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Mihai Eminescu - Poesie (1927)
Traduzione dal rumeno di Ramiro Ortiz (1927)
Note
XIII (77). Colinde

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NOTE



I.- In morte di Aron Pumnul.

Questa poesia, scritta a 16 anni, quando Eminescu era ancora studente di ginnasio a Cernăuţi (Czernovitz) non manca naturalmente di difetti e soprattutto di ripetizioni, di zeppe, di frasi prosaiche, che nel testo son dissimulate dall’armonia meravigliosa del verso, che, fin da quell’età, appare come la caratteristica più spiccata del nostro poeta, ma che nella traduzione vengono naturalmente a galla. Avremmo facilmente potuto rimediare a questi difetti, sopprimendo, sostituendo, elevando il tono di qualche verso o di qualche strofe; ma avremmo fatto opera di falsificatore, non di traduttore. Avremmo anche potuto sopprimer la poesia, ma non ci è parso opportuno togliere il primo anello alla catena dell’evoluzione poetica di Eminescu, di cui ci siamo proposti di dar quasi tutta l’opera poetica a differenza delle traduzioni francesi e tedesche che han dato solo poche poesie. Aron Pumnul era il maestro di Eminescu, la cui poesia fu pubblicata in un fascicoletto contenente altre «Lacrimucce degli studenti ginnasiasti di Cernauzzi sulla tomba dell’amatissimo «loro professore Arune Pumnul». In quel ginnasiasti e in quell’Arune si vedono gli effetti dell’insegnamento di Aron Pumnul, latinista e purista quasi fanatico. Avvertiamo che Lagrimuccia è in rumeno anche il nome di un fiore (il mughetto) e che per latinista intendiamo qui «appartenente alla corrente latinista», una teoria linguistica (una specie di purismo) che si proponeva sostituir tutte le parole e le desinenze slave, greche, turche ecc. con parole e desinenze latine. — 4. s’è spenta una stella. Il testo ha luceafăr, che è il nome popolare che i contadini rumeni dànno al pianeta di Venere, distinguendolo in luceafar de ziuă ( = lucifero del giorno) e luceafăr de seară (=lucifero di sera) così come noi lo chiamiamo Lucifero all’alba ed Espero al tramonto. Nelle tradizioni popolari è personificato nel figlio del [p. 142 modifica] Sole che innamora le vergini mortali. Cosi si spiega come in rumeno possa esser preceduto dall’articolo indeterminato: un Luceafăr, come noi diremmo: un angelo o un demonio. Luceafărul è anche il titolo d’una fra le più belle e delicate poesie di Eminescu. — 7. mugge. Un «pianto che mugge» potrà sembrar strano. Ma il verbo rumeno vuește significa proprio il muggir lamentoso del vento nelle notti d’inverno, e, con quest’avvertenza, credo che possa andare. — 12. lì ove ti aspetta. Costruzione ellittica per: e sei andato dove ecc. — 13. che intona. Il che è qui oggetto. Il soggetto è: il dolce canto delle stelle. — 20. di duolo nazionale. Nel testo: ciò che è duolo nazionale.

