Rime (Veronica Franco)/Terze rime/XIX
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XIX
Della signora Veronica Franca
Ad un uomo di religione, pel quale provò in gioventú un amore non dichiarato, Veronica manifesta, ora ch’egli è giunto all’etá matura, i suoi sentimenti, mutati in fervida amicizia, e lo prega di benevola e cordiale corrispondenza.
Quel che ascoso nel cor tenni gran tempo
con doglia tal, ch’a la lingua contese
narrar le mie ragioni a miglior tempo;
4quelle dolci d’amor amare offese,
che di scovrirle tanto altri vai meno,
quanto ha piú di far ciò le voglie accese;
7or, che la piaga s’è saldata al seno
col rivoltar degli anni, onde le cose
mutan di qua giú stato e vengon meno,
10vengo a narrar, poi che, se ben noiose
a sentir furo, ne la rimembranza
or mi si volgon liete e dilettose.
13Cosi spesso di far altri ha in usanza,
dopo ’l corso periglio, e maggiormente
se d’uscirne fu scarsa la speranza.
16Or sicura ho ’l pericolo a la mente,
quando da’ be’ vostr’occhi e dal bel volto
contra me spinse Amor la face ardente:
19ed a piagarmi in mille guise vólto,
dal fiume ancor de la vostra eloquenza
il foco del mio incendio avea raccolto.
22L’abito vago e la gentil presenza,
la grazia e le maniere al mondo sole,
e de le virtú chiare l’eccellenza,
25fúr ne la vista mia lucido sole,
che m’abbagliár e m’arser di lontano,
si ch’a tal segno andar Febo non suole.
28Ben mi fec’io solecchio de la mano,
ma contra si possente e fermo oggetto
ogni riparo mio fu frale e vano:
31pur rimasi ferita in mezzo ’I petto,
sí che, perduto poscia ogni altro schermo,
arder del vostro amor fu ’l cor costretto:
34e con l’animo in ciò costante e fermo
vi seguitai; ma mover non potea
il piede stretto d’assai nodi e infermo.
37Tanta a me intorno guardia si facea,
che d’assai men dal cielo a Danae Giove
in pioggia d’oro in grembo non cadea.
40Ma l’ali, che ’l pensier dispiega e move,
chi troncar mi poteo, se mi fu chiuso
al mio arbitrio l’andar co’ piedi altrove?
43Pronto lo spirto a voi venia per uso,
né tardava il suo volo, per trovarsi
del grave pianto mio bagnato e infuso.
46E bench’al mio bisogno aiuti scarsi
fosser questi, vivendo mi mantenni,
come in necessitá spesso suol farsi;
49e cosí sobria in mia fame divenni,
ch’assai men, che d’odor, nel mio digiuno
sol di memoria il cor pascer convenni.
52Cosi, senza trovar conforto alcuno,
la soverchia d’Amor pena soffersi,
in stato miserabile importuno:
55nel qual, ciò che i tormenti miei diversi
far non poter, col tempo i miei pensieri
vari da quel ch’esser solean poi férsi.
58Voi ve n’andaste a popoli stranieri,
ed io rimasi in preda di quel foco,
che senza voi miei di fea tristi e neri;
61ma, procedendo l’ore, a poco a poco
del bisogno convenni far virtute,
e dar ad altre cure entro a me loco.
64Questa fu del mio mal vera salute:
cosi divenne alfin la mente sana
da le profonde mie gravi ferute:
67il vostro andar in region lontana
saldò ’l colpo, benché la cicatrice
render non si potesse in tutto vana.
70Forse stata sarei lieta e felice,
nel potervi goder a mio talento,
e forse in ciò sarei stata infelice.
73La gran sovrabondanza del contento
potria la somma gioia aver cangiato
in noioso e gravissimo tormento;
76e, se da me in disparte foste andato,
in tempo di mio tanto e di tal bene,
infinito il mio duol sarebbe stato.
