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Prefazione II

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I.

Cocciu-bei è ricco e illustre. Possiede immensi prati, nei quali errano, senza pastoie e senza guardie, i suoi armenti di cavalli. Possiede, intorno a Pultava, molte ville cinte di giardini; ha in quantità pellicce, raso, argento, in casa e sotto chiave. Ma non insuperbisce Cocciu-bei dei suoi chiomati corsieri, nė dei suoi dominii aviti, nè dell’oro che gli pagan in tributo le orde della Crimea; il vecchio Cocciu-bei si gloria della sua figlia vezzosa.

Io lo giuro in tutta Pultava non si trova una fanciulla da paragonarsi a Maria. Essa è fresca come un fior di primavera accarezzato dalli zeffiri sotto l’ombra dei boschetti. Essa è svelta come i pioppi che di Chief adornano i colli. I suoi moti ti rammentano le ondulazioni del cigno sulle acque, o li slanci del daino nelle selve. Il suo seno è candido come spuma; i suoi ricci neri s’affollano intorno alla sua fronte, come nuvolette intorno a un poggio; i suoi occhi son stelle serene; la sua bocca è una rosa nascente. Ma non per la sua sola bellezza, caduco fiore! vola di gente in gente la fama di Maria; tutti l’ammirano per la sua modestia, per il suo giudizio. Quindi è che dalla Ucrania e dalla Russia accorrono i signori a chieder la sua mano; ma la schiva Maria [p. 210 modifica]teme la corona nuziale, come altra teme le catene. Ricusa tutti i pretendenti.

L’etmanno stesso domanda Maria per sua sposa. È vecchio; è infiacchito dagli anni, dalle guerre, dalle cure, dalle fatiche; ma ha veduto Maria, e a quella vista gli si è rinvigorito il cuore, ed ha riamato.

Amore in un giovin cuore, presto arde e presto si smorza. Cresce e decresce, arriva e passa in un momento; ogni giorno cangia.

Nel cuore indurito d’un vegliardo, amore non trova adito così facile, nè esca così pronta; non si appicca così presto, ma quando s’è appiccato più non s’estingue; è un fuoco perenne, che non cessa se non colla vita.

Quel che odi, non è una damma che fugge veloce all’udire fremere le ali dell’aquila; è la giovinetta che spazia nel vestibolo del palazzo, e tutta ansante aspetta la sua sentenza.

La madre, fremente di sdegno, le viene incon tro, e stringendole la mano le dice:

“Vecchio senza pudore e senza onore! No; tanto che saremo al mondo, egli non otterrà il suo intento. Egli, che dovrebbe essere il protettore e l’amico di questa fanciulla che tenne al fonte del battesimo.... insensato sull’occaso della vita, vuole esserle sposo!”

Maria trema. Un pallore sepolcrale le invade il volto, e fredda e quasi estinta stramazza sul verone.

Tornò in sè un momento, poi richiuse nuovamente gli occhi, senza far parola. Il padre e la [p. 211 modifica]madre si accingono a placar quel turbamento, a dissipar quello affanno e quel timore, a ristorar la calma in quella mente. Ma indarno.

Due giorni passano. Maria, vacillante e squallida come ombra, ora piange, ora sospira; non mangia, non beve, non dorme. Il terzo giorno, la sua stanza era vuota.

Come e quando essa sparisse nessuno seppe. Un pescatore udì, a notte avanzata, un corsiere galoppare, un Cosacco parlare nella sua lingua, e una donna bisbigliare; — e la mattina seguente, si scoprirono, sulla rugiada dei prati, le orme di otto unghie di cavallo.

Non solo le guance d’un bel giovine, vestite di molle lanugine, non solo un volto cerchiato di biondi inanellati crini; ma anche l’aspetto austero d’un vegliardo, le rughe della fronte, i capelli grigi, possono destare nel cuore d’una tenera fanciulla sogni e deliri amorosi.

