Poesie (Fantoni)/Sciolti/VI. Epistola a Napoleone Bonaparte

VI. Epistola a Napoleone Bonaparte

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VI. Epistola a Napoleone Bonaparte
Sciolti - V. Al marchese di Fosdinovo Varie
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VI

A Napoleone Bonaparte

primo console della repubblica francese

presidente della repubblica italiana

EPISTOLA

(1803)

Nam tua res agitur, paries cum proximus ardet.

Hor., Epist., i, 18.


     Mentre tante tu solo opre sostieni,
onde Gallia, sperando, osserva e tace,
Anglia teme crucciosa, e dubbi stanno
sul tuo primo pensier popoli e regi,
5mentre Italia coll’armi e col consiglio
lontan tuteli, e di emendar prometti
gli altrui torti ed i suoi, costumi e leggi;
contro il pubblico ben, vate importuno,
peccherei, se per lieve o vano oggetto
10di usurpar presumessi i tuoi momenti
con un lungo sermon, figlio di Cimo.
     A che prò tante cure? Affrica, Europa
piene son del tuo nome, e piú di un campo
fra l’ossa addita dei guerrier sepolti
15i tuoi trionfi, e di Alessandro al paro
grande ti chiama, e ti paventa armato
fulmine in guerra e donator di pace.
Esamina il tuo cor, ne’ suoi profondi
nascondigli penètra, osa invocarlo;
20sentirai che si lagna e che ti dice:
— L’altrui felicitá solo fa grande! —
Che di Olimpia il garzon lasciò di tante
guerre e conquiste e di sií lunghi affanni,
che schiavi ed oppressor, province e risse?

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25Creduto un dio, vivendo, uomo il conobbe
l’estremo dí la soggiogata terra:
ma d’Eunomo la prole, a cui non calse
di regno, e sol di gloria e d’esser saggio,
lasciò nuovi costumi e, esempio al mondo,
30non che alla Grecia, cittadini e Sparta.
Se nei verd’anni tuoi del primo osasti
tentar le imprese, del secondo imita,
eroe maturo, i benefici: allora
gloria sicura merterai vivendo,
35e alfin, morendo, domerai l’invidia.
Virtú, qual face senza fumo, splende,
estinto quei che la possiede: è sempre
dannosa a quei che vive infra i corrotti.
     Né a chi or facil ti plaude o ti lusinga
40pieghevolmente prestar fede intera.
Al potente, che è vivo, onori rende
il timor dei soggetti: al grande estinto
solo color ch’ei fe’ felici e il voto
meritato dei saggi e delle genti.
45Se tal ti mostri, il nostro popol giusto,
te distinguendo, fra i latini e i greci,
te preferendo dell’Ausonia ai figli,
ai batavi, ai germani, agli angli, ai franchi,
fará de’ fasti tuoi specchio ai nipoti.
     50Se mal fondata ambizion di regno
te seducesse invece, e sugli avanzi
d’ancor non spenta libertade ergesse
infermo trono, da ricchezza e lusso
protetto e cinto, ahi! che il tuo nome io veggo,
55di fosca luce scintillante, in mezzo
di bassa nebbia raggirarsi, invano
nato a la lode, e non destar piú raggi
di soave speranza ai di futuri.
Né sgomentarti: ardua è l’impresa, è vasta
60l’opra; ma l’arduo a l’uom di genio è cote
onde aguzzar lo spirto e farlo eterno:
e a chi vuole e a chi può conviene il vasto.
Da sí tenui principi osserva Roma
ciò che divenne, del sorpreso mondo

