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Testo in evidenza

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modTesto in evidenza
 
La Storia d'Italia è un'opera storica del letterato e pensatore fiorentino Francesco Guicciardini. Scritta tra il 1537 e il 1540, l'opera consta di venti libri e narra gli avvenimenti accaduti tra il 1492 (anno della morte di Lorenzo il Magnifico) e il 1537 (anno della morte di Papa Clemente VII). Essa fu pubblicata per la prima volta nel 1561 a Firenze.

La Storia d'Italia nasce dalla necessità di Guicciardini di verificare tramite l'esperienza della realtà storica le riflessioni condotte nei suoi Ricordi, in cui tra gli altri argomenti tratta dell'impossibilità di cogliere nella storia leggi e modelli assoluti che permettano di prevedere l'andamento degli eventi, ponendosi in contrasto con il pensiero umanista e con il Machiavelli.


Incipit

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mod Chi ben comincia...

Ci sono libri che iniziano così:


 

 
Lo lion è de sì nobil natura,
de niuna altra fera à semelianza.
Ne le montangne di maiure altura
usatamente sì fa demoranza;

à de lo caciatore tal paura
ke per scanpare pilia sutilianza,
e tanto la sua andata cela e scura,
ke non pòne vedere homo senblanza.

Per lo leone si dee entender Cristo,
per la montagna 'l cielo onde descese,
e per lo caciatore lo Nemico

lo qual fo de la Sua venuta tristo,
ké li tolse l'anime k'avea prese
e non podean scanpar per altro amico.


come prosegue?

Immagine in evidenza

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modImmagine in evidenza


Mentre noi corravam la morta gora,
dinanzi mi si fece un pien di fango,
e disse: "Chi se' tu che vieni anzi ora?".

E io a lui: "S'i' vegno, non rimango;
ma tu chi se', che sì se' fatto brutto?".
Rispuose: "Vedi che son un che piango".

E io a lui: "Con piangere e con lutto,
spirito maladetto, ti rimani;
ch'i' ti conosco, ancor sie lordo tutto".

 
La barca di Dante, di Ferdinand Victor Eugène Delacroix (1822), Museo del Louvre, Parigi


Lo buon maestro disse: "Omai, figliuolo,
s'appressa la città c' ha nome Dite,
coi gravi cittadin, col grande stuolo".

E io: "Maestro, già le sue meschite
là entro certe ne la valle cerno,
vermiglie come se di foco uscite

fossero". Ed ei mi disse: "Il foco etterno
ch'entro l'affoca le dimostra rosse,
come tu vedi in questo basso inferno".



Dante Alighieri, Divina Commedia, If VIII, vv. 31-39; 67-75.

Traduzione

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modTesti a fronte

Un'orazione greca è di per sé una sfida per chi intenda rendere le sottigliezze linguistiche di chi argomenta su temi controversi, a maggior ragione se l'autore dell'orazione è Platone che riporta la difesa del maestro, appena imputato di orribili accuse che lo avrebbero portato alla pena di morte.

Ὅτι μὲν ὑμεῖς, ὦ ἄνδρες Ἀθηναῖοι, πεπόνθατε ὑπὸ τῶν ἐμῶν κατηγόρων, οὐκ οἶδα· ἐγὼ δ᾽ οὖν καὶ αὐτὸς ὑπ᾽ αὐτῶν ὀλίγου ἐμαυτοῦ ἐπελαθόμην, οὕτω πιθανῶς ἔλεγον. καίτοι ἀληθές γε ὡς ἔπος εἰπεῖν οὐδὲν εἰρήκασιν. μάλιστα δὲ αὐτῶν ἓν ἐθαύμασα τῶν πολλῶν ὧν ἐψεύσαντο, τοῦτο ἐν ᾧ ἔλεγον ὡς χρῆν ὑμᾶς εὐλαβεῖσθαι μὴ ὑπ᾽ ἐμοῦ ἐξαπατηθῆτε ὡς δεινοῦ ὄντος λέγειν. τὸ γὰρ μὴ αἰσχυνθῆναι ὅτι αὐτίκα ὑπ᾽ ἐμοῦ ἐξελεγχθήσονται ἔργῳ, ἐπειδὰν μηδ᾽ ὁπωστιοῦν φαίνωμαι δεινὸς λέγειν, τοῦτό μοι ἔδοξεν αὐτῶν ἀναισχυντότατον εἶναι, εἰ μὴ ἄρα δεινὸν καλοῦσιν οὗτοι λέγειν τὸν τἀληθῆ λέγοντα· εἰ μὲν γὰρ τοῦτο λέγουσιν, ὁμολογοίην ἂν ἔγωγε οὐ κατὰ τούτους εἶναι ῥήτωρ. οὗτοι μὲν οὖν, ὥσπερ ἐγὼ λέγω, ἤ τι ἢ οὐδὲν ἀληθὲς εἰρήκασιν, ὑμεῖς δέ μου ἀκούσεσθε πᾶσαν τὴν ἀλήθειαν.