L’orrenda notizia giunge all’orecchio di Cocciu-bei. Maria ha calpestato il pudore, ha tradito l’onore per darsi nelle braccia d’un ladrone: oh vitupero!... Il padre e la madre non vogliono credere alla voce che corre. Ma quando ogni dubbio si convertì in certezza; quando la loro onta fu patente, compresero finalmente la perversità della figlia; videro perchè rifiutava tutti i pretendenti, perchè fingeva di aborrire il nodo coniugale; perchè piangeva e sospirava in disparte, perchè ascoltava con tanto diletto i racconti dell’etmanno durante i banchetti, quando il vino spumava nelle tazze; perchè essa non cantava altri stornelli, che quelli composti da esso nella [p. 212 modifica]sua giovinezza povera e ingloriosa; perchè essa con animo virile amava l’ondeggiare della cavalleria, il fragore delle armi, il clangor delle trombe; e i clamori della gente quando appariva il bunciuc1 e la clava2 del dominatore della Piccola Russia.

Cocciu-bei è ricco e illustre. Ha molti amici fidi; vuol lavar nel sangue il suo obbrobrio. Può sollevar Pultava; può nella propria reggia assalire il traditore, e col dritto d’un padre offeso immergergli.... ma no, ad un altro partito s’appiglia Cocciu-bei.

In quel tempo, la Russia adolescente raccoglieva tutte le sue forze per combattere lo straniero, sotto l’egida del sommo Pietro. Il fato le assegnò a maestro dell’arte della guerra il formidabil Carlo; lo svedese paladino più d’una improvisa e sanguinosa lezione le diede in quella crudele scienza. La Russia s’educò sotto tale severa disciplina, e si temperò sotto i colpi della sorte. Così il martello pesante sfracella il vetro, ma foggia il brando degli eroi.

Il temerario Carlo incoronato di efimeri allori avanzava sull’orlo di un precipizio. Moveva verso l’antica Mosca, sbaragliando le coorti russe come il turbine sperde la polvere della valle e sterpa le piante inaridite. Seguiva la strada, che calcò a’ giorni nostri un altro potente nemico della Russia.

L’Ucrania ferveva in secreto. Da lungo tempo portava in seno il fomite d’un grande incendio. I partitanti dell’antica barbarie sospiravano una lotta nazionale, e mormorando incitavano l’etmanno a sottrarsi alla dominazione straniera, e a spezzar le [p. 213 modifica]loro catene. Carlo, impaziente, correva incontro ai loro applausi e alle loro lusinghe. “È tempo! è tempo!” ripetevasi da ogni lato intorno a Mazeppa. Ma il canuto etmanno rimane devoto e obediente allo Zar Pietro. Non travia dalla consueta austerita; non dà ascolto alle vane dicerie; e tranquillo e sereno passa la vita fra i banchetti.

“Che fa l’etmanno?” sclamava la gioventù. “È affievolito; è vecchio decrepito; gli anni e le fatiche hanno smorzato in lui il primiero generoso ardore. Perchè quella mano imbelle tuttora serba la clava? Questa sarebbe l’ora opportuna di mover guerra all’aborrita Moscovia. Se il venerando Doroscenco, o l’impetuoso Samoiloff, o Palei, o Gardienco,3 capitanassero il nostro esercito, i Cosacchi non perirebbero miseramente fralle nevi di un lontano paese, e la Piccola Russia avrebbe ricuperato le sue bandiere.4

In tal modo la gioventù temeraria, avida di pericolose novità, dimentica della passata schiavitù, dei felici sforzi di Bogdan, delle sacre pugne, dei trattati e della gloria degli avi, insorgeva contro Mazeppa. Ma l’età senile agisce con prudenza, e avanza con circospezione; nelle cose ardue, non prende un partito se non dopo assidua riflessione. Chi può addentrarsi nelli abissi del mare lastricati d’immobile ghiaccio? Chi può penetrare li arcani tenebrosi d’una anima astuta e dissimulata? I pensieri e i disegni di Mazeppa, frutto di passioni a lungo [p. 214 modifica]combattute, dormono nel profondo del suo petto, e vi si maturano in silenzio. Chi sa quello che egli stia tramando adesso? Più Mazeppa è cauto, furbo e malizioso, più si dimostra improvido negli atti, e semplice nella conversazione.

