Rime scelte di M. Cino da Pistoia/Dolori dell'amore

Dolori dell’amore

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Contemplazione della bellezza Esiglio, dolori civili, morte di Selvaggia
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DOLORI DELL’AMORE




LIII


     Ahimè! ch’io veggio ch’una donna viene
Al grand’assedio della vita mia,
Irata sì ch’ancide e manda via
Tutto ciò ch’è ’n la vita e la sostiene:
     Onde riman lo cuor, ch’è pien di pene,5
Senza soccorso e senza compagnia,
E per forza convien che morto sia
Per un gentil desìo ch’Amor vi tiene.
     Questo assedio sì grande ha posto morte,
Per conquider la vita, intorno al cuore,10
Che cangiò stato quando ’l prese Amore
     Per quella donna che si mira forte,
Come colei che sel pone in disnore,
Onde assalir lo vien sì ch’ei ne muore.

(Ragguagliato su l’edizion giuntina, e su la lezione che ne dà il Fraticelli nelle Rime apocrife di Dante.)




LIV


     Ben dico certo che non fu riparo
Che ritenesse de’ suoi occhi il colpo:
E questo gran valor io non incolpo
Ma ’l duro cor d’ogni mercede avaro,
     Che mi nasconde ’l suo bel viso chiaro;5
Onde la piaga del mio cor rimpolpo:
Lo qual neente lagrimando scolpo,
Nè movo punto col lamento amaro.

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     Così è tutta via bella e crudele,
D’amor selvaggia, e di pietà nemica;10
Ma più m’incresce che convien ch’io ’l dica
     Per forza del dolor che m’affatica;
Non perch’io contr’a lei porti alcun fele,
Chè via più che me l’amo, e son fedele.

(Ragguagliato e corretto su l’edizion giuntina, dov’è tra le Rime di Dante, e su la lezione che ne dà il Fraticelli, l. c.)




LV


     Non v’accorgete, donna, d’un che smuore
E va piangendo, sì si disconforta?
Io prego voi, se non ve ’n siete accorta,
Che lo miriate per lo vostro onore.
     Ei se ’n va sbigottito e d’un colore5
Che ’l fa parere una persona morta,
Con tanta doglia che negli occhi porta
Che di levargli già non ha valore.
     E quando alcun pietosamente il mira,
Il cor di pianger tutto si distrugge,10
E l’anima se ’n duol sì che ne stride:
     E se non fusse ch’egli allor si fugge,
Sì alto chiama voi quand’ei sospira,
Ch’altri direbbe — Or sappiam chi l’uccide. —

(Ragguagliato e corretto su l’edizion giuntina e su la lezione datane dal Fraticelli in Rime apocrife di Dante, ed. cit.)




LVI


     Io sento pianger l’anima nel core,
Sì ch’agli occhi fa pianger li suoi guai,
E dice — Oimè lasso!, io non pensai
Che questa fusse di tanto valore;

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5     Chè per lei veggio la faccia d’Amore
Vie più crudel ch’io non vidi già mai,
E quasi irato mi dice — Che fai
Dentro questa persona che si more? —
     Dinanzi agli occhi miei un libro mostra,
10Nel quale io leggo tutti que’ martìri
Che posson far vedere altrui la morte.
     Poscia mi dice — O misero, tu miri
Là ov’è scritta la sentenza nostra
Che tratta del piacer di costei forte? —




LVII


     Ahi lasso!, ch’io credea trovar pietate,
Quando si fosse la mia donna accorta
Della gran pena che ’l mio cor sopporta;
Et io trovo disdegno e crudeltate
     5E guerra forte in luogo d’umiltate,
Sì ch’io m’accuso già persona morta;
Ch’io veggio che mi sfida e disconforta
Quel che dar mi dovrebbe sicurtate.
     Però parla un pensier, che mi rampogna
10Com’io più viva, non sperando mai
Che tra lei e pietà pace si pogna:
     Onde morir pur mi conviene omai;
E posso dir che mal vidi Bologna
Ma più la bella donna ch’io guardai.