II. - Ad Heliade.

Così nel testo. Noi abbiamo aggiunto per i lettori italiani il secondo cognome del poeta e poligrafo rumeno per maggiore chiarezza e ad evitare possibili confusioni. Ion Heliade-Rădulescu è, con Gheorghe Lazăr e Gheorghe Asaki, il precursore, il propulsore, e, in certo senso, il creatore della nuova letteratura rumena. Letterato, uomo politico, cospiratore, maestro elementare, professore, giornalista, autore di manuali per le scuole, che furono i primi a essere scritti e pubblicati in rumeno, poeta, letterato, direttore e fondatore di giornali e riviste politiche e letterarie, primo fondatore del teatro nazionale in lingua rumena; quest’uomo meraviglioso campeggia come un gigante sul davanti dell’edificio della civiltà rumena contemporanea. Per noi italiani la sua opera ha un interesse particolare perchè è il fondatore di una teoria linguistica detta dell’italianismo, diramazione di quella latinista, che si proponeva rimpiazzar le parole d’origine slava con altrettante italiane o italianizzate, e di riformar l’ortografia sulle basi dell’ortografia italiana. Se non che, specie nel secondo periodo della sua attività filologica e letteraria, cadde in tali esagerazioni, da offrire il fianco al ridicolo, e, da quel momento, l’influenza italiana cominciò a decadere. — 3. settuagenario. Nel testo: del vecchio bardo. Ho creduto concedere qualcosa al bisogno di una prosa più numerosa e che riproducesse un po’ del ritmo del verso. — 9. Questi biondi riccioli diventano al v. 12 riccioli d’argento. Bisogna intendere quel biondo quasi argenteo dei vecchi, che, come direbbe Dante, non è bianco ancora e il biondo muore. — 13. ch’Eolo dolce intona: cioè intona dolcemente. — 23-24. Alla lettera, con uno di quegli anacoluti così frequenti in rumeno: «se non tutta la vita, ma il canto mio di morte fosse come «la tua Maledizione.... ch’io la canti e poi muoia!». [p. 143 modifica] III. - Sogni svaniti.

Titolo e v. 1. — svaniti. Nel testo: passati. — 3. v’inseguivo. Nel testo: vi seguivo. — 6. andatevene dunque con Dio. Alla lettera: vi porti via il rimpianto. — 10. mio Dio. Nel testo: mio credo (= mia fede, mia religione). — 12. negl’incendii. Alla lettera: negli uragani. Se non che struggersi negli uragani della passione in italiano non va, e non direi che vada bene neppure in rumeno, dove simili incongruenze stilistiche abbondano, per colpa, a dir vero, più della trascuratezza degli autori e della mancanza di freno dell’arte classica, che della lingua in sè. In Eminescu poi, autodidatta e quasi del tutto sprovvisto di coltura classica (ne fa fede in questa medesima poesia quella pallida icona d’argento di Apollo che suona tanto strana, e direi quasi medievale, a qualunque lettore non isfornito del tutto di cultura classica) simili incongruenze abbondano, specie nelle prime poesie, in modo inverosimile. Se non che l’armonia meravigliosa del verso e della strofe fa si che non s’avvertano, o, se pur s’avvertono, ci si passi sopra, rapiti nella melodia delle sillabe e degli accenti canori. — 16. Infesta. Ma il senso generale par richiedere piuttosto: sta alla posta della traccia di una tomba, quasi, aspetta che il vento le porti da lontano l’odor grave di una tomba. — 17. murmure, qui sembra poco per il muggito dell’Aquilone, anzi della tormenta; ma io non mi son permesso di sostituirlo con un vocabolo più proprio. Son poesie giovanili e la forma non è ancora espressione perfetta del pensiero. E poi valga anche per questo murmure quanto abbiam detto di sopra sullo struggersi negli uragani della passione. — 19. mi secco. Sono le croci di legno che si vedono nelle campagne rumene, qualcosa di mezzo fra la croce e il tabernacolo. Esposte al vento, alla pioggia, a tutte le intemperie durante l’inverno, l’estate 11 sole le arde fin nelle più intime fibre del legno imputridito. — 23. mi canta di fame. Mi canta un canto, le cui note parlano di fame. Nel testo: mi canta fame. — 32. come un faro. Nel testo: come un fanale. E forse così avrei dovuto lasciare, se ne avessi avuto il coraggio. La tendenza realistica si rivela anche in quella stella gialla, non d’oro o d’argento, ma semplicemente gialla. Tanto il fanale che la stella gialla possono non piacere a noi, ma sono stati voluti dal poeta, forse a temperar la banalità dell’immagine. A proposito di che sarà bene osservare che in rumeno (dove, per diversità di religione e di rito, la mente non corre alle litanie della Vergine) l' immagine è molto meno banale che in italiano, e chi sa che ad Eminescu non sia parsa peregrina e l’abbia trasportata dai versi di qualche ignoto verseggiatore romantico austriaco o ungherese! — [p. 144 modifica] 38. Mi si perdoni il ricordo del ch’io stesso no ’l m’invidii dantesco. Mi è parso il solo modo di poter tradurre con qualche dignità il mi maledico io stesso la redenzione del testo. — 40. toccar le nuvole. Nel testo: spegner le nuvole. Ma deve esserci un errore di stampa, uno sting invece di un ating.