Oh, con che despotica autorità egli sa governare le menti! Con che destrezza sa attrarre a sè i cuori, scandagliarne le più intime latebre, e indovinarne i più arcani pensieri! Come sa nei conviti e nelle adunanze, compiere tutte le parti, assumere tutte le maschere! Loda i tempi passati coi vecchi venerandi, vanta la libertà coi riottosi, denigra i principi coi malcontenti, sparge lacrime cogli oppressi, discute gravemente cogli idioti. Pochi, forse, sanno quanto è feroce l’anima sua: egli non rifugge dal delitto per nuocere al nemico; dacchè vide la luce, non perdonò mai una ingiuria; estende le sue mire ambiziose oltre i termini vietati; per lui non v’ha cosa sacra; non serba memoria dei beneficii, non ama nessuno; è pronto a spargere il sangue come l’acqua; disprezza la libertà, e non conosce carità di patria. Da gran tempo ordisce in secreto un gran progetto, un disegno tremendo. Ma uno sguardo sagace ha scoperto le sue trame.

“No, audace scellerato!” esclama Cocciu-bei digrignando i denti; “no; non la vincerai. Io risparmierò la tua reggia, carcere di mia figlia; non morrai nelle fiamme d’un incendio; non cadrai sotto il brando dei Cosacchi. No, iniquo! perirai fralle mani del boia di Mosca! Perirai sul patibolo, in mezzo a mille torture, chiedendo invano perdono, maledicendo il giorno e l’ora in cui battezzasti Maria, e il [p. 215 modifica]banchetto in cui ti pôrsi colma di vino la tazza d’onore, e la notte in cui ci furasti, rapace avvoltoio, la nostra diletta colomba!”

Sì, fu un tempo in che Cocciu-bei e Mazeppa erano amici, e dividevano i pensieri e i piaceri, come il sale, la panna e il pane. Insieme volavano contro al fuoco nemico sui loro agili destrieri, e non di rado sedevano lungamente insieme a consiglio secreto. L’etmanno dissimulato svelava in parte a Cocciu-bei i profondi ripieghi della sua mente rivoltosa, insaziabile, e gli prediceva in termini coperti e misteriosi imminenti novità, conferenze, sedizioni. In quel tempo Cocciu-bei era ligio e devoto a Mazeppa. Ma adesso, inferocito dalla perdita della figlia, non ha più che una idea, che un oggetto: o morire, o trucidar Mazeppa, e vendicare il disonore di Maria.

Frattanto cela a tutti il suo ardito disegno, finge di non più occuparsi che del suo dolore e della tomba. Non vuole nessun male a Mazeppa; sua figlia è sola colpevole. Ed egli le perdona, purchè dia conto al cielo dell’onta ridondata alla famiglia da quell’infrazione d’ogni legge divina ed umana....

Mentre così parla, Cocciu-bei, con occhi di lince, va cercando nella turba dei familiari e aderenti suoi alcuni compagni impavidi, esperti e fidati. Espone alla consorte il progetto che già da gran tempo gli cova in seno; ed essa, ebra di rabbia feminile, aggiunge esca alla fiamma di che arde il bei. Nella calma notturna, nel talamo tranquillo, essa, simile a un demone crudele, lo stimola alla vendetta, lo rampogna, piange, gli fa coraggio, esige un giuramento solenne, e il principe giura. [p. 216 modifica]

Il gran colpo è risoluto. L’intrepido Iscra s’associa a Cocciu-bei: “La caduta del nostro nemico è certa,” dicono fra loro. “Ma chi è il baldanzoso, che pien di zelo per il bene del paese oserà portare ai piè di Pietro una dinunzia contro il potente traditore?”