(Ragguagliato e corretto sull’edizion giuntina, ov’è attribuito a Dante, e su la lezione che ne dà il Fraticelli nelle Rime apocrife di Dante.)



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LVIII


     Non credo che ’n madonna sia venuto
Alcun pensiero di pietate, pui
Ch’ella s’accorse ch’io avea veduto
Amor gentile ne’ begli occhi sui;
     E però vo come quel che è smarruto5
Che dimanda mercede e non sa a cui,
E porto dentro agli occhi un cor feruto
Che quasi morto si dimostra altrui.
     Io non ispero mai se non pesanza,
Ch’ella ha preso disdegno et ira forte10
Di tutto quel che aver dovrìa pietanza:
     Ond’io me ne darei tosto la morte,
Se non ch’Amor, quand’io vo in disperanza,
Te mi dimostra simile in sua corte.




LIX


     Udite la cagion de’ miei sospiri,
Se già mai fu per me nata mercede.
Qualora il mio pensier fra me si riede,
E chiama innanzi a sè li miei desiri,
     5Presentansi pien tutti di martìri,
Che vengon dalla vista che procede
Dalla ciera gentil, quando mi vede.
Che come suo nemico par mi miri.
     Laonde in ciò mi struggo, e vo a morire
10Chiamando morte; che per mio riposo
Mi teglia innanzi ched io mi disperi:
     Miranla gli occhi miei sì volentieri.
Che contr’al mio voler mi fanno gire
Per veder lei, cui sol guardar non oso.



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LX


     Questa leggiadra donna, ched io sento
Per lo suo bel piacer nell’alma entrata,
Non vuol veder la ferita c’ha data
Per gli occhi al cor che sente ogni tormento:
     5Anzi si volge di fiero talento
Fortemente sdegnosa et adirata,
E con questi sembianti è sì cambiata
Ch’io me ne parto di morir contento;
     Chiamando per soverchio di dolore
10Morte sì come mi fosse lontana.
Et ella mi risponde nello core:
     All’otta ch’odo ch’è sì prossimana,
Il spirito accomando al mio signore,
Poi dico a lei — Tu mi par dolce e piana. —




LXI


     Tu che sei voce che lo cor conforte,
E gridi, e ’n parte, dove non può stare
L’anima nostra, tue parole porte;
Non odi tu ’l signore in lei parlare
     5E dir che pur convien che mi dia morte
Questo novello spirito, ch’appare
Dentro d’una vertù gentile e forte,
Sì che qual fiere non può più campare?
     Tu piangerai con lei, s’ascolti bene,
10Ch’esce per forza de’ molti martìri
D’esto suo loco, che sì spesso muore;
     E fuor degli occhi miei piena ne viene
Delle lagrime ch’escon de’ sospiri,
Ch’abbondan tanto quanto fa ’l dolore.



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LXII


     L’anima mia vilmente è sbigottita
Della battaglia che la sente al core.
Che, se pur s’avvicina un poco Amore
Più presto a lei che non soglia, ella more:
     5Sta come quei dhe non ha più valore,
Ch’è per temenza dal mio cor partita;
E chi vedesse com’ella n’è gita,
Dirìa per certo — Questi non ha vita. —
     Per gli occhi venne la battaglia pria,
10Che roppe ogni valore immantenente.
Sì che del colpo fìer strutta è la mente.
     Qualunque è quel che più allegrezza sente,
S’ei vedesse il mio spirito gir via,
Sì grande è la pietà, che piangerìa.




LXIII


     Ogni allegro pensier ch’alberga meco,
Sì come peregrin, giunge e va via;
E sei ragiona della vita mia,
Intendol sì com’fa ’l Tedesco il Greco.
     5Amor, così son costumato teco.
Che l’allegrezza non so che si sia;
E se mi mandi a lei per altra via,
Più dolor sempre al cor dolente reco;
     Et honne dentro a lui soverchio tanto,
5Che tutto quanto per le membra corre
E si disvia in me per ogni canto.
     Ahi doloroso me! chi mi soccorre?
Ben veggio mi convien morir del pianto,
Che non si può per nulla cosa tôrre.