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65il popol primo: nei disastri invitta,
deve agli ordini suoi la sua grandezza.
Tu simili li forma, e il Campidoglio
dai sette colli dominar rivegga
dei padri il senno ed il valor dei figli.
70Prima tua cura sia la forza: questa,
s’è ben diretta dai costumi, crea
leggi sicure, le protegge e serba.
Né manca atta materia ad ogni forma
nel bel terren, che il mar circonda e l’Alpe:
75ma tal gettarla, qual fa d’uopo, è impresa
di man maestra. Nel contrasto fissi
sian gli opposti elementi: adatti al suolo
si dèstino i bisogni, essi i costumi:
e piú sobri costumi in nuove leggi
80servan d’Italia alle memorie antiche.
     Sia tua la forza: a mercenaria gente
chi si affida, si perde; e divieti preda
di una straniera aviditate armata
la privata e la pubblica ricchezza.
85Chi possiede, difenda: ha cuore e braccia
chi vera ha patria, e ciaschedun possiede
ove vive felice. I primi beni
non son le terre né i metalli : siamo
noi, la patria, le spose, i padri, i figli;
90fin la colomba si difende e volge
a un ingiusto oppressor gli artigli e il becco.
     La stabil forza nazional, divisa
in centurie, in coorti ed in legioni,
sia mobile e locale. Una la formi
95la gioventú; virilitá componga
l’altra; e, vivaio d’ambedue, le nutra
l’adolescenza, dai primi anni instrutta
a soffrir la fatica, al nuoto, all’armi.
I giuochi stessi sian guerrieri: il disco
100la mano addestri a non fallir, la lotta
le membra ad ubbidir, la corsa il piede
in terra, e in mar, curvo sul remo, il braccio
a incalzare il nemico e la fortuna.
Il cannone, il mortâr, l’arco, il fucile,

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105percotendo da lunge, il primo onore
cedeano all’arme, per cui l’uom s’avanza
arditamente in faccia e l’oste atterra.
L’asta, la baionetta, il brando sono
l’armi di chi non teme, e sian le nostre.
110Solo il pugnal, che Grecia e Roma rese
dei barbari il terrore e de’ tiranni,
non piú occulto ministro ai tradimenti,
ci adorni il destro fianco e vibri, in campo,
dell’italo valor l’ultimo colpo.
115Molti i pedoni, i cavalier sian pochi,
atti alle scorrerie. Veglin, custodi
della sorte d’Ausonia, oltre Appennino,
in due corpi divise, a scorrer pronte
dell’Adria e del Tirren le spiagge opposte,
120venti legioni mobili. Le mura
sian gl’italici petti. Il vil si chiude:
sta in campo il forte, e vince o cade. Eterne
per noi difese stabilí natura:
scudo ai disastri l’Appennin ci offerse,
125ci die’ l’Alpi per ròcche e il mar per fossa.
Sul nostro mare, fra le terre chiuso,
periglioso, incostante, immense moli
non torreggin di guerra; atte le navi
siano all’onde e alle coste, e queste armate
130e di torri e di barche, i legni ostili
fulminando da lunge, il vasto lido
da straniero aggressor serbino intatto.
Spieghin tonanti mercantili antenne
la venerata tricolore insegna,
135di porto in porto veleggiando, carche
di virtudi e di merci e di nocchieri.
L’adriatica spiaggia e la tirrena,
di remiganti e di battelli sparse,
all’attonito sguardo offran frequente
140turba genial di marinari industri.
Dei cittadini i sacrosanti dritti,
l’esecuzione delle leggi, l’annua
esazion dei tributi ed il commercio,
le locali legioni abbiano in cura;