Tra i Cosacchi di Pultava disdegnati dalla infelice fanciulla uno ve n’era che l’aveva amata sin dai primi giovenili anni. La sera e la mattina, sulle sponde del fiume, sotto l’ombra dei ciriegi, egli stava aspettando Maria, smaniava se non la vedeva, e si stimava beato se passava un sol momento seco. L’amava senza speme; non la premeva mai d’importune preghiere; non avrebbe potuto sopravvivere a un rifiuto. Quando i pretendenti accorrevano in folla intorno ad essa, egli si ritirava mesto e silenzioso. Allorchè il ratto di Maria si divulgò frai Cosacchi, la gente spietata perse ogni rispetto per Maria e la derise, ma egli le serbò l’antica riverenza e l’antico affetto. Allorchè per caso si pronunziava davanti a lui il nome di Mazeppa, egli impallidiva, si mordeva le labbra, e abbassava gli occhi al suolo.

il cosacco messaggero.

     Di chi è quel corsier dall’alta groppa
     Che ratto corre per la steppa bruna?
     Chi è quel cavaliero che galoppa
     Al chiaror delle stelle e della luna?

     Fan cenno indarno al cavaliero stracco
     I cavi spechi ed i boschetti foschi;
     Non vuol prender riposo il buon cosacco
     Nè sotto gli antri nè fra i verdi boschi.

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     Splende il suo brando come vetro terso;
     Gli balza al fianco un borsellin d’argento;
     E il suo nobil corsier di schiuma asperso
     Spiega la lunga chioma al vago vento.

     Ama il Cosacco il suo tagliente acciaro;
     Il gaio aspetto dei ducati adora;
     Come un parente il suo caval gli è caro,
     Ma il suo berretto gli è più caro ancora.

     Se mai fa d’uopo, egli cederà tosto
     La borsa, il brando, il destrier, la vesta;
     Ma non darà il berretto a verun costo;
     Più volentieri egli daria la testa.

     Perchè mai quel Cosacco audace e rude
     Tanto cura un berretto informe e tetro?
     Perchè il berretto la denunzia acclude
     Che Cocciu-bei manda all’augusto Pietro.


Mazeppa intanto, imperterrito, indomito, continua le sue brighe e i suoi raggiri. Il gesuita Zalenschi5 suo fido sicario prepara una sommossa popolare, e gli promette il trono. Simili agli assassini, si concertano di notte; compongono in cifre le loro lettere, stabiliscono la tariffa del tradimento, mettono a prezzo la testa di Pietro, trafficano della fede delli schiavi. Un incognito giunge dall’etmanno; non si sa d’onde venga; il secretario Orlic6 lo introduce e lo riconduce. [p. 218 modifica]

Gli scaltri emissari di Mazeppa van seminando dappertutto la zizania e l’insubordinazione: Bulavin, capo dei Cosacchi del Don, chiama all’armi le sue tribù; le orde nomadi e selvatiche fervono; e persino i coloni che abitano presso alle cataratte del Dniepr insultano l’autorità di Pietro.

Mazeppa volge lo sguardo e la mente in ogni lato; spedisce lettere in ogni paese; a forza di minacce e di lusinghe stacca Bakscisarai dalla sovranità di Mosca. Il re di Polonia accoglie in Varsavia i legati di Mazeppa; il pascià di Crimea in Occiacof, Pietro e Carlo nei loro accampamenti. L’ipocrita etmanno adopra ogni mezzo per procacciarsi il sostegno dei principi; la sua volontà è di ferro; la sua ambizione corre alla meta per mille vie tortuose ma sicure.

Ma come rabbrividisce quando a un tratto il fulmine scoppia sul suo capo! Come trema quando i boiari7 di Mosca suoi amici8 mandano a lui nemico della Russia la denunzia scritta a Pultava, e invece delle meritate rampogne gli prodigano le condoglianze come ad una vittima!

Lo Zar Pietro, avverso alle delazioni, preoccupato delle guerre, non bada alla denunzia; s’affretta di tranquillare quel Giuda e giura di attutar per sempre la calunnia infliggendole un esemplare castigo.

