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i - terze rime 303

     100e, nel contar il ben del ciel sovrano,
v’affisaste a guardarmi, e mi stendeste,
or larghe or giunte, l’una e l’altra mano:
     103ed altre cose simili faceste,
ond’io tolsi a sperar che del mio amore
cautamente pietoso v’accorgeste.
     106Quinci s’accrebbe forte il mio dolore
di non poter al gusto d’ambo noi
goder la vita in gioia ed in dolzore.
     109Mesi ed anni trascorsero da poi,
ond’a me variar convenne stile,
com’ancor forse far convenne a voi.
     112Or vi miro non poco dissimile
da quel che solevate esser davante,
de l’etá vostra in sul fiorito aprile.
     115Oh che divino angelico sembiante,
quel vostro, atto a scaldar ogni cor era
d’agghiacciato e durissimo diamante!
     118Or, dopo cosí lieta primavera,
forma d’autunno, assai più che d’estate,
varia vestite assai da la primiera.
     121E, se ben in viril robusta etate,
l’oro de la lanugine in argento
rivolto, quasi vecchio vi mostrate;
     124benché punto nel viso non s’è spento
quel lume di beltá chiara e serena,
ch’abbaglia chi mirarvi ardisce intento.
     127Questa con la memoria mi rimena
del vostro aspetto a la prima figura,
ond’ebbi giá per voi si crudel pena;
     130e, mentre ’l pensier mio stima e misura,
e pareggia l’effigie di quegli anni
con questa de l’etá d’or piú matura,
     133di fuor sento scaldarmi il petto e i panni,
senza che però ’l cor dentro si mova,
per la memoria de’ passati affanni.