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atto quarto 155
Eteoc. Troppa ho la sete del tuo sangue.

Polin.   Il tuo
sparger primo potresti.
Eteoc.   Entrambi, a gara,
nell’abborrito nostro sangue a un tempo
bagnar potremci in campo. Altra, ben altra
tazza colá ne aspetta: ivi l’un l’altro
beremci il sangue; e giurerem sovr’esso,
anco oltre morte di abborrirci noi.
Polin. Punirti io giuro, e disprezzarti. Ah! degno
non fosti mai dell’odio mio; né il sei.
Cadrá con te l’abbominevol trono,
per te contaminato. In un potessi
strugger cosí della esecrabil nostra
orrida stirpe ogni memoria!...
Eteoc.   Or, vero
fratello mio sei tu.
Gioc.   D’Edippo or figli
veraci siete, e figli miei. — Ravviso
le Furie in voi, che al nuzíal mio letto
ebbi pronube giá. Ma, il mio misfatto
giá giá voi state ad espiar vicini:
fia dell’incesto il fratricidio ammenda. —
Che piú s’indugia, o prodi? a che ristarvi
dall’ire vostre omai?...
Eteoc.   Madre, del fato
forza è l’ordin seguir: siam del delitto
figli; in noi serpe col sangue il delitto. —
Finché n’hai tempo tu, da me sottratti;
tosto, pria che il mio braccio...
Polin.   E ch’è il tuo braccio?
Eteoc. Fuggi, va, cerca entro al tuo campo asilo;
saprò colá ben io portarti morte.