Mazeppa, oppresso da un finto dolore, alza la supplichevole voce al suo sovrano. “Dio sa,” dic’egli, [p. 219 modifica]“e il mondo vede se l’umile etmanno da dodici anni in qua sia stato devoto allo Zar, e in ricompensa di questa sua devozione colmato di benefizi dal suo signore... Oh quanto è ceca e folle la malignità! Come mai, Mazeppa giunto all’orlo della fossa vorrebbe ordir congiure e oscurar la sua antica rinomanza? Non ha egli negato i soccorsi chiestigli da Stanislao; non ha egli rispinto la corona offertagli dall’Ucrania e consegnato allo Zar, come doveva, i trattati e il carteggio secreto? Non chiuse egli l’orecchio alle suggestioni del Khan dei Tartari, alle esortazioni della Sublime Porta? Non ha forse egli sempre manifestato il suo zelo contro i nemici dello Zar; non li ha egli combattuti col senno e colla mano, con indefesso ardore e con pericolo della propria vita? Ed ora un vile rivale ardisce coprir di obbrobrio i miei capelli grigi! E chi è il mio accusatore?.. Iscra, Cocciu-bei, che furono sì lungo tempo miei compagni...”

E l’etmanno domanda con lacrime il loro sangue; non sarà pago fin che non li vedrà puniti.

Feroce vecchio, di chi esigi la testa? Di colui la cui figlia ti stringe fralle braccia. Ma l’etmanno soffoca la voce della coscienza che lo rimbrotta.

“Perchè quell’insano” egli dice “mi sfida a disegual tenzone? Il superbo da sè stesso affila la scure che gli mozzerà il capo. Ove corre cogli occhi serrati? Su che fonda le sue speranze?... No; l’affetto mio per la figlia non salverà il padre. Convien che l’amante ceda il passo al regnante... altrimenti, son perduto.”

O Maria, gentil Maria, rosa della Circassia! tu non sai che serpente tu ti scaldi in seno. Ma qual forza [p. 220 modifica]ignota, incomprensibile, potè indurti ad amare quel guerriero ruvido e perverso e a sacrificargli tutto? il suo crin canuto e inanellato, le sue profonde rughe, il suo occhio incavato e scintillante, i suoi ragionamenti artifiziosi fanno le tue delizie. Per lui abbandonasti i tuoi parenti; preferisti al tuo verginal letto fra le soglie paterne, il talamo scandaloso dell’avventuriere. Come potè quel vecchio affascinarti coi suoi sguardi foschi? Come potè incantarti coi suoi discorsi perfidi? Timida e riverente alzi su lui le tue luci accecate dall’amore; lo accarezzi con passione.... La tua infamia t’è cara; vanti il suo ingegno e la sua bellezza; ti ascrivi il tuo amore a virtù; e perdesti nella tua caduta persino la forza del pentimento.

Maria non teme la vergogna: non le cale della sua reputazione. Sfida i rimbrotti della gente, quando la altera cervice del vegliardo riposa sui ginocchi di lei; quando il prode con lei favellando dimentica le cure e le pene del comando, e palesa alla timida fanciulla i suoi secreti più tremendi. Essa non rimpiange i passati giorni d’innocenza e di quiete infantile; ma di tanto in tanto un pensiero tetro come una procella attraversa quell’anima serena; si raffigura il cordoglio del padre e della madre; li vede framezzo a un velo di lacrime, orbi e soli, nella loro infelice vecchiaia; le sembra di udire i loro lamenti e le rampogne... Oh! se essa sapesse ciò che già sa tutta l’Ucrania! Ma la funesta verità le è tuttora occulta.


Note

  1. Coda di cavallo che serve d’insegna.
  2. Distintivo dell’etmanno.
  3. Tutti nemici dei Russi. Samoiloff fu bandito in Siberia, e Gardienco fu decapitato per ordine di Pietro I.
  4. Venti mila soldati della Piccola Russia erano stati mandati in Finlandia da Mazeppa.
  5. Zalenschi, sbandito dalla patria, divenne il primario agente di Mazeppa.
  6. Orlic, stato secretario di Mazeppa, fu fatto, dopo la morte di questo, etmanno della Piccola Russia da Carlo XII. Quando Carlo fu sconfitto, Orlic si ritirò in Turchia, abbracciò la religione islamitica, e morì a Bender nel 1726.
  7. Boiar significa propriamente guerriero; divenne poi sinonimo di nobile.
  8. Due boiari di Mosca parteggiavano per Mazeppa. Furono orribilmente castigati.