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modTesto in evidenza

Myricae è una raccolta poetica di Giovanni Pascoli (1855 - 1912), rappresenta l'ultimo esempio di poesia lirica classica prima della stagione delle Avanguardie poetiche del Novecento.

La raccolta pascoliana deriva da un verso di Virgilio: nos arbusta iuvant humilesque myricae (Bucoliche, IV) "a noi piacciono gli arbusti e le umili tamerici"

La storia compositiva di Myricae scorre lungo tutta la vicenda poetica di Pascoli:

  • la prima edizione è del 1891, e comprende 22 componimenti;
  • nel 1900 la quinta edizione raggiunge il totale definitivo di 156 componimenti;
  • fino al 1911 seguiranno ancora 4 edizioni dell’opera, frutto di piccole revisioni stilistiche e strutturali.

Contemporaneamente, uscivano le altre maggiori raccolte pascoliane: i Poemetti e i Canti di Castelvecchio (quest’ultima a sua volta in 6 successive edizioni).
L’opera si raffigura così come una serie di contenitori (15 sezioni organizzate dal poeta) costantemente aperti per raccogliere le continue revisioni, aggiustamenti e aggiunte prodotte da Pascoli nell’arco di tutta la sua complessa vicenda creativa. In questo senso, la genesi di Myricae coincide strettamente con la sua evoluzione formale, e appare essere un grande laboratorio di sperimentazioni metriche e linguistiche.


modImmagine in evidenza


Mentre noi corravam la morta gora,
dinanzi mi si fece un pien di fango,
e disse: "Chi se' tu che vieni anzi ora?".

E io a lui: "S'i' vegno, non rimango;
ma tu chi se', che sì se' fatto brutto?".
Rispuose: "Vedi che son un che piango".

E io a lui: "Con piangere e con lutto,
spirito maladetto, ti rimani;
ch'i' ti conosco, ancor sie lordo tutto".

La barca di Dante, di Ferdinand Victor Eugène Delacroix (1822), Museo del Louvre, Parigi


Lo buon maestro disse: "Omai, figliuolo,
s'appressa la città c' ha nome Dite,
coi gravi cittadin, col grande stuolo".

E io: "Maestro, già le sue meschite
là entro certe ne la valle cerno,
vermiglie come se di foco uscite

fossero". Ed ei mi disse: "Il foco etterno
ch'entro l'affoca le dimostra rosse,
come tu vedi in questo basso inferno".



Dante Alighieri, Divina Commedia, If VIII, vv. 31-39; 67-75.

mod Chi ben comincia...

Ci sono libri che iniziano così:


 

Elettra

Notte! funesta, atroce, orribil notte,
presente ognora al mio pensiero! ogni anno,
oggi ha due lustri, ritornar ti veggio
vestita d'atre tenebre di sangue;
eppur quel sangue, ch'espiar ti debbe,
finor non scorre. - Oh rimembranza! Oh vista!
Agamennón, misero padre! in queste
soglie svenato io ti vedea; svenato;
e per qual mano! - O notte, almen mi scorgi
non vista, al sacro avello. Ah! pur ch'Egisto,
pria che raggiorni, a disturbar non venga
il mio pianto, che al cenere paterno
misera reco in annual tributo!
Tributo, il sol ch'io dar per or ti possa,
di pianto, o padre, e di non morta speme
di possibil vendetta. Ah! sí: tel giuro:
se in Argo io vivo, entro tua reggia, al fianco
d'iniqua madre, e d'un Egisto io schiava,
null'altro fammi ancor soffrir tal vita,
che la speranza di vendetta. È lungi,
ma vivo, Oreste. Io ti salvai, fratello;
a te mi serbo; infin che sorga il giorno,
che tu, non pianto, ma sangue nemico
scorrer farai sulla paterna tomba.


come prosegue?


modTesti a fronte

Come acido corrosivo la prosa di Luciano di Samosata sotto il manto della satira contro le fantasie degli storici di Alessandro Magno non esita a prendersi gioco della pietra angolare della cultura letteraria greca: nel secolo successivo l'anarchia militare e le invasioni barbariche avrebbero materialmente spazzato via il retaggio politico di tale civiltà.

῞Ωσπερ τοῖς ἀθλητικοῖς καὶ περὶ τὴν τῶν σωμάτων ἐπιμέλειαν ἀσχολουμένοις οὐ τῆς εὐεξίας μόνον οὐδὲ τῶν γυμνασίων φροντίς ἐστιν, ἀλλὰ καὶ τῆς κατὰ καιρὸν γινομένης ἀνέσεως μέρος γοῦν τῆς ἀσκήσεως τὸ μέγιστον αὐτὴν ὑπολαμβάνουσινοὕτω δὴ καὶ τοῖς περὶ τοὺς λόγους ἐσπουδακόσιν ἡγοῦμαι προσήκειν μετὰ τὴν πολλὴν τῶν σπουδαιοτέρων ἀνάγνωσιν ἀνιέναι τε τὴν διάνοιαν καὶ πρὸς τὸν ἔπειτα κάματον ἀκμαιοτέραν παρασκευάζειν.

