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modAutore in evidenza
Pietro Aretino (Arezzo, 20 aprile 1492 – Venezia, 21 ottobre 1556) è stato un poeta, scrittore e drammaturgo italiano.

È conosciuto principalmente per alcuni suoi scritti dal contenuto considerato quanto mai licenzioso, almeno per l'epoca, fra cui i conosciutissimi Sonetti lussuriosi. Scrisse anche i Dubbi amorosi e opere di contenuto religioso tese a renderlo benvoluto nell'ambiente cardinalizio che a lungo frequentò. Figura di letterato amato quanto discusso, se non odiato per molti fu semplicemente un arrivista ed uno spregiudicato cortigiano.

Per questa che oggi potrebbe apparire incoerenza fu, per molti versi, un modello dell'intellettuale rinascimentale, autore anche di apprezzati Ragionamenti.


modDa autore ad autore
Carlo Michelstaedter ha sviluppato e approfondito nei suoi scritti alcuni temi delle Operette morali di Giacomo Leopardi. Nel proemio del suo scritto più significativo, La persuasione e la rettorica, egli sviluppa i temi affrontati nella filosofia leopardiana ponendone un singolare corollario .


So che voglio e non ho cosa io voglia. Un peso pende ad un gancio, e per pender soffre che non può scendere: non può uscire dal gancio, poiché quant’è peso pende e quanto pende dipende. Lo vogliamo soddisfare: lo liberiamo dalla sua dipendenza; lo lasciamo andare, che sazi la sua fame del più basso, e scenda indipendente fino a che sia contento di scendere. – Ma in nessun punto raggiunto fermarsi lo accontenta e vuol pur scendere, ché il prossimo punto supera in bassezza quello che esso ogni volta tenga. E nessuno dei punti futuri sarà tale da accontentarlo, che necessario sarà alla sua vita, fintanto che lo aspetti (ὅφρα ἂν μένῃ αὐτὁν) più basso; ma ogni volta fatto presente, ogni punto gli sarà fatto vuoto d’ogni attrattiva non più essendo più basso; così che in ogni punto esso manca dei punti più bassi e vieppiù questi lo attraggono: sempre lo tiene un’ugual fame del più basso, e infinita gli resta pur sempre la volontà di scendere. – Che se in un punto gli fosse finita e in un punto potesse possedere l’infinito scendere dell’infinito futuro – in quel punto esso non sarebbe più quello che è: un peso. La sua vita è questa mancanza della sua vita. Quando esso non mancasse più di niente – ma fosse finito, perfetto: possedesse sé stesso, esso avrebbe finito d’esistere. – Il peso è a sé stesso impedimento a posseder la sua vita e non dipende più da altro che da sé stesso in ciò che non gli è dato di soddisfarsi.

Il peso non può mai esser persuaso.


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modSapevi che...

...Giovanni Canestrini paragonò la minuzia di particolari del meccanismo dell'ereditarietà genetica con l'esattezza della topografia dell'Inferno dantesco? leggi il Valore delle ipotesi in Biologia...

Non solo la sfera del plasma germinativo consta di nove cerchie (molecole, biofore, determinanti, idie, idantie, idioplasma, somatoplasma, morfoplasma, apicalplasma), ma il nostro duce sa mostrarci in ciascuno di questi distretti fenomeni così strani e meravigliosi, che ritorniamo volentieri nel regno della scienza come se fossimo reduci da un altro mondo.
modImmagine in evidenza
La partenza fu nella notte tra il 25 ed il 26 marzo. Ci fu permesso d'abbracciare il dottor Cesare Armari nostro amico. Uno sbirro c'incatenò trasversalmente la mano destra ed il piede sinistro, affinché ci fosse impossibile fuggire. Scendemmo in gondola, e le guardie remigarono verso Fusina.

Silvio Pellico, Le mie prigioni, Cap. LV.

La notte del 26 marzo 1822, olio su tela di Carlo Felice Biscarra, Casa Cavassa, Saluzzo. Si tratta della notte in cui Silvio Pellico e Piero Maroncelli vennero trasferiti dalla prigione dei Piombi (Venezia) alla fortezza dello Spielberg (Brno)
Ivi giunti, trovammo allestiti due legni. Montarono Rezia e Canova nell'uno; Maroncelli ed io nell'altro. In uno dei legni era co' due prigioni il commissario, nell'altro un sottocommissario cogli altri due. Compivano il convoglio sei o sette guardie di polizia, armate di schioppo e sciabola, distribuite parte dentro i legni, parte sulla cassetta del vetturino.

Essere costretto da sventura ad abbandonare la patria è sempre doloroso, ma abbandonarla incatenato, condotto in climi orrendi, destinato a languire per anni fra sgherri, è cosa sì straziante che non v'ha termini per accennarla!


Silvio Pellico, Le mie prigioni, Cap. LV.

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