Rime di Argia Sbolenfi/Libro secondo/Ode farmaceutica

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Libro secondo - Al mio destriero Libro secondo - Ode ostetrica
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ODE FARMACEUTICA



Ho sognato un mar di laudano
     Denso, nero e sterminato,
     Come un piano formidabile
     4Di sciroppo concentrato.
          Sovra l’onde immote e brune,
          Tra i vapor del zafferano,
          Svolazzavano importune
          8Molte mosche di Milano.

Io, per far con meno incomodo
     Di quel mar la traversata,
     Mi recai sul porto prossimo
     12E vi presi una fregata.
          Il suo nome si leggea
          Scritto a lettere d’un metro,
          Vale a dir FARMACOPEA,
          16E l’aveva per didietro.

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Grossi e ritti erano gli alberi
     Con le vele di cerotto,
     Con le sartie e con le gomene
     20Verniciate di decotto;
          E la nave fabbricata
          Di campeggio e legno quassio,
          Era tutta incatramata
          24Di ioduro di potassio,

Drappeggiati in negre tonache
     Molti giovani assistenti
     Impastavano le pillole
     28Lassative od astringenti,
          Le supposte, i vescicanti
          E gli empiastri da enfiagione
          Da servire ai naviganti
          32A merenda e colazione.

Un po’ il fuoco che facevano,
     Un po’ il caldo naturale,
     In quel tanfo farmaceutico
     36Mi sentivo venir male;
          Per cui, visto un recipiente,
          Ci sedei sopra di botto
          E, vedendo un assistente,
          40Chiamai forte — Ehi, giovinotto! —

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 — Che comanda? — chiese il giovane —
     Vuol di malva una infusione?
     Vuol copaive in mucillaggine?
     44Preferisce una iniezione? —
          Adirata lo ribattei:
          — Non son quella che credete!
          Non ho il male che avrà lei;
          48Ho soltanto un po’ di sete. —

 — Sete? — disse — Il male è piccolo
     E guarir con l’acqua suole;
     Ma se l’acqua ella desidera,
     52Mi dirà come la vuole.
          Forestiera o del paese?
          Vuol Tettuccio o Castrocaro?
          Vuol un po’ d’acqua ungherese
          56O un bicchier di sale amaro? —

— Voglio solo acqua purissima! —
     Furibonda allor gli osservo.
     Mi rispose: — Va benissimo,
     60Ma in che modo gliela servo?
          Perchè buono è da sapersi
          Che da noi s’usa di bere
          In due modi assai diversi:
          64O per bocca o per clistere. —

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Detto fatto e dalla tonaca
     Con un gesto pittoresco
     Tirò fuori una gran cannula,
     68Un affare gigantesco,
          E mentr’io gridava: — Ehi, senta...
          Lei m’ha preso per isbaglio! —
          Quel birbone d’assistente
          72Lo puntava nel bersaglio.

Se non era che voltandomi
     Torsi il fianco un poco a destra,
     Quell’infame di flebotomo
     76Scaricava la balestra;
          Ma, insistendo l’animale,
          Ne successe un serra serra
          E, com’era naturale,
          80Tutto il brodo andò per terra.

Io credevo d’esser libera,
     Ma mi accadde un altro guaio
     Ch’egli prese dietro a corrermi
     84Col pestello del mortaio.
          Un orrore, uno spavento,
          Un battaglio da museo,
          Una razza di strumento
          88Da sfondare un mausoleo!

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Io già stavo per soccombere
     Alla orribile balista,
     Ma gridai: — Galeno salvami,
     92Da quest’empio farmacista! —
          E ad un tratto, e fu un enigma,
          Spirò un’aria purgativa
          Che pareva un borborigma...
          96E sbarcai sull’altra riva.