Racconti (Hoffmann)/Il vaso d'oro/Veglia VII

Veglia VII

../Veglia VI ../Veglia VIII IncludiIntestazione 9 gennaio 2021 75% Da definire

E. T. A. Hoffmann - Racconti fantastici (1814)
Traduzione dal tedesco di E. B. (1835)
Veglia VII
Il vaso d'oro - Veglia VI Il vaso d'oro - Veglia VIII
[p. 98 modifica]

VEGLIA VII

Come il vicerettore Paulmann vuotasse la sua pipa e andasse a letto. — Rembrandt e Breughel d’Inferno1. — Lo specchio magico, e le prescrizioni del dottore Eckstein contro una malattia sconosciuta.

Infine il vicerettore Paulmann scosse la sua pipa, e disse: “È ben tempo, io credo, di andare a letto”. — “Senza dubbio, disse Veronica indispettita per ve[p. 99 modifica]der suo padre ancora alzato; le dieci ore sono sonate da molto tempo”. Appena il vicerettore Paulmann fu passato nel suo gabinetto che gli serviva nello stesso tempo di camera da letto, appena il soffio di Fanny diventato più pesante attestò ch’essa era veramente addormentata, Veronica, che era pure andata a letto per non dare nessun sospetto, si alzò in silenzio, si vestì, si gettò una mantiglia sulle spalle e uscì dalla casa di soppiatto.

Dopo che Veronica aveva lasciata la vecchia Lisa, non vedeva che Anselmo, e non sapeva qual voce secreta gli dicea sempre, che la renitenza dello studente veniva da una persona nemica che lo teneva nelle; sue catene, ma che quelle catene potrebbero esser spezzate da Veronica, se essa, chiamava in suo soccorso i rimedi misteriosi e potenti della magia. La sua confidenza nella vecchia Lisa aumentava di giorno in giorno; ed a poco a poco s’indebolivano tutte le impressioni di terrore e di disgusto, e le sue relazioni con colei non gli apparivano più che sotto un riflesso, romanzesco di bizzarria che le rendeva più care. Del [p. 100 modifica]resto, essa era fermamente risoluta a sfidare qualunque pericolo; e quand’anche la sua assenza dovesse essere avvertita, ella era rassegnata a tutti i dispiaceri che ne sarebbero seguiti, purchè tentasse l’avventura dalla quale dipendeva la sua felicità.

Era infine arrivata la notte dell’equinozio, notte fatale nella quale la vecchia Lisa avea promesso dei soccorsi e delle consolazioni, e Veronica agguerritasi da molto tempo all’idea della sua corsa notturna si sentì piena di coraggio. Essa attraversò le strade deserte colla rapidità d’una freccia senza inquietarsi dell’uragano che muggiva e che le gettava in faccia larghe goccie di pioggia.

La campana della torre vicina sonava le undici ore con un sordo romore quando Veronica tutta bagnata batteva alla porta della vecchia. “Come! già venuta, già venuta, mia piccola! — Aspetta! io discendo!” gridò una voce dalla cima della casa, ed in pochi momenti la vecchia con una cesta in braccio ed accompagnata dal suo gatto si presentò alla porta. “Andiamo dunque, e facciamo quello che è necessario per compiere l’o[p. 101 modifica]pera, poichè la notte è. favorevole.” Ella disse, e prese con una mano fredda la tremante Veronica, cui diede il carico della pesante sua cesta, mentre per parte sua ella portò seco una pentola, un treppiede ed una vanga. Quando furono in campagna, la pioggia avea cessato, ma l’uragano raddoppiava di forza; mille voci schiamazzavano nell’aria; un gemito spaventevole e doloroso discendeva dalle nere nuvole che, ammonticchiandosi nella loro rapida fuga, avviluppavano ogni cosa d’una folta oscurità. Ma la vecchia camminava con passo fermo e pronto, e gridava con voce aspra: “Rischiaraci, rischiaraci, mio piccolo!” Allora certi lampi azzurri serpeggiando s’incrocicchiavano davanti ad esse, e Veronica si accorse che era il gatto che gettava scintille, e che le rischiarava facendo mille salti capricciosi; era pur esso quel di cui udiva il miagolìo spaventevole quando l’uragano cessava di muggire. Essa perdeva la lena; era come se una mano di ghiaccio le si mettesse nel cuore; ma fece uno sforzo sopra sè medesima, e stringendosi fortemente presso la vecchia, disse: “Avvenga che vuole biso[p. 102 modifica]gna che l’opera si compia.” — “Ecco una cosa ben detta, figlia mia, rispose la vecchia, resta sempre così coraggiosa come sei, ed io ti darò, qualche cosa di bello ed Anselmo sopra il mercato!”

