105percotendo da lunge, il primo onore
cedeano all’arme, per cui l’uom s’avanza
arditamente in faccia e l’oste atterra.
L’asta, la baionetta, il brando sono
l’armi di chi non teme, e sian le nostre. 110Solo il pugnal, che Grecia e Roma rese
dei barbari il terrore e de’ tiranni,
non piú occulto ministro ai tradimenti,
ci adorni il destro fianco e vibri, in campo,
dell’italo valor l’ultimo colpo. 115Molti i pedoni, i cavalier sian pochi,
atti alle scorrerie. Veglin, custodi
della sorte d’Ausonia, oltre Appennino,
in due corpi divise, a scorrer pronte
dell’Adria e del Tirren le spiagge opposte, 120venti legioni mobili. Le mura
sian gl’italici petti. Il vil si chiude:
sta in campo il forte, e vince o cade. Eterne
per noi difese stabilí natura:
scudo ai disastri l’Appennin ci offerse, 125ci die’ l’Alpi per ròcche e il mar per fossa.
Sul nostro mare, fra le terre chiuso,
periglioso, incostante, immense moli
non torreggin di guerra; atte le navi
siano all’onde e alle coste, e queste armate 130e di torri e di barche, i legni ostili
fulminando da lunge, il vasto lido
da straniero aggressor serbino intatto.
Spieghin tonanti mercantili antenne
la venerata tricolore insegna, 135di porto in porto veleggiando, carche
di virtudi e di merci e di nocchieri.
L’adriatica spiaggia e la tirrena,
di remiganti e di battelli sparse,
all’attonito sguardo offran frequente 140turba genial di marinari industri.
Dei cittadini i sacrosanti dritti,
l’esecuzione delle leggi, l’annua
esazion dei tributi ed il commercio,
le locali legioni abbiano in cura;