VIII. - Se avessi.

È la prima poesia pubblicata da Eminescu nella rivista Familia diretta da I. Vulcan. Nel fascicolo del 25 febbraio-9 marzo 1966, leggiamo a p. 68 la seguente nota: «Con piacere apriamo le colonne «della nostra rivista a questo giovane di soli 16 anni, che co’ suoi «primi tentativi poetici ci ha piacevolmente sorpresi». Nella Posta della Redazione di questo medesimo numero leggiamo: «Cernăuţi. M. E. Anche corrispondenze accetteremmo volentieri», dal che si desume, il che è sfuggito a quanti finora si sono occupati di Eminescu, che, nella lettera colla quale il giovinetto poeta accompagnava l’invio delle sue poesie, offriva alla Familia anche delle corrispondenze da Cernăuţi.

VIII.- Viaggio al regno ecc.

Nel testo: Calatone in zori e cioè Viaggio mattinale o Viaggio ai regni dell’Aurora. La traduzione più esatta è proprio Viaggio mattinale, giacché în zori va interpretato în zorile zilei e cioè all’aurora, allo spuntar del sole che esprime una nozione di tempo e non di luogo. Ma si perdeva quel tanto di vago, e cioè di poetico, che c’è nella parola aurora, e, dopo lungo titubare, mi son deciso per Viaggio al regno dei sogni mattinali. — 6. che brillan di rubini. Forse costellati di rubini avrebbe fatto una miglior figura, ma l’idea del brillare si sarebbe perduta. — 7. di giglio. A più d’un lettore sarebbe piaciuto di più: sulla fronte gigliata ma avrei tradito il testo, rimodernandolo con un aggettivo che sta a suo posto nelle poesie di Severino Ferrari, ma sarebbe stato una stonatura in una di Eminescu. — 11. Clori. Reminiscenza classico-arcadica strana in Eminescu, decisamente romantico e vaporosamente romantico soprattutto in queste prime poesie. Si può spiegare solo come un ricordo delle anacreontiche italianizzanti così frequenti nelle poesie di Asachi, che, soprattutto in Moldavia, esercitò sui giovani poeti una importante influenza. — 23. un velo. È tra le poesie più evanescenti ma anche più caratteristiche di Eminescu, piena di tutti i difetti del romanticismo tedesco allora in voga, ma anche di tutte le attrattive [p. 145 modifica] del sogno e dell’indeterminato, proprie dell’anima slava che qua e là affiora in quasi tutte le poesie del nostro. E c’è poi ima nota di paesaggio rumeno che fa pensare ai quadri di Grigorescu e soprattutto a quello delicatissimo intitolato Nella nebbia. Per apprezzar questa poesia è necessario tener conto di tutti questi elementi e ricordarsi soprattutto di certe poesie sorelle del Prati e dell’Aleardi quali p. es. Voci e Amore e luce, in cui nell’ora mattutina le stelle, i venti, le rose, la fonte parlano al poeta, ovvero nell’ora che il tremolo maitin s’ingiglia l’aura si duole e il mare dà gemiti e la vergine d’amor privata muore come il fior, che pullula lontan dal raggio. — 28. il fior della nebbia. Il Bogdan-Duică (ed. cit., pagina 6 dell’Introducere) vorrebbe che si traducesse: trama, tessuto di nebbia, basandosi sul fatto che Flor in tedesco può avere il significato di dünnes Gewebe = tessitura sottile, nera di solito, di lutto (probabilmente dall’olandese floers). Che flor in Eminescu sia un germanesimo, d’origine probabilmente goethiana (e sul Goethe dovè agire l'it. fiore nel senso di essere in fiore, e, più ancora: fior di farina ecc.) è indubbio; ma non cita forse il Bogdan-Duică stesso frasi come: den Flor der Mägdelein (Faust, I, 3622) in cui Flor non può interpretarsi che fiore nella particolare accezione di ‘parte scelta di persona o di cosa’ come nelle espressioni italiane:fior del latte, fior di farina, fior della lana, fior della terra ( = la parte più grassa),fior della società, della nobiltà, della città, delle signore, delle spose, delle milizie, de’ cavalieri; ovvero di ‘cosa o persona perfetta nel genere’: fior di galantuomo, di gentiluomo, un fior d’uomo, di giovinetto, di ragazza, di sposa; di bellezza, d’onestà, di salute? — 36. e fluttuando luccicano. Mi si perdoni, in grazia dell’onesto desiderio di non rapir troppo alla melodia del verso eminesciano, questa nota carducciana d’ode barbara venuta da sè a infiltrarsi tra le romantiche armonie per effetto stesso dell’inversione, necessaria per non cader nella banalità di un: e luccicano fluttuando.