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LXIV


     Tanta è l’angoscia c’haggio dentro al core,
Che spesse fiate l’alma ne sospira;
E se un pensier non fusse che ’l dolore
Allevia quando Amor gli occhi suoi gira,
     5Io sarei già di questa vita fore:
Ora madonna che ’l mio mal desira,
Veggendomi languire a tutte l’ore,
Lieta è del male, e del mio ben s’adira.
     Onde mi spiace quel che Amore aggrada;
10Et è sì tale il duol ch’ogn’or rinnovo,
Che nelle vene il sangue mi s’agghiada.
     Amor, s’altro sollazzo ’n te non trovo,
Seguir non vo’ quel ch’a me tanto sgrada;
Che troppo affanno è quel che per lei provo.




LXV


     Guardate, amanti! io mi rivolgo a vui,
Perchè so ben ch’altrui
Intendere non può qual stato è ’l mio.
Amo quanto si può, ne per conforto
5Dell’amoroso affanno altro disìo
Che veder gli occhi della donna mia:
Et ella, perch’io sia
Fra gl’infelici amanti il più infelice,
Questo ancor mi disdice;
10E sol mi mostra tanto il suo bel viso,
Ch’io veggia che ’l mio duol le muova riso.

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LXVI


     Guarda crudel giudicio che fa Amore
Di me, perchè pietà non mi fu intesa,
Quando dissi a madonna ch’era presa
La mente mia per lo suo gran valore.
     5Egli ha spogliato il doloroso core
E ’nnanzi agli occhi m’ha la vita impesa,
E fieramente con sua face accesa
Va tormentando l’anima che more.
     Questa sentenza d’Amor, che fu data
10Per crudeltate della donna mia.
Come crudele ad effetto è mandata:
     E mai non spero ch’altro di me sia,
Se vertù nova dallo ciel mandata
Non è per la pietà, ch’ella sen gìa.




LXVII


     O tu Amor che m’hai fatto martìre,
Per la tua fè, di languore e di pianto,
Dammi, per dio, della tua gioia alquanto,
Ch’io possa un poco del tuo ben sentire:
     5E se ti piace pur lo mio languire,
Morir mi farà poi certo cotanto,
Facendomi tornar sotto l’ammanto
Ove poi piagnerò pene e gioire.
     Uom che non vide mai ben nè sentìo
10Crede che ’l mal sia così naturale,
Però gli è più leggier: e così è ’l mio:
     Quella è la via di conducermi a tale
Ch’i’ senta ’l mal secondo ch’egli è rio,
Provando ’l suo contrario quanto vale.



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LXVIII


     Amor, la doglia mia non ha conforto,
Perch’è fuor di misura:
Così la mia ventura,
Quando m’innamorò, m’avesse morto!
     5S’ella m’avesse, quando io dico, ucciso,
Non era il mio morire
Grave più che si porti il corso umano:
Ma or, s’io moro, perderò il bel viso;
Dal qual tanto distrano
10In verità mi sarà ’l dispartire,
Che, s’io potessi propriamente dire,
Non credo fusse core
Sotto tua legge, Amore,
Che non pigliasse martìro e sconforto.




LXIX


     La grave udienza degli orecchi miei
M’have sì piena di dolor la mente,
Che ’l mio cor, lasso!, doglioso si sente
Involto di pensier crudeli e rei;
     5Però che mi fu detto da colei,
Per cui speravo viver dolcemente,
Cose che sì m’angoscian duramente,
Che per men pena la morte vorrei;
     E sarebbemi assai meno angosciosa
10La morte della vita ch’io attendo,
Poiché l’è piena di tanta tristizia;
     Chè là ond’io credevo aver letizia
Pena dato m’è or sì dolorosa,
Che mi distrugge e consuma languendo.



