Polinice (Alfieri, 1946)/Atto quarto

Atto quarto

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Atto terzo Atto quinto

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ATTO QUARTO

SCENA PRIMA

Eteocle, Giocasta, Polinice, Antigone,

Sacerdoti, Popolo, Soldati.

Gioc. Numi, se è ver, che della pace il fausto

giorno sia questo, a me l’ultimo ei splenda.
Troppo ardir fora altri implorarne io poscia;
e il mio sperar soverchio anco di questo...
Ma, Creonte?...
Eteoc.   Ei verrá. — Mi offendi, o madre,
se omai tu temi: io voglio, anch’io, la pace,
non men di te; poich’io la compro, e in prezzo
ne do il mio regno. Io ’l cedo, il regno io cedo;
che a me finor tolto non era. Eppure
mendace andranne ingiuríosa fama,
ch’io difender nol seppi. Il ver si sappia:
serbar nol volli; e non piú a lungo incerta
tenerti, o madre, infra temenza e speme.
Al mio oprar sola norma è la salvezza,
e il ben di tutti vero. Ancor rammento,
apprezzo ancor di cittadino io ’l nome;
e il mostrerò; forse di tale ad onta,
che i dritti calca della patria sacri
con piè profano. — Io mai, no mai, piú degno
né mi estimai, né il fui, di premer questo
mio seggio, ch’oggi; oggi, nel punto istesso,

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in cui dal trono io volontario scendo.

Polin. Alti sensi, alto core! — Ed io terrotti
magnanimo qual parli; e il sei tu forse.
Nostr’opre, e il tempo, il mostreran, se pari
noi siam del tutto. — Io dirti so, che il trono
mai non mi parve men pregevol ch’oggi;
oggi, che il debbo io racquistare. Io primo
non son motor di pace; eppur nel core,
piú ch’altri forse, e fin nel brando, ho pace. —
Se in Argo ancor non rimandai gli Argivi,
tu la cagione appien ne sai...
Eteoc.   Che parli?
Donde saperla? entro al tuo cor chi legge?
Terrai lo scettro; e fia, che allor si mostri
l’eroe, quant’è. Piú che nol sembri, o sei,
grande vorria tu fossi a pro di Tebe. —
Mai non può vile invidia in me la pace
intorbidar dell’alma; assai mi giova,
se a Tebe giova, il tuo regnare; andarne
bench’esul debba io dalla patria, sempre
dividerò con essa al par l’avversa,
e la prospera sorte: io, maggior sempre
del mio destino (e sia qual vuol) sarommi:
e, in qual sia terra il ciel mi ponga, i Numi
offrir pel regno tuo voti mi udranno.
Polin. Il duro esiglio anch’io provai, disgiunto
da quanto havvi tra noi mortali in terra
di sacro e caro. Ove piú fera pena
d’ogni piú crudo esiglio a te non fosse
il vedermi oggi sovra il giá tuo soglio,
io t’offrirei, nella mia reggia, in Tebe,
inviolabile asilo: ma, l’udirti
appellar tu suddito mio, quí, dove
regnasti a lungo, al tuo gran cor fia troppo...
Eteoc. L’alterna legge appien tra noi si osservi:
potria quí forse or la presenza mia

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destar tumulti, e mal mio grado. In Tebe

privati giorni in securtade trarre
potrei, s’io nullo, oltre al fratel, vi avessi
da temer; ma il sospetto, ognor natura
fassi, in cor di chi regna: e (assai pur n’abbia)
virtú mai tanta un re non ha, che al tutto
cacci la iniqua diffidenza in bando:
sul trono anch’ella, e di lusinga al pari,
siede al regio suo fianco. — Io no, non debbo
quí rimaner; non pel riposo tuo,
non pel riposo mio. Parto: men desti
l’esemplo giá: — sol nell’uscir di Tebe
spero imitarti; ma in tutt’altra guisa,
che tu nol fai, tornarvi.
Polin.   E giusta speme
nudrisci in te; speme, che mal tuo grado
mostra, che me spergiuro esser non tieni;
e che ben sai, che a rammentar mia fede
d’uopo il brando non è.
Gioc.   Che ascolto, o figli?
Oh quali accenti! oh ciel! tralucer veggo,
ad ogni detto, ad ogni cenno, in voi
la non estinta e mal celata rabbia. —
Questo il giorno non è, non l’ora questa
da voi prefissa a terminar le inique
contese vostre? e non è questo il loco,
ove il già rotto giuramento or dessi
rinnovellar con miglior fede! Oh! quanto
mal co’ mordaci detti opra sí fatta
s’incomincia da voi! ciascun di pace
sul labro ha il nome, e in sen la guerra acchiude:
ciascun vuol fe; nessun minacce vuole;
ma ognun minaccia, e ognun sua fede niega:
e, giá pria di giurar, spergiuri forse...
Or via, che vale il differir, se tali
non sete voi?

