Poesie varie (Angelo Mazza)/Inni e odi/V. La melodia
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V
LA MELODIA
imitazione dall’inglese del mason.
O del piú limpid’etere
melodiosa figlia,
da le cui labbra piovono
diletto e maraviglia;
5da la cerulea vòlta,
che le tue note gemina,
il tuo trionfo ascolta.
A te ’l gentile orecchio
solo blandir non piace
10col susurrar di zefiro
o di ruscel fugace;
né sol gioisci allora
che i desti augei salutano
la rinascente aurora.
15Ché tu del mobil aere
ne’ tremiti ondeggianti
spieghi il tesor moltiplice
de’ modulati canti;
ove Letizia spira,
20Amor sorride e palpita,
e Voluttà sospira.
Per te s’ammorza il vindice
ardor d’irosi petti,
e il fero orgoglio appianasi
25de’ soverchianti affetti:
tu ne sopisci i mali,
onde sí duro è il vivere
a’ miseri mortali.
Tu dal torpor difficile
30che il vital corso implica
snodi le fibre, e agevoli
la vigile fatica:
di buon color fiorita,
Igea, tornando, allegrasi
35de l’eccitabil vita.
Fin la materia indocile
piegasi a te non sorda:
i sassi al suon credettero
de l’anfionia corda:
40muta stupía natura,
e Tebe il fianco armavasi
de le sorgenti mura.
Te le procelle fuggono,
te, dea, fuggono i venti:
45i tuoi bei modi adescano
i notatori armenti.
Sallo il nemboso Egeo,
sallo di Lesbo il giovane
che il gran tragitto feo.
50Euro e Libeccio assalgono
i campi di Nettuno;
il flutto si rimescola
già ricrescente e bruno;
orror l’aere circonda;
55e mugge da lo scoglio
la ritornevol onda.
E quei che a voglia perfida
ostia cader dovea,
benché gli frema a l’animo
60la paventata idea,
misura il fier periglio
a sua virtute, e sorgere
vede il miglior consiglio.
Genti da prego indomite
65prega gemendo, e impetra
trattar le fila armoniche
de la fidata cetra.
Se a le dolenti note,
avaro cor, sai reggere,
70chi raddolcir ti puote?
Già su le corde gracili
meste le Grazie spirano;
molli le note facili
in flebil tuon sospirano,
75che strada al cor si fa.
Ecco a la cetra querula
soave un canto aggiungere,
che a’ dèi de l’onda cerula
può il freddo cor compungere
80e meritar pietà.
— Figlie di Nereo, che, inghirlandate
di verdi canne, sul flutto argenteo,
i sollazzevoli balli guidate;
voi, che riempiere le torte conche,
85triton’, godete di suon festevole,
cui ripercuotono l’ime spelonche;
biformi vergini, che dolce incanto
de’ passeggeri spirate a l’anima
con l’aura facile del molle canto:
90deh! per le naiadi, che a queste sponde
da l’arenosa urna riversano
tesor volubile di rapid’onde;
deh! per Ippotade, che a le frementi
procelle impera, e lega e scioglie
95le infaticabili penne de’ venti;
pel tridentifero sommovitore
de l’ampia terra ch’ei solo abbraccia,
Nettun, degli umidi regni signore:
cosí discíolgano note votive
100a voi, qualora salvi s’atterrano
nocchieri e baciano le vostre rive:
figlie di Nereo, deh! qua venite;
triton’pietosi, gli orecchi porgere
vi piaccia; vergini biformi, udite. —
105Oltra l’umide grotte e gli antri gelidi,
discender seppe la preghiera armonica
e le marine deità commovere.
Già il mare in calma s’addolcisce, e increspasi
a pena il fiotto rappianato e tremolo
110e d’improvviso si ritinge in cerulo.
Giá le tempeste, dileguando rapide,
ricoverâro a la caverna eolia;
i venti no, che ad ascoltar pacifici
stettero il canto su le penne immobili.
115Presso del fianco ondibattuto e lacero
de la nave si trae delfin piacevole,
che la queta respinge onda col vario
giocar de’ membri roteami e facili;
ed atteggiando il levigato agevole
120dosso ricurvo, a su montarvi intrepido
e se medesmo a sua pietà commettere
invita il biondo citarista. Ei ridere
vede sovr’esso il fortunato augurio,
e d’un salto gli è sopra: e già travalica,
125l’equabile libando acqua fuggevole
(maraviglia a vedersi) il seno a Tetide;
e già col suon di festeggianti numeri
doppia il guizzo a le corde. Il molle traggono
volto e l’ondante petto a fior di pelago
130le figlie di Nereo, sparse sugli omeri
l’alghintrecciato crin. Col guardo, attonite
e del lor canto insidioso immemori,
lo seguon le sirene. E in lui s’affissano,
sospesa in aria la ritorta buccina,
135d’avvicinarla in atto ai labbri tumidi,
e per gli orecchi e i cupid’occhi beono
i biformi triton’stupore e giolito.
Il musico gentil tanto fa scorrere
caro diletto da l’arguta cetera,
140che l’acque e l’aere di dolcezza inebria;
e Lesbo risaluta e, allegro il ciglio,
canta la sua vittoria e ’l suo periglio.
Tal forse i dèi del mar meravigliarono
e ’l molle flutto mormorò di giubilo,
145quando sul dosso del bovino Egioco
varcollo a nuoto la sidonia vergine.
Il gran padre Nettuno a Creta i bipedi
volse cavalli guidatori, pronubo
del natante fratello; e cento aligeri,
150sventolanti le faci, amor’lambivano
co’ sommi piedi il pavimento equoreo,
intonando Imeneo, plaudendo a Venere,
che ad Europa spargea da la conchiglia
quantunque ha fiori la pendice idalia.
155Essa con l’una man reggea l’eburneo
corno, e con l’altra raccogliea lo strascico
del manto sinuoso e d’aura turgido,
sí che men greve del torello ondivago,
qual per vela naval, venia l’incarico.
160Palpitavale il cuore; ed era l’animo
non col desir de le compagne amabili,
non col dolor del vedovato Agenore;
ma con que’ moti che potean rispondere
al talento del dio, ma con quel semplice
165tremor che nasce da la gioia insolita;
tal che nel nuoto un’indistinta imagine
gía prelibando del celeste talamo.
Sogno sublime de l'argive scole,
che, mentre il vero adombra
170sotto ingegnose fole,
fa trasparir piú luminoso il vero!
In esse alto mistero
celan le muse dal profondo seno.
Raffigurarlo invano
175tenta sguardo profano:
invan mirar presume
augel nato a la notte il dio del lume.