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145siano obbedienti ai magistrati ed essi
mallevadori dei lor cenni. Armato
non deliberi alcun: deposto il brando,
tace la forza e la ragion trionfa.
Onde educarli all’arme ed onde amarli
150ed a’ suoi difensor mostrarsi madre
e dei tutori della legge attrice,
abbia Italia un erario. Il giusto censo
dei privati, del pubblico conservi
la ricchezza benefica. Le terre
155soffrano solo le gravezze, e i frutti
superflui al cittadin la patria ottenga.
Non pubblicana aviditá disastri
l’utile agricoltor: delle comuni
siano esattori i magistrati: ogni anno
160fissin le imposte ed infallibil norma
d’esse siano i terreni. Il popol sappia,
pria di pagarle, che son eque, e possa
esaminarle alle colonne affisse.
Nei gran perigli della patria, ai doni,
165non ai tributi, si ricorra. Rende
generosi il periglio: utile primo
è salvar gli altri, onde salvar se stessi.
Come la fecondante onda del Nilo,
sia libero il commercio: oro ed argento
170divengan merce; il rame sol, cui tanto
nelle viscere sue l’Esperia abbonda,
resti moneta. Nei contratti il peso
dia il valor dei metalli. Il mare e l’Alpi
gratuitamente a peregrine merci
175aprano il varco, se son grezze: grave
tassa da fertil suolo all’arti sacro,
se lavorate, le allontani. Serve
ad altre quella gente, a cui la mano
torpe e l’ingegno, e nei bisogni è forza
180alle fatiche altrui chieder soccorso.
Della pubblica fé l’eccelsa impronta
l’itala industria riconosca: al prezzo,
alla bontá delle sue merci debba
la preferenza, né alcun dazio inceppi

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185dell’arti del pensier le mire occulte,
scritte a esempio dei popoli futuri.
Al compier del suo giro annuo dimostri
all’universo il sol l’esatto, e l’uso
dei tributi e dei dazi. Ogni ventennio
190dei cittadini additi il lustro, il censo
dei privati e del pubblico palesi,
delle terre il prodotto e dell’industria
sicuro accenni l’utili scoperte,
delle man l’opre insigni e della mente;
195né, d’un falso pudor vano trastullo,
numerando i vantaggi, asconda i danni.
     Guida l’uom l’abitudine, degli usi
sono il prodotto le nazioni, e denno
il carattere proprio ai lor costumi;
200della vita civil son gli elementi,
d’una privata e pubblica concordia
il cemento, i costumi. Abbian la norma
da invariabili leggi istitutive.
Sian figlie queste di natura, a gradi
205sviluppino, com’essa, e rendali forti,
equilibrando coi bisogni i mezzi,
ed il corpo e la mente. Ai genitori
dell’infanzia la cura ed i precetti
donin gelose: cedano, sagaci,
210di fanciullezza e adolescenza gli anni
pieghevoli, alla patria, egual e certa
maestra di diritti e di doveri:
d’ambe le etadi la custodia solo
serbino alla paterna tenerezza.
215Mentre formano sagge a un’arte e all’armi
ogni mano, e ogni mente al vero e al giusto,
concedano, compiuto il quarto lustro,
all’educata gioventude il dritto
di cittadino attivo e la soave
220facoltá d’esser madre o d’esser padre;
dian all’amore e alla virtú la scelta
libera in faccia ai magistrati, e a questi
dei registri la cura, ove si serbi
dei maritaggi la memoria, il nome

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225e il numero dei nati e quel dei spenti.
Al giovanile ed al viril vigore
caute affidin la forza e la difesa
del territorio e della legge, e al senno
della vecchiezza il privilegio antico
230nelle adunanze del parlare il primo,
il giudizio dei giuochi, la censura
dei pubblici costumi, e, dal rispetto
protetta e dal saper resa feconda,
la scuola degli esempi e dei precetti.
235Fissino eguale, e ad ogni etá distinto,
l’abito nazionale, atto alla guerra,
comodo in pace, e di un variabil lusso,
che lento mina le famiglie e i regni,
che infama i cor, riformator modesto.
240Creino in utili giuochi, in sobrie feste
di pratica moral codice augusto,
che rechi all’uomo l’allegrezza e al fine
nella via del goder virtú gl’insegni.
Tolgano ai funerali il lutto e il fasto,
245ornandoli di lode a chi ben visse,
né al vano orgoglio di marmoree tombe
dian dei defunti, per serbarne i nomi,
le dovute alla terra utile spoglie.
     Spieghi i vantaggi, e l’equitá degli usi
250conservatrice l’istruzion palesi;
si livelli alla pratica, s’appoggi
a ciò che si dimostra ad ogni etade;
semplice e pura progredisca e formi
di tanti raggi, di non dubbia luce,
255massa bastante a illuminar le menti,
che sia al pubblico ben fiaccola e scorta
nel fosco calle degli umani affetti.
Scende cosí fra le scoscese balze
da piccole sorgenti acqua perenne,
260per gli ardui monti in cento rivi sparsa,
che al pian si unisce in vasto letto e reca,
con util corso di crescevol onda,
navi traendo sul volubil dorso,
feconditade alle campagne, vitto