X. - L’amore di un marmo.

«In quella sola notte Eminescu mi aveva messo al corrente con «l’intera letteratura tedesca, di cui era entusiasta. — «Se le piace tanto la «poesia, anche lei certo ne scriverà» — gli dissi — «Ho saputo anzi che ne «ha scritte». — «Sì, ne ho scritte». — «Allora....anche a me piace la poesia, «benché non mi riesca di scriverne; abbia la gentilezza di mostrarmene «qualcuna». Eminescu accondiscese subito di buona grazia. Era dedicata a «un’attrice, di cui era innamoratissimo.... Me ne ricordo appena. Quello «che posso dire è

10 — Eminescu, Poesie. [p. 146 modifica] che si trattava delle ricchezze e degli splendori d’un re assiro reso infelice da una passione non corrisposta.... o qualcosa di simile. Questa poesia mi sembra ricordare che fu poi pubblicata verso il ’68 o il ’69 nella rivista Familia di Budapest. La sera dopo c’incontrammo di nuovo. Ma, durante il giorno, il giovanotto aveva sofferto di un dispiacere intimo. L’attrice s’era commossa assai poco della disgrazia del re assiro. Eminescu era questa volta sitt lenzioso e abbattuto. Rispondeva appena alle mie domande e la più lieve differenza di opinione lo irritava. Lo pregai tutta la sera inutilmente di mostrarmi qualche altra poesia o di rileggermi al meno quella che già conoscevo. Se n’andò a dormire per tempo e il giorno dopo a mezzogiorno, quando mi recai a trovarlo, lo trovai che dormiva ancora. Lo destai. Il malumore gli era passato ed anzi era più allegro e affabile del primo giorno che facemmo conoscenza. Passammo tutta la giornata a ridere e scherzare. Mi parlò dell’India antica, dei Daci, di Stefano il Grande e mi cantò la doina. Gli era passata tutta la tristezza del re assiro ed ora ne godeva in pace tutte le ricchezze e gli splendori. Cfr. I. L. Caragiale, In Nirvana in Momente, Schiţe, Amintiri, Bucureşti, Minerva, 1889.

