre Luigi il Germanico, terzo figlio di Lodovico il Pio, ebbe da lui in retaggio il regno di Baviera, a cui aggiunse la Pannonia, la Schiavonia e la Boemia, non che la Carinzia e la Moravia, ch’egli strappò coll’armi ai rispettivi loro principi, fregiandosi altresì col titolo un po’ azzardato, se vuolsi, di re d’Italia.
Quantunque l’irrequieto ed insaziabile suo zio paterno Carlo il Calvo, l’introduttore della formula monarchica: Gratia Dei Rex15, avesse sancita la ripartizione di dominio fra i tre fratelli nipoti, Carlomanno ebbe appunto a lottare con lui per attuare, col titolo, il possesso della bella ed agognata Insubria, in cui, succedendo ai Lombardi, i Carolingi facevano presso a poco consistere il loro regno in Italia16.
Cogliendo pertanto il momento in cui lo zio avevalo preceduto in Italia per contrastarla ai Saraceni, che l’avevano invasa, calò repentinamente e si avanzò rapidamente, nell’877, in Lombardia, ove, libero da ogni impaccio, veniva proclamato re17. Tutti fuggirono innanzi a lui, i signori locali, il sommo pontefice e financo l’imperatore, che, inviati innanzi moglie e tesoro, ricalcò egli stesso la via per Francia e cadde infermo appiè delle Alpi, ove soccombette, avvelenato, dicesi, dal proprio medico israelita, chiamato Sedecia18.
Studiossi allora Carlomanno di conseguire anche la corona imperiale; ma, essendosi rivolto a papa Giovanni VIII, non ne trasse che lusinghiere promesse; per cui, tornato nell’878 in Baviera, morì, chi asserisce il 22 marzo, e chi il 3 aprile 880, in Ottinghen, nel monastero ch’egli aveavi fondato, lasciandovi due figli naturali, Gisela e Arnoldo o Arnolfo, che fu alla sua volta imperatore nell’89619.
Per quanto ristretto sia stato il tempo in cui Carlomanno rimase in Italia, bisogna convenire ch’egli, secondo l’uso de’ principi d’ogni età, non avrà mancato di contraddistinguere, e al più presto, l’effimera signoria colla maggiore e più diffusa testimonianza che possa essere tramandata ai posteri: intendiamo alludere al massimo dei diritti maestatici, quello di battere moneta col proprio nome. Che egli poi siasi valso di tale diritto a Milano, anzichè nella prossima Pavia, vogliamo arguirlo per l’autorità finora incontestata del Barthélemy che, giusta quanto abbiamo esposto, giova credere possa bastare fino almeno a prova contraria.
Notiamo poi la grande analogia fra il denaro di Carlomanno, senza indicazione di luogo, e quelli della medesima specie di altri principi Carolingi, comunemente attribuiti alla zecca di Milano; nè dobbiamo sorvolare come esso pure il denaro di Carlomanno, non sia mai stato, dalla pluralità degli intelligenti e degli amatori, sostanzialmente ammesso quale prodotto d’altra fabbrica.
Il che può dedursi dai cataloghi delle collezioni poste in vendita, non che dal prezzo abbastanza elevato a cui il denaro in quistione è sempre salito nelle pubbliche aste, sia perchè moneta, stimata non altrimenti che patria, o per dir meglio milanese; sia perchè assolutamente rara in confronto alle altre franco-italiche, atteso il brevissimo tempo, rammentiamolo ancora, in cui fu dato al titolare di emetterle rimanendo, come signore, fra noi.
Non a torto ebbe il Biondelli a riflettere che l’insufficienza delle iscrizioni nelle monete, massime in quelle coniate nei tempi a cui siamo risaliti, mette i critici in grave imbarazzo, e che molteplici sono i criterii a cui si ricorre per distinguere le une dalle altre, specialmente di principi omonimi20.
Ci si perdoni pertanto la temerità, con cui abbiamo arrischiato un nostro apprezzamento qualunque, e vogliasi, se non altro, saperci grado dell'intenzione di salvare una moneta abbastanza interessante dal ripudio d’ogni zecca.
Per amore di esattezza, non mai soverchio in questa sorta di studii, riproduciamo stampato il denaro di Carlomanno, che giace tranquillamente nel piccolo nostro medagliere, stante alcune lievi differenze fra la leggenda religiosa espressavi e quelle risultanti nei denari consimili fomiti dall’Hoffmann e dal Morbio.