Alla fine la vecchia si fermò: “Ed eccoci arrivate!” ella disse. Essa scavò una buca in terra, vi gettò dei carboni e vi pose Sopra il treppiede e la pentola accompagnando tutti i suoi movimenti coi gesti più singolari. Il gattone non cessava di giuocare intorno a lei, e dalla sua coda uscivano scintille che formavano un cerchio di fuoco. Presto i carboni cominciarono a diventar rossi, e infine delle. fiamme azzurre uscirono di sotto al treppiede. Veronica dovette togliersi la mantellina ed il velo, e si raggruppò presso alla vecchia, che prese le sue mani e le tenne fortemente strette, mentre fissava sulla fanciulla un paio d’occhi scintillanti. Allora gli strani ingredienti che la vecchia avea levati dalla sua cesta e gettati nella pentola — (eran essi fiori? — metalli? — piante? — animali? — Non si poteva distinguerlo) cominciarono a bollire e a gorgogliare. La [p. 103 modifica]vecchia lasciò andare le mani di Veronica e prese un cucchiajo di ferro, col quale si mise a frugare nelle masse ardenti agitandole violentemente, mentre dietro il suo ordine, Veronica doveva guardare fissamente nel bacino e pensare ad Anselmo. Per la seconda volta, la vecchia gettò nella pentola dei metalli, un riccio di capelli di Veronica tagliato in cima alla testa ed un piccolo anello che portava da molto tempo, non cessando mai dal mandare delle grida acute e inintelligibili, spaventose ad udirsi durante la notte, mentre il gatto gemendo e miagolando sempre descriveva correndo dei rapidi cerchi.

Io vorrei, o lettore benevolo, che tu ti fossi trovato il ventitrè settembre in viaggio sulla strada di Dresda. Invano si aveva cercato al cadere della notte di ritenerti all’ultima stazione; l’oste, civile e pulito, ti diceva che il temporale era violento, che la pioggia era abbondante, e che in generale non è molto prudente di arrischiarsi così nella notte dell’equinozio; ma tu non lo avevi ascoltato ed avevi posto fine a tutte le sue obbiezioni, dicendo: “Io darò uno scudo da [p. 104 modifica]sei franchi di mancia, al postiglione, e sarò in un’ora al più tardi a Dresda, ove all’Angelo d’Oro, all’Elmo o alla Città di Naumburg mi aspettano una buona cena ed un buon letto. Mentre tu viaggi così nell’oscurità, tu vedi in lontananza un lume vacillante d’uno splendor singolare. Arrivato più vicino tu vedi un circolo di fuoco, in mezzo del quale sono sedute due figure appresso ad una caldaja dalla quale s’alzano densi vapori e qualche volta una luce rossiccia e migliaia di scintille. Diritto, attrae verso al fuoco, passa la strada, ma i cavalli nitriscono, scalpitano e s’impennano. — Il postiglione si mette a bestemmiare e a far orazione, — egli frpsta i cavalli, — i cavalli non vogliono avanzarsi. — Tu salti involontariamente fuor della vettura, e corri qualche passo avanti.

Tu vedi allora distintamente la bella fanciulla in abito da notte, bianco e leggero, raggruppata presso la caldaia. Il temporale le ha sciolte le treccie, ed i suoi lunghi capelli bruni volano liberamente per l’aria La sua figura angelica è pienamente rischiarata dalle lingue di [p. 105 modifica]fuoco che escono di sotto al treppiede; ma agghiacciata dal terrore essa è diventata pallida come un fantasma, e nel suo sguardo immobile, sulle sue sopracciglia rialzate, sulla sua bocca che vuole, ma in vano, gettare un grido di disperazione, tu leggi il suo timore, il suo spavento, essa torce convulsivamente le sue piccole mani sopra la testa, come s’ella implorasse il suo angelo custode di volerla proteggere contro i mostri che stavano per uscire dall’inferno a quella potente invocazione. — E così ch’ella è in ginocchio là, immobile come una statua.