XVI. - Prìncipe Azzurro dei Tigli.

Ai tempi in cui il bojaro Balș possedeva la tenuta di Dumbräveni, prese in moglie una cantante tedesca del Teatro Imperiale di Vienna. Costei portò con sè a Dumbrăveni una sua nipote perchè le tenesse compagnia. La nipote, natura passionale e romantica, s’innamorò pazzamente di un contadino di rara bellezza, portinaio delle distillerie di Dumbrăveni, e figlio di un tal Gheorghe Hodoroabă di Vereşti, uno dei villaggi della tenuta. La ragazza, dopo aver rubati alla zia 300 ducati, convinse il giovane a fuggire con lei, e siccome montava benissimo a cavallo, un giorno dette ordine di sellarle la cavalcatura sua preferita un selvaggio stallone dal manto nero - e fingendo di voler fare una passeggiata a cavallo, se n’andò a Vereşti. Lì era attesa sulle rive della Suceava che segna il confine colla Bucovina austriaca, da Hodoroabă. Quivi giunta, lasciò libero il cavallo ed essendo il fiume in magra, potè passarlo a guado coll’assenso delle guardie doganali, che non le fecero alcuna difficoltà. Il cavallo, dopo esce sersi sbizzarrito a correr qua e là, sì da divenir bianco dalla spuma di nero che era, tornò a casa solo, e cominciò a nitrire alla porta del castello perchè gli aprissero l’uscio della stalla. Il poeta, ascol[p. 147 modifica]tando dal babbo il racconto di quest’avventura compose allora i versi:

«Alla porta del castello
«sta il cavallo l’indomani,
«ma la bella sua padrona
«sè perduta nel mondo.

Recatosi da Dumbrăveni ad Ipotesti, il poeta scrisse col gesso questi versi sulla porta del castello; ma suo padre li fece cancellare, pensando che la moglie del bojaro avrebbe potuto offendersene. Così ho saputo dal capitano Eminescu che diceva di averlo sentito raccontar spesso da’ suoi genitori. Cfr. Corneliu Botez, Viaţa poetului Mihai Eminescu in Omagiu lui Eminescu, Galaţi, 1909, pp. 193-4.

XXV. - Calino.

Ai tempi in cui Eminescu era impiegato a Iaşi, dove viveva insieme con Bodnărescu nelle celle di certi monaci greci in fondo al cortile del monastero Trei-Ierarhi, tornò una volta a Ipotesti a rivedere i genitori. Con questa occasione si recò anche all’eremitaggio di Agafton nella provincia di Botoşani, dove si trovava sua zia Suor Fevronia Iurascu. Questa una sera radunò a veglia a filar la lana le altre monache ed una di esse, Zenaide, raccontò la leggenda di Calino. Il poeta l’ascoltò, prese degli appunti e qualche tempo dopo la mise in versi. Questa, secondo il capitano Eminescu, fratello del poeta, sarebbe l’origine di questo poemetto, la cui fine è una delle più pure gemme della poesia rumena. Cfr. N. Zaharia, Mihail Eminescu. Vieaţa si opera sa. Bucureşti, 1912, p. 245. Çfr. anche I. Alexandri, Călin a lui Eminescu, in Convorbiri Literare, 1884, in cui a ver dire di Călin si parla assai poco.

136 ... ma polenta e pan cotto. Nel testo: tu chicchi di grano non hai in capo, ma pula solo e polvere in quantità. Si potrebbe dunque tradurre anche: nel granaio del tuo cervello non hai grano, ma solo pula e polvere in quantità, ma mi è parso azzardato, per quanto l’immagine del poeta rumeno sia infinitamente più poetica dell’altra corrispondente che offre la lingua italiana. Aver pula nel cervello è infatti frase comune nella lingua rumena, ed Eminescu trovava perciò l' immagine bell’e pronta nel patrimonio linguistico del suo paese.