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265agli abitanti e alle province mezzi
sobri d’industria e di commercio alterno.
Nel miglior dono della patria, figli
dell’esperienza e dell’ingegno, scelta
di un giuriì di sapienti, i magistrati,
270il popolo sovrano ed i maestri
trovino i libri elementari, certa,
lucida norma dei doveri, i sacri
principi e mezzi d’ogni scienza ed arte.
     ... Né istrumenti del ben mancan, fra molta
275scabie di lucro e di egoismo e tanto
contagio impuro di stranieri esempi.
Credilo a me: d’ignoto merto abbonda
piú che di noto Italia, e, mentre spesso
il docil vizio e un cieco onor si esalta,
280quanta inerte virtú tace sepolta!
Facil fia rinvenirla, e facil anco
ritrovar chi, maggior d’ogni lusinga,
generosa l’additi e poi si asconda.
L’esperienza, del ver figlia e ministra,
285giá ci additò, nei casi dubbi e avversi,
chi ama la patria: chi non l’ama è vile,
o con l’opre e coi scritti o col consiglio:
mentre dice d’amarla, altrui la vende.
Ma non hai d’uopo dimandarne: il saggio
290è sempre dove la modestia alberga.
Vano è trovarlo ove strisciando morde
dei rettili la turba, ornata e carca
d’argentee liste e di dorate squamme.
Cercalo in mezzo ai solchi; ei pota o guida
295l’onorevole aratro, o a mensa siede
fra il vecchio padre e la pudica sposa
e i crescenti alla patria utili alunni:
Fabrici e Curi rinverrai. Lo indaga
fra quell’alme di guerra, a cui ricopre
300veste inadorna cicatrici oneste,
che ultimi sono alla mercede e primi
sempre al periglio: scoprirai Cannili,
Deci, Fabi, Torquati, Orazi e Scipi.
Fra quei duci e nocchier chiamalo, a cu,

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305su mercantili or non gloriose prore,
geme in fondo del cor l’onta e lo sdegno
e del commercio e dell’onor perduto;
e udrai le voci di vergogna illustre
dei Duili, dei Poli e dei Colombi.
310Tacito scorri ove dell’arti belle
nei santuari, al profan vulgo ignoti,
avidi sol di gloria, i tanti figli
del genio creator di Raffaello,
Marcantonio, Michel, Cellin, Bramante
315e del soave Pergolese. . . . . . . . . .
Oh, quanti incontrerai che in tele, in carte,
in marmi, in bronzi, anfiteatri ed archi,
non la propria, negletta e spesso oppressa,
ma la virtude altrui rendono eterna!
320Fra quei dotti t’inoltra, a cui non macchia
util menzogna ed ambiziosa smania
l’anima sobria e il non corrotto ingegno;
che non vendon la lode e muti stanno,
tracciando all’avvenir gesta e precetti;
325che, sacri al vero, alla famiglia e ai stanchi
fratelli, sparsi sull’oppressa terra,
vivon negletti dai potenti: e cento
Machiavelli vedrai, Tulli, Petrarchi,
Galilei, Beccaria, Giannotii e Strozzi,
330piú pensosi d’altrui che di se stessi.
Ma non ti basti rinvenirli: è d’uopo
idoneamente destinarli; prima
scienza di chi governa e certo mezzo
di felice successo in ogni impresa.
     335Te il popolo sovrano organo e guida
del suo volere riconosca allora:
ne’ suoi comizi il tuo lavor sanzioni;
qual figlio del suo cuor l’adotti e il serbi
libero ai figli e a chi verrá da loro.
340Compita e accetta la grand’opra, eguale
di te chi fia, se fra noi resti, o scendi
ove a tutti natura util prescrive
letto di polve e sconosciuto sonno?
Non da tremanti altari incensi e voti