In faccia a lei accosciata per terra vi è una donna lunga e magra, col viso color di rame, col naso ricurvo, cogli occhi da gatto fiammeggianti. Dal negro mantello ch’essa si è gettato intorno sbucano le sue braccia nude e scarnate, essa borbotta sopra quella zuppa infernale, scoppia di riso e grida nella tempesta con voce lugubre.

Io credo bene, o lettore benevolo, che quando anche prima d’allora tu non avessi conosciuta la paura, io credo, dico io, che alla vista di quel quadro di [p. 106 modifica]Rembrandt o di Breughel d’Inferno, vivo e moventesi, i capelli ti si sarebbero rizzati sul capo; ma il tuo sguardo non poteva staccarsi dalla giovine fanciulla occupata in quell’opera infernale, e la commozione elettrica che fece palpitare all’istante i tuoi nervi e le tue fibre, accese in te colla rapidità del lampo l’ardito pensiero di sfidare le potenze misteriose del circolo di fuoco. Tutto il tuo timore si annientò in questo pensiero, o piuttosto questo pensiero germogliò nel seno stesso del tuo timore, e gli dovette la vita. Ti sembrava di essere uno di quegli angeli protettori implorati dalla ragazza spaventata, e tu pensavi non poter far niente di meglio che cavar la tua pistola dalla saccoccia e uccider la vecchia senz’altra forma di processo!

Ma mentre pensavi a tutte queste cose, tu gridavi ad alta voce: “Olà” ovvero “Chi va là” ossia “Che fate là!” Il postiglione suona il corno, la vecchia si aggomitola e ruotola nella sua caldaja, e in un momento tutto è scomparso in un denso vapore. Io non oso assicurarti che tu abbia trovata la fanciulla che de[p. 107 modifica]sideravi con tanto amore, ma tu avevi distrutto l’incantesimo della vecchia e rotto il circolo incantato nel quale l’imprudente Veronica erasi lasciata prendere.

Ma nè tu, o lettore benevolo, nè alcun altro passò, nè a piedi, nè in carrozza, sopra quella strada, il ventitrè settembre, notte favorevole ai sortilegj, e Veronica morente dalla paura dovette restar seduta presso la caldaja finchè l’opera fosse compita. Ella intese a gemere e a gridare intorno a sè, ella intese mille voci spaventevoli che ruggivano e fremevano, ma non aprì gli occhi, poichè sentiva che la vista degli oggetti spaventevoli, orribili che la circondavano, potrebbe in un momento farle perdere la ragione per sempre. La vecchia aveva finito di frugare nella pentola, il vapore diventava sempre più trasparente e in fine non si vedeva più che una leggiera fiamma di spirito di vino che ardeva in fondo alla caldaja.

La vecchia gridò: “Veronica! mia figlia! mia cara, guarda in fondo! — Che vedi tu dunque? — Che vedi tu dunque?” Ma Veronica non poteva risponderle, nondimeno le sembrava che [p. 108 modifica]ogni sorta di figure strane girassero nella caldaja; bentosto esse comparvero più distinte, e tutto ad un tratto dal più profondo della pentola uscì lo studente Anselmo, che sorridendo a Veronica le stese la mano. Essa gridò “Mio Dio! è Anselmo! — è Anselmo!” La vecchia aprì prontamente la chiavica della caldaja, e un torrente di metallo fuso si sparse scintillando in un piccolo stampo ch’ella avea messo per terra. Poi ella si alzò bruscamente e bilanciandosi con selvaggie contorsioni, gridò: “L’opera è compita. — Grazie, mio piccolo. Tu hai fatto bene la sentinella. — Hui! — Hui! Egli viene! — Mordilo bene! mordilo bene!” — Allora un pesante fremito si fece udire in aria; era come se un’aquila immensa discendesse scuotendo le sue ali, ed una voce spaventevole gridò: “Eh! — Eh! — Canaglia che siete! è finito, — è finito. — Ritornate a casa! — Andiamo — amo, — amo, — amo, — amo!” La vecchia si gettò urlando colla faccia per terra; ma Veronica perdette ogni sentimento.

Quando ella ritornò in sè stessa, era giorno avanzato, ed ella si trovava sdra[p. 109 modifica]jata sul suo letto, e Fanny stava davanti a lei con una tazza di tè fumante in mano, e le diceva: “Ma che hai tu dunque, sorella mia? Ecco più d’un ora ch’io sono presso di te, e tu resti là distesa senza conoscere nessuno come nel delirio della febbre; e tu gemi e sospiri da far paura. Per cagione tua il papà non è andato a fare scuola oggi, e verrà tra un momento col medico.”