XXVI. - Mortua est.

Pubblicata la prima volta nelle Convorbiri Literare, anno V, n. i, p. 15 (I° marzo 1871). Varianti anteriori si leggono in Ms. Ac. Rom., 2259, cc. 1-2 e 18-20 verso, datate e l’una e l’altra: 1886. [p. 148 modifica] ottobre. Nel numero del 15 maggio 1871 delle Convorbiri (p. 88) si legge il seguente giudizio del Maiorescu: Assolutamente diverso da’ suoi contemporanei, poeta a modo suo, uomo di questa nostra epoca moderna nella sua fase passeggierà, disilluso nel profondo dell’animo, amante di antitesi un po’ esagerate, riflessivo oltre i limiti permessi in poesia, e fino a questo momento così poco formato che si esita a citarlo accanto ad Alexandri; ma in fin dei conti poeta, poeta in tutta l’estensione della parola è senza dubbio il sig. Eminescu. Proseguendo, il Maiorescu rileva «la freschezza della lingua (segno dei veri eletti), la profondità dei concetti, ed oltre a ciò (cosa rarissima nei nostri poeti) l’amore e l’intelligenza dell’arte antica. — 2. nelle ore sante: «sante», perchè dedicate a Dio, alla preghiera. Si allude, credo, alle ore della Chiesa. Cfr. livre d’heures e il corrisp. ceaslov paleoslavico, rimasto in rumeno in questo significato. Si sarebbe potuto tradurre (ed avevo anzi tradotto): qual tocco di campana che chiami alla preghiera, ma mi è sembrato banale, nel senso che così avrebbe potuto scrivere qualsiasi poeta romantico occidentale. Le ore sante sono ben altra cosa! C’è nella frase qualcosa di intimamente ortodosso che sta alla mia prima traduzione come un crocifisso bizantino a una pittura del Rinascimento. — 4.hai varcato: hai passato i valichi, le strette (a. it.: porti, a. fr.portz) della Morte. Cfr. Leopardi (Il Sogno) ed era Pur fisso in ciel che quei sudori estremi Cotesta cara e tenerella salma Provar dovesse? — 5. pianura serena: era facile tradurre: pianura amena o prato sereno, ma era anche infedele. Il poeta allude al senso di serenità, di sollievo, di pace che si prova nel contemplare una vasta pianura o una larga distesa d’acque. — 11. la scalea delle nuvole: nel testo: schela e cioè: impalcatura. — 12. nevischio di stelle: spolverio di stelle. Da sottintendersi: tra un. — 15. prillare il fuso: nel testo: filare il pennecchio. — 18. frale: nel testo: lut e cioè: loto, creta, argilla. — 24. per ispegnere: verso oscuro. Credo debba interpretarsi, intendendo per stella radiosa il corpo stesso della morta: Per la stessa ragione per cui si spegne una stella radiosa. — 31. costellata: nel testo: stropită e cioè spruzzata. Cfr. fr. parsemée. — 34. mentre: nel testo: quando , ma non è chiaro se debba intendersi nel senso di quando, di mentre o di se. — 44. stacciare: nel testo: cerne e cioè: passare allo staccio (fr. cribler).