Quello che è avvenuto a voi, Ateniesi, in udire i miei accusatori, non so; ma io, per cagion loro, poco meno mi dimenticai di me stesso, cosí parlarono persuasivamente: benché, se ho a dire, essi non han detto nulla di vero. Ma delle molte loro menzogne ne ammirai massimamente una, questa: dissero che a voi bene conveniva guardarvi non foste tratti da me in inganno, perciò che sono terribile dicitore. Imperocché a non vergognarsi che tosto li avrei smentiti, mostrando in fatto non essere niente terribile dicitore, questa mi parve la lor maggiore impudenza: salvo che non chiamino terribile dicitore uno che dice il vero; ché, se intendono cosí, ben consentirei che sono oratore io: ma non a lor modo. Essi dunque han detto poco o nulla di vero, come io dico; ma da me voi udirete tutta la verità.

Οὐ μέντοι μὰ Δία, ὦ ἄνδρες Ἀθηναῖοι, κεκαλλιεπημένους γε λόγους, ὥσπερ οἱ τούτων, ῥήμασί τε καὶ ὀνόμασιν οὐδὲ κεκοσμημένους, ἀλλ᾽ ἀκούσεσθε εἰκῇ λεγόμενα τοῖς ἐπιτυχοῦσιν ὀνόμασιν, πιστεύω γὰρ δίκαια εἶναι ἃ λέγω, καὶ μηδεὶς ὑμῶν προσδοκησάτω ἄλλως· οὐδὲ γὰρ ἂν δήπου πρέποι, ὦ ἄνδρες, τῇδε τῇ ἡλικίᾳ ὥσπερ μειρακίῳ πλάττοντι λόγους εἰς ὑμᾶς εἰσιέναι. καὶ μέντοι καὶ πάνυ, ὦ ἄνδρες Ἀθηναῖοι, τοῦτο ὑμῶν δέομαι καὶ παρίεμαι· ἐὰν διὰ τῶν αὐτῶν λόγων ἀκούητέ μου ἀπολογουμένου δι᾽ ὧνπερ εἴωθα λέγειν καὶ ἐν ἀγορᾷ ἐπὶ τῶν τραπεζῶν, ἵνα ὑμῶν πολλοὶ ἀκηκόασι, καὶ ἄλλοθι, μήτε θαυμάζειν μήτε θορυβεῖν τούτου ἕνεκα.

Non, per Giove, orazioni ornate, come le loro, di frasi e parole belle; ma sí udirete cose dette senza niuno studio, con quelle parole che vengono, ma giuste, io credo; e niun di voi si aspetti altro da me. Perché non istarebbe bene, che io, o cittadini, venissi innanzi a voi come un giovinetto che modelli sue orazioni; io, a questa età. Anzi, o Ateniesi, di questo prego voi, e voi supplico, che se udite me con quelle parole difender me stesso con le quali son solito parlare e in mercato ai banchi, dove mi hanno udito molti di voi, e altrove, non vi maravigliate né facciate rumore.

ἔχει γὰρ οὑτωσί. νῦν ἐγὼ πρῶτον ἐπὶ δικαστήριον ἀναβέβηκα, ἔτη γεγονὼς ἑβδομήκοντα· ἀτεχνῶς οὖν ξένως ἔχω τῆς ἐνθάδε λέξεως. ὥσπερ οὖν ἄν, εἰ τῷ ὄντι ξένος ἐτύγχανον ὤν, συνεγιγνώσκετε δήπου ἄν μοι εἰ ἐν ἐκείνῃ τῇ φωνῇ τε καὶ τῷ τρόπῳ ἔλεγον ἐν οἷσπερ ἐτεθράμμην, καὶ δὴ καὶ νῦν τοῦτο ὑμῶν δέομαι δίκαιον, ὥς γέ μοι δοκῶ, τὸν μὲν τρόπον τῆς λέξεως ἐᾶν (ἴσως μὲν γὰρ χείρων, ἴσως δὲ βελτίων ἂν εἴη) αὐτὸ δὲ τοῦτο σκοπεῖν καὶ τούτῳ τὸν νοῦν προσέχειν, εἰ δίκαια λέγω ἢ μή· δικαστοῦ μὲν γὰρ αὕτη ἀρετή, ῥήτορος δὲ τἀληθῆ λέγειν. ...

La cosa va cosí: io, la prima volta ora, vengo su in tribunale e ho settant'anni; onde alla dicitura di qui sono proprio forestiero. E dacché, se fossi veramente forestiero, voi mi perdonereste se io vi parlassi in quella voce e quel modo ne' quali fossi allevato, prego voi ora (e mi par che a ragione) che non badiate alla maniera di dire (forse potrebb'ella esser peggio, forse meglio), e guardiate solo e consideriate se dico cose giuste, o no. Imperocché questa è la virtú del giudice; quella dell'oratore poi, è dire il vero. ...

Indice dei testi

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