- Milano, aprile 1889.
Note
- ↑ Anquetil Luigi Pietro. Histoire de France. — Lavallée Teofilo Sebastiano. Histoire des Français, etc: — Moreri Luigi. Le Grand Dictionnaire historique, ou Mélange curieux de l’Histoire sacre et profane. — Chiusole Antonio. La Genealogia delle case più illustri di tutto il mondo.
- ↑ Gnecchi Francesco ed Ercole. Le Monete di Milano da Carlomagno a Vittorio Emanuele II, ecc. Opera corredata da 58 tavole in eliotipia, Milano, Fratelli Dumolard, 1884, Avvertimenti Preliminari, pag. XXV.
- ↑ Biondelli Bernardino. Prefazione all’op. cit. dei fratelli Gnecchi, pag. XXIX, LXIV e LXV.
- ↑ Fillon M. Considérations historiques et artistiques sur les monnaies de France, p. 78.
- ↑ Barthélemy J. B. A. A. Nouvel Manuel complet de Numismatique du Moyen-Age et Moderne, avec planches, Paris, à la Librairie Encyclopédique de Roret, pag. 41.
- ↑ Barthélemy. Op. cit.
- ↑ Bertolotti Giuseppe. Illustrazione di un denaro d’argento inedito di Rodolfo di Borgogna re d’Italia, coniato in Milano circa il 922-925, Milano, Stab. G. Civelli.
- ↑ Barthélemy Op. cit., pag. 352. — Supponiamo che il libro del Barthélemy sia sfuggito alle indagini, ancorchè accuratissime, dei fratelli Gnecchi, non trovandosi, per lo meno, compreso nella Bibliografia preposta al più volte citato loro lavoro, ed è peccato; perocchè, sotto modeste apparenze, non è privo di assennate considerazioni tanto generali che speciali, e perchè vi si leggono varie pagine consacrate anche alle zecche istituite dai re di Francia in Italia, non indegne per certo di riflessi e di studi.
- ↑ Catalog einer Sammlung Italienischer Münzen aller Zeiten etc. aus dem Nachlasse der Cavaliere Carlo Morbio, in Mailand etc, München, 1882, pag. 142, N. 1836.
- ↑ Biondelli Bernardino. Prefazione cit. Malgrado il Muratori, il Le Blanc, l’Eckard, il Fougères, il Combrouse e il Mulazzani, il professore Biondelli venne tratto in questo parere dal Labus, dal Zardetti, dal Longpérier e dal Cordero di S. Quintino; ma ne conforta il vedere che, al pari di noi, abbiano in questo dissentito anche i fratelli Gnecchi, i quali, seguaci del principio: Unicuique suum, ripresero a Carlo il Calvo per ridarlo a Carlomagno l'anzidetto denaro. Fortunatamente ed eglino e noi, non siamo in cattiva compagnia, essendo sorretti dalle dottrine più largamente sviluppate dal Lelewel o richiamate dal Morbio, che vuole inoltre decisiva l’opinione del surricordato Mulazzani pei coscienziosi, esatti ed estesi suoi scandagli (Maggiora Vergano Ernesto. Rivista Numismatica Italiana. Asti, Tip. Raspi e Comp., vol. II, pag. 4).
- ↑ Collection H. Hoffmann — Monnaies françaises — Première partie — Monnaies Gauloises, Mérovingiennes et Carolingiennes, etc. Catalogue, Paris, 1887, pag. 25 e 29.
- ↑ Lelewel Joachim. Numismatique du Moyen-Age considérée sous le rapport du type, etc, Paris, 1835, avec atlas et tables chronologiques.
- ↑ Fougères et Combrouse. Description des monnaies de la deuxième race royale de France, Paris, 1884, in-4°, avec 42 tables. — Collection Hoffmann, op. cit.
- ↑ Fougères et Combrouse. Op. cit.
- ↑ Biondelli. Op. cit.
- ↑ Anquetil, Moreri. Op. cit.
- ↑ Dictionnaire des Dates.
- ↑ Anquetil, Op. cit.
- ↑ Moreri. Op. cit. Dictionnaire des Dates.
- ↑ Biondelli. Op. cit.