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Eteoc.   Saggio consiglio: or via,

a che protrarre il desiato istante?
A che innasprir non ben sanata piaga? —
Io, col contender piú, tor non mi voglio
gloria, ch’è mia pur tutta; a chi mi apporta
guerra mortal, dar pace. — Olá; si arrechi
la sacra tazza a noi; si compia il rito
degli avi nostri. — Madre, oggi secura
te, la sorella, e la mia patria afflitta,
e al fin voi tutti, oggi securi faccia
il giuramento alterno. — Ecco la tazza,
fratello; il vedi, a te primiero io l’offro.
Pien di sacro terror vi accosta il labro;
giura, di leggi osservatore in trono,
non distruttor, salirne; e render giura,
compiuto l’anno, al fratel tuo lo scettro.
Polin. Ciò ch’io non tengo ancor, ch’io render giuri?
giurar dei tu di darmel pria; secondo
io, di renderlo.
Eteoc.   Or dí; non sei tu quegli
ch’onta minacci, e incendio, e strage a Tebe?
Chi, se non tu, rassicurar gl’incerti
suoi cittadini or può, per te dolenti,
e sol per te? — Le madri sconsolate,
da te pendono; i vecchi, da te pendono;
e le tremanti spose, e la innocente
etá, (mira) le supplici lor destre
sporgono a te. — Che indugi omai? ben vedi,
che aspettiam tutti, e sol da te, la pace.
Polin. Questo, che or m’offri, è di amistá fraterna
il pegno adunque,... e di tua fede?
Eteoc.   Il pegno,
sí, d’amistade sacro...
Polin.   Osi accertarlo?
Eteoc. Tu dubitarne?
Polin.   Ecco, ricevo io dunque

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dal mio fratello... un fero pegno... infame,

ch’è del piú orribil odio orribil pegno;
d’odio eterno fra noi, che sol nel sangue
d’ambi noi spento si vedrá. — Giocasta,
Antigone, Tebani, ecco la fede
d’Eteócle: veleno è questo nappo.
Eteoc. Oh vil sospetto! Ahi mentitor!...
Gioc.   Che ascolto?
Dare al fratel sí atroce taccia ardisci?
Polin. Lo ardisco io, sí. Per te lo giuro, o madre;
in questo nappo è morte: e invan non giuro,
madre, per te. Fera è la taccia, e atroce,
ma vera. — O tu, smentirmi vuoi? tu primo
osa libar la tazza: eccola: assento
io di berla secondo, e perir teco.
Eteoc. Forse, perché di traditor si debbe
a te la morte, un tradimento appormi
osi in faccia di Tebe? E che? per trarti
un vil sospetto, ch’a vil prova io scenda?...
Or va; sospetto in te non è; tu il fingi
mal destramente... Io fratricida infame? —
E s’io pur dar la meritata morte
volessi a te, nelle mie man non sei?
A che la fraude, ove è la forza? In Tebe
re non son io finor? suddito mio,
te chi potrebbe alla terribil ira
del tuo signor sottrarre?...
Polin.   All’ira tua
sottrarsi, è lieve; alle tue fraudi orrende,
lieve non è. Suddito tuo, te posso,
te far tremare entro tua reggia; e teco,
i vili tuoi... Ma, di te conscio, ardire
non hai tu, no, di provocarmi a guerra...
Eteoc. Poiché ripigli il tuo furore, io tutto
il mio ripiglio: è testimon ciascuno,
che mi vi sforzi tu... — Lascia i pretesti:

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scaglia da te la profanata tazza:

eterna guerra, odio mortal, giurasti;
eterna guerra, odio mortal, ti giuro.
Gioc. — Sospendi alquanto ancora. — A me quel nappo,
donalo a me; sia pur di morte; io prima,
senza tremare, accosterovvi il labro. —
Felice me, se i Numi oggi fan pago
il mio lungo desir di morte! Io tolta
sarò cosí per sempre alla empia vista
d’atroci figli. — Il traditor fra voi
certo si asconde; ma, di voi qual fia?
Soli il sanno gli Dei. — Possenti Numi,
in questo infausto orribil punto, io volgo
tutti i miei voti a voi: sta in quella tazza
il ver; sappiasi: dona; il dubbio cessi...
Polin. Non fia, no, mai...
Antig.   Madre, che imprendi? — Ah! salda
tieni, o fratel, la tazza. — È questo un dono
d’Eteócle; che fai? Deh! pria si cerchi
Creonte; ei sa tutti i delitti;... ei primo
ministro n’è...
Gioc.   Scostati; lascia; taci.
Stia Creonte dov’è; saper non voglio
nulla: sol morte io bramo;... e, d’un di voi
giá nel turbato aspetto,... e nel fatale
silenzio, io leggo la mia morte. — Godi;
ecco, ti appago.
Antig.   Ah! cessa.
Polin.   O madre, indarno
speri il nappo da me...
Eteoc.   Da te ben io,
il nappo io vo’. Dammelo: il voglio. — A terra,
ecco, la tazza io scaglio: a un tempo è rotta
ogni pace fra noi. — Le infami accuse
smentir saprò, col brando mio, nel campo.
Polin. Uso al velen, mal tratterai tu il brando.

