I.

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Mary Wortley Montagu - Poesie (XVIII secolo)
Traduzione dall'inglese di Antonio Schinella Conti (1740)
I.
Poesie (Mary Wortley Montagu) II
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I

     Che comodi bensì, ma non delizie
la vita coniugale a l’uomo arrechi,
disse saggio novello1, e applauso n’ebbe
da la gente che sola esser nel mondo
5colta si vanta e dar le leggi e i nomi
del costume leggiadro a tutta Europa.
D’oppormi ardisco al celebrato dogma
ma falso, periglioso ed abborrito
dall’anime ben nate. Udite, o sposi,
10cui diede il Ciel virtù pari a l’amore.
     Proprî piaceri all’uomo e non a’ bruti
ci apprestò la natura: a noi non basta
gioir di scelto cibo o d’almo sonno
o d’altro instinto macchinale e cieco;
15convien che la ragion governi il senso,
e del senso i piaceri e della mente
stringa ingegnosa in armonia concorde,
da cui nasce virtude o ciò che rende
ad un tempo perfetti il corpo e l’alma.
20Un amor dunque che ragion non guida,
se gli manca virtù, destar non puote
piacer degno dell’uom. S’inebbri il core
di nettarea dolcezza allor che a forza
di sofferenze e sordidezze arriva
25a sfogar orgogliosa, avara voglia.

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a miti ignota ed a feroci belve;
non gusterà che piacer breve e vile
a fronte del piacer illustre, eterno,
che pia riconoscenza e giusta stima
30ed amicizia su virtù fondata
beando inspira alle magnanim’alme,
e con industrie ognor novelle affina
e con dolcezze ognor novelle molce
tenerezza d’Amor. I saggi antichi
35dipinser questi d’un fanciullo a guisa,
tenero, dilicato ed incapace
di mai nocer altrui, pago di poco,
vago di vezzi e d’infantili scherzi
e de’ piaceri i più soavi e puri.
40Il vile Amor (accarezzato ah troppo
da gli uomini!) qual satiro si pinse,
in cui men v’ha de l’uom che de la bestia,
verace immago del desio sfrenato,
duce e compagno de’ lascivi amanti.
     45Qual mai può dar delizia a onesto core
passïon che saziar se stessa cerca
sacrificando la beltà pregiata?
Passion che ingiustizia e frode crea
e menzogna sostien? Segue il delitto,
50il rimorso, il dispregio e la vergogna,
sozzo corteggio e al par di quel orrendo
che tra i covili delle Furie vide
su la soglia infernale il pio Troiano.
Gemere sempre in un’angustia estrema,
55gustar dolcezze d’amarezza piene,
lieto seguir ciò che condanna il mondo,
ogni senso d’onor strappar da l’alma
e rinunziare a la virtude senza
goder del vizio, sono i pregi e l’arti
60de la leggiadra ed amorosa vita.
     Saggia donna perciò sdegnando i prieghi,

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sdegnando i pianti d’un amante astuto,
in lui detesta un seduttor intento
a superar fragile e incauto core,
65per piacer passaggiero ed ottenuto
a costo della gloria e del riposo
e della vita ancor de la cortese
idolatrata amante. È meno reo
di costui masnadier ch’arma da foco
70appressa al sen di viator smarrito,
per trargli gemma tra le vesti ascosa.
Oso dir che, se nata io fossi un uomo,
mi costerebbe men l’atroce idea
d’un assassinio che l’ordita frode
75di corrompere amando onesta donna,
in sua casa felice e al mondo in pregio.
Adunque io con promesse e con lusinghe
e tal ora con lagrime o con ire
tento affetto inspirar, cui poi convenga
80sacrificar senza rimorso o tema
tranquillitade, onore e sin virtude!
Io rendo abbominevole una donna
perché amabil mi sembra, e ricompenso
la tenerezza sua rendendo a lei
85detestabil lo sposo, indifferenti
i figli ed in orror tutta la casa!
     Illegitima fiamma è questa. Io ’l veggo.
Ma nell’esagerare i danni e Tonte
d’un amor vuoto di ragione, accenno
90quai le delizie sian di quell’amore
che, da ragion illuminato e retto,
tutto rivolge de l’amata a l’uso,
a l’onor, a la fama ed ai vantaggi.
     Sposi felici! A voi del par serene
95scorron le notti e i giorni, e godereste
pari felicità ne le capanne
che nelle reggie, e da gran folla cinti