79Cosi non vòlse ’l ciel liete e serene
far l’ore mie, per non ridurmi tosto
in prova di piú acerbe e dure pene.
82Ond’io di quanto fu da lui disposto
restar debbo contenta; e pur non posso
non desiar ch’avenisse l’opposto.
85Da quel che sia ’l mio desiderio mosso
in questo stato, non so farne stima,
ché s’è da me quel primo amor rimosso.
88Quanto cangiato in voi da quel di prima
veggo M bel volto! Oh in quanto breve corso
tutto rode qua giuso il tempo, e lima!
91Di molta gente nel comun concorso
quante volte vi vidi e v’ascoltai,
e dal bel vostro sguardo ebbi soccorso!
94E, se ben il mio amor non vi mostrai,
o che ’l faceste a caso, o per qual sia
altra cagion, benigno vi trovai;
97per ch’ora in una, ed ora in altra via
di devoto parlar, con atto umano,
volgeste a me la fronte umile e pia;
100e, nel contar il ben del ciel sovrano,
v’affisaste a guardarmi, e mi stendeste,
or larghe or giunte, l’una e l’altra mano:
103ed altre cose simili faceste,
ond’io tolsi a sperar che del mio amore
cautamente pietoso v’accorgeste.
106Quinci s’accrebbe forte il mio dolore
di non poter al gusto d’ambo noi
goder la vita in gioia ed in dolzore.
109Mesi ed anni trascorsero da poi,
ond’a me variar convenne stile,
com’ancor forse far convenne a voi.
112Or vi miro non poco dissimile
da quel che solevate esser davante,
de l’etá vostra in sul fiorito aprile.
115Oh che divino angelico sembiante,
quel vostro, atto a scaldar ogni cor era
d’agghiacciato e durissimo diamante!
118Or, dopo cosí lieta primavera,
forma d’autunno, assai più che d’estate,
varia vestite assai da la primiera.
121E, se ben in viril robusta etate,
l’oro de la lanugine in argento
rivolto, quasi vecchio vi mostrate;
124benché punto nel viso non s’è spento
quel lume di beltá chiara e serena,
ch’abbaglia chi mirarvi ardisce intento.
127Questa con la memoria mi rimena
del vostro aspetto a la prima figura,
ond’ebbi giá per voi si crudel pena;
130e, mentre ’l pensier mio stima e misura,
e pareggia l’effigie di quegli anni
con questa de l’etá d’or piú matura,
133di fuor sento scaldarmi il petto e i panni,
senza che però ’l cor dentro si mova,
per la memoria de’ passati affanni.
136In questo l’alma un certo affetto prova,
ch’io non so qual ei sia; se non che vosco
Tesser e ’l ragionar mi piace e giova;
139e, se ’l giudicio non ho sordo e losco,
quest’è de l’amicizia la presenza,
ch’ai volto ed a la voce io la conosco.
142Del mio passato amor da la potenza
queste faville in me sono rimaste,
pili temperate e di minor fervenza:
145da queste accesa, le mie voglie caste
in quella guisa propria di voi formo,
che ’l santo Amor a cinconscriver baste.
148In amicizia il folle amor trasformo,
e, pensando a le vostre immense doti,
per imitarvi l’animo riformo;
151e, se ’n ciò i miei pensier vi fosser noti,
i moderati onesti miei desiri
non lascereste andar d’effetto vuoti.
154Per cui convien ch’ognor brami e desiri
de le vostre virtú gustar il frutto,
e, quando far noi posso, ne sospiri.
157Ma, se convien a voi cangiar ridutto,
e peregrin da noi gir in disparte,
non mi negate il favor vostro in tutto.
160Basta che se ne porti una gran parte
seco la mia fortuna: in quel che resta
supplite con gli inchiostri e con le carte.
163Non vi sia la fatica in ciò molesta,
poi che l’alma affannata, piú ch’altronde,
quinci gioiosa si può far di mesta.