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L


     Se non si muor, non troverà mai posa,
Così l’avete fortemente in ira,
Questo dolente che per voi sospira
Nell’anima che sta nel cor dogliosa:
     5Et è la pena sua tanto angosciosa.
Che pianger ne dovrìa ciascun che ’l mira
Per la pietà che pare allor ch’ei gira
Gli occhi che mostran la morte entro ascosa.
     Ma, poi v’aggrada, non vuol già salute
10Nè ridôtta il morir, come coloro
Li quai son forti nel terribil punto;
     Per gli occhi vostri che sì accorti fôro,
Che trasser del piacere una virtute,
Che ’nforza il core essendo a morte giunto.




LXXI


     Perchè nel tempo rio
Dimoro tutta via aspettando peggio,
Non so com’io mi deggio
Mai consolar, se non m’aiuta Dio
5Per la morte ch’io cheggio
A lui che vegna nel soccorso mio,
Ch’e’ miseri, com’io,
Sempre disdegna, com’or provo e veggio.
Non mi vo’ lamentar di chi ciò face,
10Perch’io aspetto pace
Da lei su ’l punto dello mio finire;
Ch’io le credo servire,
Lasso, così morendo,
Poi le disservo e dspiaccio vivendo.
     15Deh or m’avesse Amore,
Prima ch’io ’l vidi, immantenente morto,

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Che per biasmo del torto
Avrebbe a lei et a me fatto onore!
Tanta vergogna porto
20Della mia vita che testè non more,
Ch’è peggio del dolore
Nel qual d’amar la gente disconforto;
Chè una cosa è l’Amore e la Ventura,
Che soverchian natura,
25L’un per usanza e laltra per sua forza;
Sì ch’io vo’ per men male
Morir contro alla voglia naturale.
     Questa mia voglia fera
È tanto forte, che spesse fïate
30Per l’altrui potestate
Darìa al mio cor la morte più leggiera:
Ma, lasso!, per pietate
Dell’anima mia trista, che non pêra
E torni a Dio qual’era,
35Ella non muor, ma vive in gravitate;
Ancor ch’io non mi creda già potere
Finalmente tenere
Che a ciò per soverchianza non mi mova
Misericordia nova:
40Ma avrà forse mercede
Allor di me il signor che questo vede.
     Canzon mia, tu starai dunque qui meco
A ciò ch’io pianga teco:
Ch’io non so dove tu ti possa andare,
45Ch’appo lo mio penare
Ciaschedun altro ha gioia:
Non vo’ che vadi altrui facendo noia.


(Ragguagliata e migliorata su l’edizion giuntina e su la lezione che ne dà il Fraticelli nelle Rime apocrife di Dante.)



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LXXII


     O giorno di tristizia e pien di danno,
O ora e punto reo ch’io nato fui
E venni al mondo per dare ad altrui
Di pene essempio d’amore e d’affanno!
     Se le pene che l’alme in lo ’nferno hanno5
Fossero un corpo il qual venisse pui
Nel mondo, già non si vedriano in lui
Cotante pene quante in me si stanno.
     Tu solo, Amor, m’hai messo in tale stato,
E di me fatto hai fonte di martìri,10
Di malignanza e di tristizia loco;
     E mi fai dimorar in ghiaccio e ’n foco,
E di pianto e d’angoscia e di sospiri
Pasci il mio cor dolente disperato.




LXXIII


     — Uomo smarrito che pensoso vai,
Che hai tu, che tu sei così dolente?
Che vai tu ragionando con la mente,
Traendone sospiri spesso e guai?
     E’ non pare che tu sentissi mai5
Di ben alcun che il core in vita sente,
Anzi par che tu muori duramente
Negli atti e ne’ sembianti che tu fai.
     Se tu non ti conforti, tu cadrai
In disperanza sì malvagiamente.10
Che questo mondo e l’altro perderai.
     Deh vuoi tu morir così vilmente?
Chiama pietate, chè tu camperai. —
Questo mi dice la pietosa gente.