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345s’ergeran mal sicuri: in ogni core
avrai l’altare e in ogni volto, sparso
di lacrime di gioia e al ciel rivolto,
perpetui voti e ricompensa eterna.
— Qua — si dirá — stette di Lodi al ponte;
350lá, valicando 1'Alpi Rezie, venne,
non atteso, a Marengo, e vide e vinse.
Qua cancellò malaugurati patti,
per cui nordiche schiere ebbero il varco
dell’Alpi Giulie, ed inondar di sangue
355l’Adige, il Po, la Dora, il Tebro, il Tronto.
Lá, delle leggi inviolate all’ombra,
si assise Padre della patria, amico,
educator del popolo, migliore
Romolo e Numa sul Tarpeo risorto. —
     360Si addensi pure congiurato il nembo,
Euro, Noto, Aquilon dèstin procella:
quasi Minerva sui fecondi campi
d’Attica, lieti di feraci ulivi,
stará tua figlia, ma coll’elmo in fronte,
365coll’asta in pugno ed al cimento pronta.
Se incauta rabbia di straniere genti,
te fatto polve, scenderá dall’Alpe,
la tua grand’ombra sorgerá dal fondo
del venerato avello; e un grido solo,
370al tuo apparire, formerá di guerra
Italia tutta, che dai monti al mare
echeggerá liberamente, nunzio
che sei fra noi, che la virtú non muore,
che ne siamo gli eredi e che ci guidi,
375non minori degli avi, alla vittoria.
     Né per tanta grandezza e tanto affetto
sará gelosa la maggior sorella,
gigantesca di forze, ampia di forme,
dai costumi di cui l’alto dipende
380destin d’Europa o la miseria immensa;
né rival la minore. Odia or chi teme,
sdegna chi l’ha delusa e il fren ne morde:
ma generosa l’amerebbe e quale,
pria che l’Alpe varcasse, esser promise.

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485Son fole di ministri, arti del trono,
di venali scrittor cognite astuzie,
crear timori, immaginar discordie.
La stessa causa ci fa amici : omai
il periglio è comune, ed indistinta
490è dei popoli liberi la sorte.
Chi osar potrá contro l’invitta possa
di Gallia e Italia, di Batavia e Elvezia,
rese a se stesse ed ai capricci tolte,
dai benefici in amistá congiunte?
395Chi potrá cancellar, con qual stromento,
dal cuor dell’uomo i conosciuti dritti,
della nascente America l’esempio,
i sacrifizi, i nomi, i patti, il sangue,
che fuma ancor sulla tradita terra,
400che grida ai figli ed ai nipoti: — Questo
fu versato per voi? — Forse i sofismi
dei due poteri, fra di lor discordi,
benché di nuovo congiurati : i riti
per vecchiezza impotenti; le ricchezze,
405madri del lusso e delle colpe, ognora
della miseria pubblica compagne?
Forse di nuova tirannia l’industre
gergo insidioso, la celata forza
di venduti satelliti, l’usata
410arte di minacciar, se forti, i dotti,
di comprarli, se vili; o i giá risorti,
del gallico colosso all’ombra antica,
dommi servili, longobardi e franchi?
414-8 .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    
     Assai non dissi; ma, se alcun, che spesso
420zelo fingendo, tradimenti occulta,
mai bisbigliasse ch’io troppo dicessi,
l’onor d’Italia mi vi spinse, il mio,
la gloria tua, nell’altrui ben riposta,
e la speranza che ne sii capace.