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pultava. 219

“e il mondo vede se l’umile etmanno da dodici anni in qua sia stato devoto allo Zar, e in ricompensa di questa sua devozione colmato di benefizi dal suo signore... Oh quanto è ceca e folle la malignità! Come mai, Mazeppa giunto all’orlo della fossa vorrebbe ordir congiure e oscurar la sua antica rinomanza? Non ha egli negato i soccorsi chiestigli da Stanislao; non ha egli rispinto la corona offertagli dall’Ucrania e consegnato allo Zar, come doveva, i trattati e il carteggio secreto? Non chiuse egli l’orecchio alle suggestioni del Khan dei Tartari, alle esortazioni della Sublime Porta? Non ha forse egli sempre manifestato il suo zelo contro i nemici dello Zar; non li ha egli combattuti col senno e colla mano, con indefesso ardore e con pericolo della propria vita? Ed ora un vile rivale ardisce coprir di obbrobrio i miei capelli grigi! E chi è il mio accusatore?.. Iscra, Cocciu-bei, che furono sì lungo tempo miei compagni...”

E l’etmanno domanda con lacrime il loro sangue; non sarà pago fin che non li vedrà puniti.

Feroce vecchio, di chi esigi la testa? Di colui la cui figlia ti stringe fralle braccia. Ma l’etmanno soffoca la voce della coscienza che lo rimbrotta.

“Perchè quell’insano” egli dice “mi sfida a disegual tenzone? Il superbo da sè stesso affila la scure che gli mozzerà il capo. Ove corre cogli occhi serrati? Su che fonda le sue speranze?... No; l’affetto mio per la figlia non salverà il padre. Convien che l’amante ceda il passo al regnante... altrimenti, son perduto.”

O Maria, gentil Maria, rosa della Circassia! tu non sai che serpente tu ti scaldi in seno. Ma qual forza