XXX. - Così fresca.

Il 2 settembre 1879 all’una dopo mezzanotte, dopo aver finito di leggere questa poesia, Veronica Micle scriveva ad Eminescu: «Quanto [p. 149 modifica] io abbia ammirato la tua poesia: Così fresca..., quanto io l’abbia ammirata potrei forse dirtelo? Tu stesso devi ammirarla inconsciamente nell’intimo del tuo cuore e adorar la tua creazione non meno della creatura che divinizzi in essa. È un sentimento così alto, così nobile, così profondo quello che la ispira, - ma consacrato ad un essere al quale io per disgrazia, o forse per fortuna, non mi posso nè assomigliare nè paragonare - che dovrei quasi lodartene.... se non mi rendesse profondamente infelice. Amico mio, la tua poesia è sentita, il che vuol dire che io sono sparita dal tuo cuore; ed ho forse tenuto a qualche altra cosa al mondo più che al tuo cuore? I tuoi versi mi hanno addolorata profondamente, perchè ho sentito che una creatura souverainement supérieure mi ha cacciato dal tuo cuore, dove forse senza alcun diritto e di sorpresa m’ero introdotta. Scrivendoti, piango lagrime amare; un dolore nuovo, e fino a quest’ora ignoto mi strazia l' anima, un dolore tanto più insopportabile, quanto meno posso fartene una colpa..... La sintassi di questa lettera, scritta in preda alla passione, in un’ora amara di dolore, lascia molto a desiderare. Noi siamo stati costretti a rabberciarla qua e là per non togliere la sacra dignità del dolore al grido così straziante e rassegnato di questa soave anima femminile piagata a morte; ma qualche traccia ne è rimasta nè conveniva sopprimerla. Ci voleva assai poco a tradur questa lettera nel più accademico stile italiano di questo mondo; ma ci è sembrato una profanazione il tentarlo. Resti dunque così e il lettore si contenti questa volta di un umano grido di dolore, rinunziando a una pagina di.... letteratura, che sarebbe stata dopo tutto una cattiva azione; nè voglia imputare al traduttore quanto in queste righe, scritte con l’animo in tempesta, ci sia per avventura di poco elegante e di sconnesso. Non credo che Veronica s’ingannasse. Tuttavia Eminescu dovè riuscire a convincerla che si trattava di lei o di una donna ideale, del tutto inesistente, poi che il 19 ottobre la pace era già fatta e Veronica gli scriveva una lettera affettuosissima, riboccante di passione, dalla quale si rileva che l' innamorata donna era corsa a Bucarest ed ogni nube era scomparsa dal cielo così raramente sereno di questo suo dolcissimo e triste amore. Da una lettera posteriore (5 novembre 1879) possiamo argomentare che tre giorni dopo aver scritta quella triste lettera, e cioè il 5 settembre 1879, Veronica era a Bucarest e accordava per la prima volta all’amato la suprema prova d’amore. La lettera del 5 novembre è la prova migliore che, finché il marito fu vivo, Veronica non ebbe con Eminescu altri rapporti che sentimentali, il che vale a sfatar tutte le calunnie che avvelenaron resistenza di questa donna bella, intelli[p. 150 modifica]gente, gentile e perciò invidiata, che dell’amore conobbe le rose ma anche tutte le spine.

XXXI. - Fremito di selva.

6. pitpalac: voce onomatopeica per indicare il canto della quaglia, e, talvolta, la quaglia stessa.

XXXIII. - Uccellini assonnati.

9. Scivola il cigno. Mi sembra di scorger qui un ricordo dei versi del Pushkin, incisi poi sul basamento del bel monumento innalzatogli nei giardini di Tsarkoje Selò, nei quali il poeta veniva ad ispirarsi:

            In quei giorni mai visti, meravigliosi
            di primavera, al richiamo dei cigni,
            presso le acque che luccicano nella pace,
            la Musa cominciò ad apparirmi.

Non c’è alcuna simiglianza concreta; ma questo paesaggio lacustre

che tante volte ritorna in Eminescu, di dove verrà?

XXXVIII. - Alla stella.

Rifacimento di ima poesiola di Gottfried Keller (Cfr. Gh. Pop., Eminescu şi Keller in Convorbiri Literare, 1896, p. 46). Di quanto la poesia di Eminescu sia superiore all’originale potrà giudicare chiunque, paragonandola col testo tedesco che riproduciamo:

Der Stern.
Siest du den Stern im fernsten Blau,
       Der sterbend fast erbleich?
Sein Licht braucht eine Ewigkeit
       Bis es dein Aug’erreicht.
Vielleicht vor tausend Jahren schon
       Zu Asche stob der Stern.
Und doch sch’n seinen lieblichen Schein
       Wir dort noch still und fern.
Dem Wesen solchen Scheines gleicht,
       Der ist und doch nich ist,
O Lieb, dein anmutswolles sein
       Wenn du gestorben bist.