Come gli atleti e coloro che attendono agli esercizi del corpo badano a rendersi gagliardi non pure con la fatica, ma anche ogni tanto col riposo, che è creduto parte grandissima della ginnastica; così ancora quelli che attendono agli studi pensomi che debbano dopo le gravi letture riposare la mente, per averla dipoi più fresca al lavoro.

Γένοιτο δ᾿ ἂν ἐμμελὴς ἡ ἀνάπαυσις αὐτοῖς, εἰ τοῖς τοιούτοις τῶν ἀναγνωσμάτων ὁμιλοῖεν, ἃ μὴ μόνον ἐκ τοῦ ἀστείου τε καὶ χαρίεντος ψιλὴν παρέξει τὴν ψυχαγωγίαν, ἀλλά τινα καὶ θεωρίαν οὐκ ἄμουσον ἐπιδείξεται, οἷόν τι καὶ περὶ τῶνδε τῶν συγγραμμάτων φρονήσειν ὑπολαμβάνω·

Ed avranno conveniente riposo se si occuperanno in tali letture, che sieno piacevoli sì per certa grazia ed urbanità, e sì per ammaestramenti non privi di leggiadria, come io spero sarà tenuto questo mio scritto.

Οὐ γὰρ μόνον τὸ ξένον τῆς ὑποθέσεως οὐδὲ τὸ χαρίεν τῆς προαιρέσεως ἐπαγωγὸν ἔσται αὐτοῖς οὐδ᾿ ὅτι ψεύσματα ποικίλα πιθανῶς τε καὶ ἐναλήθως ἐξενηνόχαμεν, ἀλλ᾿ ὅτι καὶ τῶν ἱστορουμένων ἕκαστον οὐκ ἀκωμῳδήτως νικται πρός τινας τῶν παλαιῶν ποιητῶν τε καὶ συγγραφέων καὶ φιλοσόφων πολλὰ τεράστια καὶ μυθώδη συγγεγραφότων, οὓς καὶ ὀνομαστὶ ἂν ἔγραφον, εἰ μὴ καὶ αὐτῷ σοι ἐκ τῆς ἀναγνώσεως φανεῖσθαι ἔμελλον [ὧν] Κτησίας ὁ Κτησιόχου ὁ Κνίδιος, ὃς συνέγραψεν περὶ τῆς Ἰνδῶν χώρας καὶ τῶν παρ᾿ αὐτοῖς ἃ μήτε αὐτὸς εἶδεν μήτε ἄλλου ἀληθεύοντος ἤκουσεν.

Il quale non solamente per la bizzarria del soggetto, e per la gaiezza de’ pensieri dovrà piacere, e per avervi messe dentro molte finzioni che paiono probabili e verosimili; ma perchè ciascuna delle baie che io conto, è una ridicola allusione a certi antichi poeti e storici e filosofi che scrissero tante favole e maraviglie; i quali ti nominerei se tu stesso leggendo non li riconoscessi. Ctesia figliuolo di Ctesioco di Cnido, scrisse intorno all’India cose che egli non vide, e non udì dire da nessuno.

Ἔγραψε δὲ καὶ Ἰαμβοῦλος περὶ τῶν ἐν τῇ μεγάλῃ θαλάττῃ πολλὰ παράδοξα, γνώριμον μὲν ἅπασι τὸ ψεῦδος πλασάμενος, οὐκ ἀτερπῆ δὲ ὅμως συνθεὶς τὴν ὑπόθεσιν. πολλοὶ δὲ καὶ ἄλλοι τὰ αὐτὰ τούτοις προελόμενοι συνέγραψαν ὡς δή τινας ἑαυτῶν πλάνας τε καὶ ἀποδημίας, θηρίων τε μεγέθη ἱστοροῦντες καὶ ἀνθρώπων ὠμότητας καὶ βίων καινότητας·

Scrisse Iambulo molte maraviglie che si trovano nel gran mare; e benchè finse bugie da tutti riconosciute, pur compose opera non dispiacevole. Molti altri fecero anche così, e scrivendo come certi loro viaggi e peregrinazioni lontane narrano di fiere grandissime, di uomini crudeli, di costumi strani.

Ἀρχηγὸς δὲ αὐτοῖς καὶ διδάσκαλος τῆς τοιαύτης βωμολοχίας ὁ τοῦ Ὁμήρου Ὀδυσσεύς, τοῖς περὶ τὸν Ἀλκίνουν διηγούμενος ἀνέμων τε δουλείαν καὶ μονοφθάλμους καὶ ὠμοφάγους καὶ ἀγρίους τινὰς ἀνθρώπους, ἔτι δὲ πολυκέφαλα ζῷα καὶ τὰς ὑπὸ φαρμάκων τῶν ἑταίρων μεταβολάς, οἷς πολλὰ ἐκεῖνος πρὸς ἰδιώτας ἀνθρώπους τοὺς Φαίακας ἐτερατεύσατο.

Duca di costoro e maestro di tale ciarlataneria fu l’Ulisse d’Omero, che nella corte d’Alcinoo contò della cattività de’ venti, di uomini bestioni e salvatici con un solo occhio in fronte, di belve con molte teste, de’ compagni tramutati per incantesimi, e di tante altre bugie, che ei sciorinò innanzi a quei poveri sciocchi dei Feaci.

Ἀληθῆ διηγήματα, Βιβλίον Α'

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