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LXXIV


     Tutto ciò ch’altrui piace, a me disgrada;
Ed emmi a noia e spiace tutto 'l mondo.
— Or dunque che ti piace? — Io ti rispondo
— Quando l’un l’altro spessamente agghiada:
5     E’ piacemi veder colpi di spada
Altrui nel volto, e navi andar al fondo:
E piacemi veder Neron secondo,
E che s’ardesse ogni femina lada.
     Molto mi spiace allegrezza e solazzo;
10E la malinconia m’aggrada forte;
E tutto ’l dì vorrei seguire un pazzo;
     E far mi parerìa di pianto, corte,
Ed ammazzar tutti quei ch’io ammazzo
Con l’arme del pensier u’ trovo morte.




LXXV


     Vinta e lassa era già l’anima mia
E ’l corpo in sospirar et in trar guai,
Tanto che nel dolor m’addormentai,
E nel dormir piangeva tutta via.
5     Per lo fiso membrar che fatto avìa
Poi ch’ebber pianto gli occhi miei assai,
In una nuova vision entrai;
     Ch’Amor visibil veder mi parìa,
Che mi prendeva e mi menava in loco,
10Ov’era la gentil mia donna sola:
Davanti a me parea che gisse un foco,
     Dal qual parca che uscisse una parola,
Che diceva — Mercè, mercè un poco! —
Chi ciò mi ’spon con l’ale d’Amor vola.



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LXXVI


     Deh, com’sarebbe dolce compagnìa
Se questa donna ed Amor e Pietate
Fossero ’nsieme in perfetta amistate
Secondo la vertù e onor disìa;
     E l’un dell’altro avesse signorìa,5
E ’n sua natura ciascun libertate,
Perchè ’l core alla vista d’umiltate
Simile fosse sol per cortesìa;
     Et io vedessi ciò, sì che novella
Ne portassi gioiosa all’alma trista!10
Voi odireste lei nel cor cantare,
     Spogliata del dolor che la conquista;
Ch’ascoltando un pensier che ne favella,
Sospirando s’è ito in lei a posare.




LXXVII


     Quando potrò io dir — Dolce mio Dio,
Per la tua gran virtute
Or m’hai tu posto d’ogni guerra in pace.
Lasso!, che gli occhi miei, com’io disìo,
Vegghin quella salute5
Che dopo affanno riposar ne face! —
Quando potrò io dir — Signor verace,
Or m’hai tu tratto d’ogni scuritate;
Or liberato son d’ogni martìro;
Però ch’io veggio e miro10
Quella ch’è dea d’ogni gentil beltate,
E m’empie tutto di suavitate. —
     Increscati oggi mai, signor possente
Che l’alto ciel distringi.
Della battaglia de’ sospir ch’io porto,15
E della guerra mia dentro la mente
Là ove tu dipingi

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Quel che rimira l’intelletto accorto!
Increscati del cor, che giace morto
Da Amor con quella sua dolce saetta20
Che fabbricata fu del suo piacere;
Nel qual sempre vedere
Tu mi facesti quella donna eletta,
Cui d’ubbidir agli angeli diletta.
     Muoviti, signor mio cui solo adoro,25
Signor cui tanto chiamo,
Signor mio solo a cui mi raccomando,
Deh moviti a pietà! vedi ch’io moro;
Vedi per te quant’amo;
Vedi per te quante lagrime spando!30
Ahi, signor mio, non sofferir che, amando,
Da me si parta l’anima mia trista,
Che fu sì lieta di quella sentita!
Vedi che poca vita
Rimasa è in me, se non se ne racquista35
Per grazia sol della beata vista.
     Canzon, tu puoi ben dire,
S’a pietà non si muove il mio signore,
Alla mia donna, che già mai redire
Non spero e che 'l dolore40
In breve tempo mi farà finire.