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che soli conducendo all’erbe il gregge.
De’ consigli, de l’opre e de gli amori
100beati un solo è il fine, uno il desio,
e non mai l’interrompe o scema o estingue
tristezza, sdegno, gelosia, dispetto,
rimostranza mordace, imperio duro.
     Suole il volgo chiamar con riso amaro
105credulo sciocco e geloso tiranno
un marito, e chiamar suole una moglie
un demonio dimestico ed uscito
dalle spelonche de l’Inferno al giorno
per ingannar e tormentar. Sfacciati,
110maligni nomi; ma gli avvera spesso
il contegno, i lamenti ed i furori
di que’ mariti alle cui nozze assiste
ambizion, interesse e non amore.
Per altro il nome di marito e moglie
115nome è d’onor, di dignitade, e accenna
la civil vita onde chiamianci umani.
La moglie è come il dolce fin de l’opre,
ed il marito n’è il ministro saggio,
ed ambo denno in pubblico e in privato
120l’un con la lingua oprar, l’altra col ciglio,
l’uno in lei gloria e l’altra in lui virtute.
La sposa di servir gode a lo sposo,
né mai si mostra bassamente umile
e né pur mai senza umiltade altera;
125umiltà che dal cor, da gli occhi, quale
raggio da stella, in larga copia piove,
onde di grazia, di virtù, d’onore
ogni atto si rabbellì e amor risvegli
e riverenza. Dignità regale
130serba nel comandar l’amante sposo,
ma senza fasto ed arroganza, e cerca
più col comando prevenir la voglia
che contrastarla, e a perigliose imprese

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mentre a pro de la patria egli si volge,
135reggere lascia la famiglia tutta,
qual alma il corpo, a la prudente moglie.
     Così gli sposi da natura eletti,
mossi da amore e da ragione scorti
vivono, tra i lor volti e le lor voglie
140quella proporzïon dolce regnando
che regna tra la vista e tra la luce,
tra la lingua e ’l sapor, gli orecchi e ’l suono.
Aurea quindi amistà, candida pace,
lieta concordia in lor magione alberga,
145né da le porte, opra d’invidie e d’ire,
esce a vagar per la città, pe’ borghi,
l’alata occhiuta mostrüosa dea,
che porta cento orecchie e mille lingue
perché più dice che non ode o vede.
150mirar quindi le varie e tante
dolcissime d’amor industrie ed opre,
se mai d’amori favolose storie
a scriver m’occupassi, io non vorrei
già collocar le immagini leggiadre
155de le varie fortune o su le sponde
del Lignone2 o nell’arcadi contrade.
Sì preziosa non son che ne’ desiri
la tenerezza io limiti. Il romanzo
comincierei dall’imeneo concluso
160di due persone, per ragione unite
de lo spirto e del cor. Vita felice
che in un accoppia gl’interessi e i giorni!
A l’amata di dar gode l’amante
di stima e confidenza il pegno estremo,
165e l’amata a l’amante in ricompensa
con sollecite cure ognor procura
riposo e libertade. Oh vere prove,

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oh prove incontrastabili di quella
tenerezza da cui l’anima è ingombra!
     170Non mi rinfacci dilicato falso
che il piacer de l’amore è ne’ perigli
e ne l’asprezze ree, come la rosa
senza spine non è rosa, e molt’altre
fole di sciocco e püerile ingegno;
175quasi il divino amor, di cui l’immago
rifulge in quello di due sposi amanti,
non consistesse in un riposo eterno
di mente e volontade appien beata.
Ma forse senza asprezze, ire, furori,
180tenero puro e ognor costante amore
nel varïar pensieri, affetti ed opre
colorire ei non sa le dolci fiamme
in guise mille, qual raggio di sole
che riflettendo da una conca d’acqua
185a l’opposta parete o sotto il tetto
vi dipinge mille iridi intrecciate
di colori ondeggianti e tutti vaghi?
     Gli obblighi vicendevoli e le gare,
del benevolo amore industrie pronte,
190come l’ore del dì candide e brune
vanno rotando entro d’un cerchio eterno
a’ due sposi d’intorno, e ’l vario giro
delizie accresce a la gioconda vita,
e nulla v’è che le interrompa o tolga.
     195Fata non inventâr le Muse ibere
che né più presto, né con più vantaggio
del favorito, trasformasse in perle
sassi o in rubini e in oro arnesi vili,
come uno sposo od una sposa amante
200velocemente per istinto cangia
di tenerezza in dolci sensi e grati
l’economiche cure altrui sì basse.
S’io profumo una stanza o l’abbellisco