166Quando siate di lá da le salse onde,
vi prego con scritture visitarmi
piene d’amor che grato corrisponde:
169e, volendo piú a pieno sodisfarmi,
questo potrete agevolmente farlo
con alcuna vostr’opera mandarmi.
172E, quand’io non sia degna d’impetrarlo,
per alcun vanto espresso che ’n me sia,
da la vostra bontá voglio sperarlo;
175da la vostra infinita cortesia,
benché convien a l’amor ch’io vi porto,
che da voi ricompensa mi si dia.
178E, facendo altrimenti, avreste il torto:
ond’io, per non far debil mia ragione,
del dever v’ammonisco, e non v’essorto.
181Si voglion certo amar quelle persone,
da le quai noi amati si sentimo:
cosi la buona civiltá dispone;
184e tanto importa ad amar esser primo,
che, se l’amato a ridamar non vola,
macchia ogni sua virtú d’oscuro limo.
187Questo è, che mi confida e mi consola:
che cader non vorrete in cotal fallo,
ch’ogni ornamento a la virtute invola.
190Come bel fiore in lucido cristallo,
traspar ne le vestigie vostre esterne
lo spirto, ch’altrui rado il ciel tal dállo:
193l’alma in voi nel sembiante si discerne,
che di vaghezza esterior contende
con le virtuti de la mente interne.
196Ben chi è tal, se lo specchio inanzi prende,
dilettato dal ben che ’n lui fuor vede,
a far simile al volto il senno attende;
199e, mentre move per tai scale il piede,
nel proporzionar tal di se stesso,
ogni condizion mortale eccede.
202Beato voi, cui far questo è concesso,
e cotanto alto giá sète salito,
che nullo avete sopra, e pochi presso!
205Ben quindi fate ognor cortese invito,
le man porgendo altrui, perché su monti,
di zelo pien di caritá infinito;
G. Stampa e V. Franco, Jtimc.
208ma tutti non han piè veloci e pronti,
sí come voi, in cosí ardua strada,
e voi M sapete, senza ch’io’l racconti.
211Ma però nulla in suo valor digrada
la vostra dignitá, se in ciò s’abbassa,
per sostener chi v’ama, che non cada.
214Io, sol nel primo entrar giá vinta e lassa,
il vostro aiuto di lontan sospiro
con occhi lagrimosi e fronte bassa:
217volgete il guardo a me con dolce giro,
ed a la mia devozione atteso,
degnatemi d’alcun vostro sospiro.
220Ciò ne la vostra assenza a me conteso
prego non sia, e del vostro ozio ancora
alcuno spazio a scrivermi sia speso:
223alcuna rara e minima dimora
in quest’uso per me da voi si spenda,
poi ch’a servirvi io son pronta ad ogni ora.
226Dal mio canto non fia mai che sospenda
il suo corso la penna, e che con l’alma
a compiacervi tutta non intenda.
229E, se non vi sará gravosa salma
il legger le mie lettere, vedrete
che di scrivervi spesso avrò la palma:
232questa con vostra man voi mi darete,
e de l’amor in amicizia vólto,
dagli andamenti miei, v’accorgerete.
235Non tengo ad altro il mio pensier rivolto,
se non a farvi di mia fede certo,
e mostrarvi ’l mio cor simile al volto,
238senza richieder da voi altro in merto,
se non che ’n grado il mio affetto accettiate,
a voi da me pien d’osservanzia offerto:
241e che innanzi al partir mi concediate
ch’io vi parli e v’inchini; e, quando poi
siate altrove, di me vi ricordiate,
244perch’io’l farò con usura con voi.
Del visitarne scrivendo, non parlo,
scambievolemente intra di noi,
247ché ben son certa che verrete a farlo,
questo officio gentil meco pigliando,
che ’n alcun modo io non son per lasciarlo.
250Né altro: di buon cor mi raccomando.