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Eteoc. Troppa ho la sete del tuo sangue.

Polin.   Il tuo
sparger primo potresti.
Eteoc.   Entrambi, a gara,
nell’abborrito nostro sangue a un tempo
bagnar potremci in campo. Altra, ben altra
tazza colá ne aspetta: ivi l’un l’altro
beremci il sangue; e giurerem sovr’esso,
anco oltre morte di abborrirci noi.
Polin. Punirti io giuro, e disprezzarti. Ah! degno
non fosti mai dell’odio mio; né il sei.
Cadrá con te l’abbominevol trono,
per te contaminato. In un potessi
strugger cosí della esecrabil nostra
orrida stirpe ogni memoria!...
Eteoc.   Or, vero
fratello mio sei tu.
Gioc.   D’Edippo or figli
veraci siete, e figli miei. — Ravviso
le Furie in voi, che al nuzíal mio letto
ebbi pronube giá. Ma, il mio misfatto
giá giá voi state ad espiar vicini:
fia dell’incesto il fratricidio ammenda. —
Che piú s’indugia, o prodi? a che ristarvi
dall’ire vostre omai?...
Eteoc.   Madre, del fato
forza è l’ordin seguir: siam del delitto
figli; in noi serpe col sangue il delitto. —
Finché n’hai tempo tu, da me sottratti;
tosto, pria che il mio braccio...
Polin.   E ch’è il tuo braccio?
Eteoc. Fuggi, va, cerca entro al tuo campo asilo;
saprò colá ben io portarti morte.

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SCENA SECONDA

Creonte, Eteocle, Giocasta, Polinice, Antigone,

Sacerdoti, Popolo, Soldati.

Creon. Traditi siam; rotta è la tregua: Adrasto

le mura assal per ogni parte, e al suolo
adeguarle minaccia, ove non venga
immantinente in libertá riposto
fuor delle porte Polinice.
Eteoc.   Adrasto
il traditor non è; ben io ’l conosco
il traditor: — di lui, di Adrasto a un colpo,
e di costui, vendetta aspra pigliarmi
potrei; chi mel torrebbe?... Ma, mel vieta
l’odio, che mal di un sol colpo fia pago. —
Polinice, di Tebe esci securo:
abbiti in pegno di mia fe l’ardente
brama, che in petto da che nacqui io nutro,
di venir teco al paragon dei brandi. —
Tu, Creonte, a morir pensa nel campo:
— tra il ferro argivo e la tebana scure,
scelta ti lascio. Vieni.
Gioc.   Oh figlio!...
Eteoc.   Indarno
ti opponi.
Gioc.   Odimi,... deh!...
Eteoc.   Guardie, la madre
della reggia non esca. — Ostacol nullo
non resta omai: ti aspetto in campo.

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SCENA TERZA

Giocasta, Polinice, Antigone.

Polin.   Al campo

io vengo. Trema.
Gioc.   Ei t’è fratello. Ascolta...
Polin. Ei m’è nemico; ei mi tradí... Il mio onore...
Gioc. L’onor, vieta i misfatti. Oh figlio! cessa...
Che imprendi?... Oh cielo!
Polin.   E che? mentre alla morte
corre Adrasto per me, quí degg’io starmi
fra i vostri pianti? Invan lo speri.
Gioc.   Il ferro,...
Tu,... di tua man,... nel tuo fratello?...
Polin.   Io debbo
mostrarmi al campo: ivi onorata voglio
morte incontrar. Lui, che fratel mi nomi,
non cerco io lá, né d’incontrarvel spero.
Tanto prometto. Addio.
Gioc.   Morir mi sento.
Antig. Di te, di noi, pietade abbi...
Polin.   Mi è forza
esser sordo a pietade: io corro...
Gioc.   Ah! dove?...
Ti arresta...
Polin.   A morte.
Gioc.   Ei mi s’invola!...

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SCENA QUARTA

Giocasta, Antigone.

Gioc.   Ahi lassa!

Non li vedrò mai piú!... Sola mi avanzi,
pietosa figlia... Ah! vieni; alla infelice
tua madre chiudi i moribondi lumi.