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di pitture e di vasi, adorno un luogo
205ove aspetto l’amante; se apparecchio
una cena od un pranzo od un rinfresco
ne’ caldi dì, l’invito a passar meco
l’ore più care. Oh mille volte e mille
piacer più vivi e lusinghieri e accorti
210che spettacoli, giochi e caccie e danze,
ove la lor felicità ripone
la del vero piacer folla incapace!
     Né solo indora le più vili cose
l’amor contento di due sposi amanti,
215non meno le moleste ei tempra e molce.
Di una guerra gli acerbi e lunghi affanni,
di una Corte i superbi e perigliosi
fastidî, cari a innamorato sposo
riescono, qual or dice a se stesso:
220«Consacro a l’amor mio queste fatiche».
Ardui dissegni la fortuna compia
ed a lo sposo in sen piova ricchezze,
glorie, trofei, de la sua bella ai piedi
gli offre quasi tributi o vinte spoglie,
225e lei ringrazia che inspirato l’abbia
co’ bei consigli ed utili lusinghe,
e seco gioia più vivace trovi
ne’ dolci amplessi sin allor sospesi
che ne l’evento lungamente ambito.
230Della sua dignità la gloria ei gode
e gode d’aumentar i suoi tesori,
perché splendore accrescono e rispetto
a l’amata, e la fa tra l’altre spose
rifulger qual la luna in mezzo agli astri.
235A l’incontro eccheggiare a sé d’intorno
l’amata udendo de l’amante i plausi,
in liete voci alto ringrazia e loda
guerrieri, duci, re, plebe e senato
intenti ad onorar con statue e gemme

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240il senno ed il valor del dolce sposo.
     Oh come poi tra le sciagure e 'onte
ei si consola in ritirarsi appresso
di lei che seco soffre e seco piange,
e con quale dolcezza a lei rivolto
245nello stringerla al sen: «No, non dipende
la mia felicità dalla fortuna»,
dice e, di gioia sfavillando, aggiunge:
«Che la fortuna mi persegua e scopo
ella mi faccia delle sue saette,
250saette inevitabili, io ritrovo
tra le tue braccia asilo certo e cheto,
né, se mi pregi tu, m’affanna o adira
l’ingiusta Corte od il signore ingrato.
Nelle perdite mie godo il piacere
255di meritar da te prove novelle
di tenerezza e di virtude. Vane
son le grandezze a chi felice vive.
Né cerco chi m’adùli e mi corteggi
se regno nel tuo core e in te possedo
260ogni delizia che può dar natura».
Al fin non àvvi ne la vita umana
sito tanto molesto onde non possa
la tristezza scemarne il caro oggetto
d’un mutuo amor. L’infirmitade stessa
265non è senza dolcezza allorché assiste
a la cura l’amante. Altro io non dico
di quanto ne’ reciprochi contenti
molle e ingegnosa fantasia soddisfa,
e con la voluttà più pura e stesa
270ogni senso lusinga ed accarezza.
Pur in obblio non posso por il dolce
instinto di natura e che raffina
(esprimendolo ognor co’ nuovi segni)
la tenera amicizia e ’l pago amore.
275Quanto ei gode a scherzar vedendo intorno

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a lieta mensa i pargoletti figli
e udirli balbettar quei nomi dolci
sempre a l’avide orecchie e al core amante!
Un padre spesso ne la figlia bacia
280la beltà della madre, ed una madre
nel suo figlio lo spirito rispetta
e l’orme d’onestà scorte nel padre;
ma la gioia maggior è che lo sposo
nulla fa, nulla pensa e nulla vuole
285che d’ogni suo pensier, d’ogni sua voglia,
d’ogni opra sua senza tormento e sforzo
la sposa non ne faccia a sé tesoro,
grandezza, fregio, onor, diletto e pace.
Paradiso terrestre il più soave
290immaginar non so che quel goduto
da’ primi padri. Ne l’età, nel volto
conformi e ne l’instinto e negli affetti
nulla mancava a’ lor piacer felici
e sempre nuovi; ma duraro poco
295per colpa loro, ed al futuro mondo
parve Eva stolta e poco accorto Adamo.
Quando simile gente il caso accoppia,
se ben arda l’amor non dura o cresce,
ma sempre si minora e al fin dilegua.
300Nel tempo del furor del primo amore,
di soprannaturali idee mendaci
s’empie la mente e il cor; l’uomo vedendo
bella la donna sua, qual dea l’ammira,
degna del culto che umilmente l’offre;
305e la donna, di sé contenta, e grata
a chi l’adora, amor e grazie rende.
Del bel sembiante il cangiamento primo
l’adorazion sospende, ed il marito,
cessando d’adorar, odioso fassi
310a lei che perde il desiato culto.
Il disgusto comincia a poco a poco