Veronica prese il tè in silenzio, e mentre beveva, le immagini orribili della notte passata le si presentarono allo spirito. “Non erano dunque che le angosci e d’un sogno quelle che mi hanno tormentata questa notte?” — “Ma ieri sera però io sono realmente andata a trovare la vecchia, poichè era in effetto il ventitrè settembre! — No, no, bisogna che ieri io fossi già ammalata, e che siami immaginata tutto ciò, e quello che mi ha fatta ammalare, è l’aver pensato continuamente ad Anselmo e a quella vecchia singolare che ha finto d’essere la povera Lisa e che non ha fatto che burlarsi di me.”

Fanny che era uscita rientrò tenendo in mano il mantello di Veronica tutto [p. 110 modifica]bagnato. “Guarda dunque, sorella mia, ella disse, il temporale aperse durante la notte una finestra ed ha rovesciato la sedia sulla quale era il tuo tabarro: avrà piovuto attraverso alla finestra, ed ecco il tuo povero tabarro tutto bagnato.”

— Fu un gran dispiacere per Veronica, poichè ella vide allora che non era un vano sogno che l’avea tormentata, ma ch’ella era stata in fatti dalla vecchia. Ella si sentì penetrata di timore e d’orrore, ed il fremito della febbre agitò il suo corpo. Agghiacciata e tremante, ella si avviluppò nella coperta; ma in quel momento ella sentì sul suo petto un non so che di duro che le pesava; essa vi mise la mano, e credette che fosse un medaglione. Mentre Fanny riportava il tabarro, essa cavò l’oggetto di sotto alla coperta: era un piccolo specchio rotondo di metallo lucido. “Ecco un regalo della vecchia!” gridò essa con vivacità; e le parve che lampi vivi e brillanti, uscissero dallo specchio. è penetrassero fino al suo cuore e lo riempissero d’un calore vivificante e benefico; la febbre era passata, ed un senti[p. 111 modifica]mento inesprimibile di ben essere e di felicità le succedette. Essa dovette pensar ancora ad Anselmo, e mentre ella concentrava con forza tutte le sue idee sopra di lui, lo stesso Anselmo le sorrideva dal fondo dello specchio come un ritratto in miniatura; presto fu come s’ella non vedesse più il ritratto! — ma lo studente Anselmo in persona.

Egli era in una camera alta e singolarmente ammobigliata, e scriveva assiduamente. Veronica volle avanzarsi verso di lui, battergli sulla spalla, e dirgli: “Signor Anselmo, alzate dunque gli occhi, eccomi!” ma essa non potè, — poichè egli sembrava circondato da un brillante fiume di fuoco, e quando Veronica guardò bene, vide che però tutto questo non era che una serie di gran libroni col taglio dorato. Ma infine Veronica riuscì ad attirare sopra di sè gli sguardi d’Anselmo, fu in principio come se egli avesse bisogno di considerarla lungo tempo per riconoscerla; ma in fine egli sorrise, e disse: “Ah! — siete voi cara madamigella Paulmann? quale capriccio vi viene qualche volta di cambiarvi in piccola colubra.” A que[p. 112 modifica]sto discorso singolare Veronica non potè trattenersi dal ridere forte; poi si svegliò come da un sogno profondo, e nascose bruscamente il suo piccolo specchio, poichè la porta si aprì, e il vicerettore Paulmann entrò nella camera accompagnato dal dottor Ecksten. Il dottore si avvicinò al letto, tastò lungo tempo, e con aria profondamente meditabonda il polso di Veronica, e disse; “Eh! eh!” — Indi egli scrisse una ricetta, tastò un’altra volta il polso, disse una seconda volta: “Eh! eh! —” e lasciò l’ammalata.

Ma dopo questi lunghi, discorsi del dottore Eckstein, il vicerettore Paulmann non potè indovinare con precisione quello che mancava a Veronica.


Note

  1. Pietro Breughel, detto il giovane, figlio di Pietro Breughel il vecchio e fratello di Giovanni Breughel, detto di Velluto. — I soggetti ordinari dei suoi quadri erano incendii, fuochi assedii delle scene di streghe e diavoli. Di là gli venne il nome di Breughel d’Inferno, datogli per distinguerlo dal padre e dal fratello.