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ed a l’esempio de’ primieri padri
sdegnosamente l’un lancia su l’altro
della loro reciproca e importuna
315debolezza il delitto. A la freddezza
segue la noia ed il disprezzo, e al fine
convinti son che odiar si denno appunto
perché son maritati. Ottico vetro
non ingrandisce sì de la minuta
320sabbia i granelli, come a’ guardi attenti
si dilatano i minimi difetti
nel gesto e nel parlar scorti o nel volto.
Non si vede né cura, anzi si sprezza
e si detesta quanto tocca e punge
325ed addolcisce i più selvaggi petti;
e quel che prima era di noia oggetto,
di nausea fassi e alfin d’orrore e scherno.
Così commerzio, che si fonda e cresce
su’ sensi, allor si perde ed anche abborre,
330ché ’l lungo uso infiacchisce e stanca il senso.
     Uom degno di sposar l’amante amata
non dimentichi mai ch’ella è mortale,
a infirmità soggetta ed a’ capricci
ed al cattivo umor; alta costanza
335prepari a sostener della fugace
beltade i danni; ampio tesoro ammassi
di compiacenze, onde anche vecchia adori
la sposa e finga a sé ch’ella è più saggia
od inegual meno d’ogn’altra donna.
340Dal suo canto non già la donna aspetti
lusinghe ognora adulatrici e cieche,
ma lieta e pronta ad ubbidir s’appresti
ne le cose più ingrate. Ogni arte adopri
per supplir senza sforzo a i pregi antichi:
345opponga ai vezzi d’un’amante il senno
d’un’amica sincera e non s’avvisi
di vendicarsi del marito stanco

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cercando amante che, co’ suoi consigli
interessati, nel guidarla accenda
350discordie inestinguibili e funeste
al riposo, all’onore, a’ figli, al padre.
Io non inganno o adùlo e non richieggo
perdono o scusa, ma ben grazie e lodi,
esagerando le sventure e i danni
355de’ vizî non deformi e atroci meno
perché in uso passâr. So che con nostro
danno si calcolaro e con vergogna
le sì vantate ingentilite foggie,
che concessero a’ vizî il sommo impero
360e a le sciagure, a’ vizî ognor compagne.
So che natura è debole e soggetta
al cangiamento, e che non è sì lieve
d’aver ingegno e cor che lodi e vanti
l’ombreggiato imeneo, l’approvi e cerchi.
365L’idee più saggie preferir non lice
a l’usanze introdotte, e si dispregia
come stolto colui che non approva
l’uso, sebben danno gli arrechi o noia.
     Molto soffre a veder marito amante
370sua moglie a tutte del bell’uso in preda
le libertà. S’accuseria di rozzo
se le impedisse o ricusar volesse
di conformarsi a le maniere colte,
sdegnando di mirar le nude mani
375de la moglie e tal or le nude braccia
in balia di chi prenderle s’avvisa
ed afferrarle qual tenaglia il ferro;
e guai che cogli amici ei si dolesse
ch’ella del sen ostenti i finti avorî,
380che s’invermigli il volto e accorci il crine
sol per far pompa della sua bellezza
ne’ balli e ne’ teatri, ove impaziente
corre ad udir le insipide ed inette

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adulazion di cento sciocchi e cento.
     385Chi creatura sì pubblica mai puote
pregiar quant’ella lo pretende? Io vidi
in Bisanzio l’amabile Sultana
che dal Serraglio uscir astrinse Acmette,
e favellando come avea per uso
390meco, candidamente un dì mi disse:
«Lieta e paga io mi son del mio consorte,
ma voi, dame europee, libere troppo
siete». Soggiunse: «Conversar vi lice
cogli uomini ad arbitrio e v’è permesso
395al pari de l’amor l’uso e del vino
senza modo o misura». Io le risposi
che ben non era de’ nostr’usi instrutta:
le tollerate visite esser piene
di ritegno e rispetto, esser delitto
400l’udir a favellar d’amore ed altri
amar che suo marito. Ella rispose:
«Oh gran bontà degli europei mariti,
se fedeltà sì limitata e scarsa
gli appaga! Non son forse a pubblic’uso
405le vostre mani, il vostro volto e ’l core
e le parole? E che mai pretendete
riservare agli sposi?» Io ritrovai
tanta delicatezza e tanto senno
ne’ suoi detti che tacqui ed arrossii
410nel confrontar le ingentilite usanze
con le asprezze de’ Traci. Oh infamia, oh scorno,
oh confusion! Le massime severe
del cristianesmo veggonsi commiste
con lo spartan libertinaggio? Gridi
415il volgo e mi condanni. Io sì decido:
saggia donna che cerca esser felice
ne l’amor del marito, ah non si lasci
adorar mai dal pubblico, e un marito
ch’ama con vero amor la propria moglie

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420sdegni ed abbi in orror la fama ambita
di mostrarsi gentile al suo paese.

<poem>

Note

  1. Il Signor della Rochefoucault nelle sue Massime [CXIII].
  2. Romanzo dell’Astrea [H. D’Urfé, L’Astrée, Paris, 1614-(1633)].