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Sull’influsso della letteratura tedesca in Eminescu cfr.: H. Chendi, Eminescu si Lenau in Convorbiri Literare 1900; Mite Kremnitz: Ein romanischer Lenau in Preussische Jahrbücher. Bd. 139, Heft 31 (1910);'I. Scurtu, Eminescu şi Schopenhauer in Semănătorul, 19°5; I. Gramada, Mihail Eminescu, in Mitteilungen des Rumänischen Institutsan der Universität Wien. Heidelberg, I (1914) pp. 222 sgg.; I. Patrascoiu, M. Eminescu’s pessimistische Weltanschaung mit besonderer Beziehung auf den Pessimismus Schopenhauers. TârguJiu, 1905.

XXXIX. - Kamadeva.

Kamadeva e, nella mitologia indiana, il dio dell’Amore. Suo padre «è il Cielo e sua madre l’Illusione. Si raffigura a cavallo di un pappali gallo, con un arco di canna di zucchero, la cui corda è formata da «una fila d’api, e le frecce dai fiori rosei dell’albero Amra. (Nota dell' autore nelle «Convorbiri Literare», dove la poesia fu pubblicata la prima volta nel luglio del 1887).

XLVII. - Un sol desiderio.

Com’ è stato ben visto da N. I. Apostolescu, L’influence des romantiques français sur la poésie roumaine, Paris, Champion, 1909, pp. 398-399, questa poesia di Eminescu è imitata da una del Ronsard {De l' éléction de son sépulcre):

Quand le ciel et mon heure
jugeront que je meure,
ravy du beau séjour
     du commun jour,

je defens qu’on ne rompe
le marbre pour la pompe
de vouloir mon tombeau
     bastir plus beau.

mais bien je veux qu’un arbre
m’ombrage au lieu d’un marbre
arbre qui soit couvert
     tousjours de vert.

De moy puisse la terre
engendrer un lierre
n’embrassant en maint tour tout
     à l’entour....

[p. 152 modifica]e da un Epilogue di Paul Bourget:

Lorsque la mort, posant ses doigts blancs sur mon front,
fera que pour toujours mes yeux se fermeront
                                                     à la beauté vivante,

choississez-moi, vous tous à qui je serai cher,
une tombe au soleil, sur les bords de la mer
                                                     infinie et mouvante.

Le désir du poète roumain d’être enterré sans poulpe, d’avoir sur sa tombe un arbre qui penche son feuillage, vient en ligne directe de Ronsard. Cette éléction de son sépulcre au bord de la mer, pour entendre gronder la “masse exaspérée des flots, ou - comme il dit lui même - “l’âpre chant de la mer” est une reprise de l’idée et des images de M. Paul Bourget (Poésies, 1872«1873). Eminescu a été si tourmenté par cette combinaison des vers du chef de la Pléiade et de ceux de M. Bourget qu’il donna cinq variantes à sa composition. Puis, dans son désir de mettre un trait personnel, il prie ses amis de planter un.... tilleul près de sa tombe. Le tilleul au bord de la mer n’est pas très habituel et puis il n’est guère dans le ton du paysage. Enfin la mer dans une poesie roumaine, là surtout où il s’agit des sentiments les plus intimes d’un personnage, est tout ce qu’il y a de plus curieux, parce que pour de motifs d’ordre.... historique, les Roumains ont eu de très rares rapports avec les bords des mers. L’inspiration d’Eminescu n’est donc pas personelle, elle est due presque complètement à Ronsard et à M. Paul Bourget. A parte la confusione tra forma e materia e tra il mondo della realtà e quello dell’immaginazione; il raffronto sussiste e l’imitazione da parte di Eminescu può ritenersi assodata. Resta a vedere quanto il poeta rumeno vi abbia aggiunto di suo, il che faremo forse noi stessi in un’altra occasione.

L. - Sotto i pioppi dispari.

Siete mai passati “sotto i pioppi dispari” che sembrano stare confitti nel terreno accanto al cancelletto di legno, davanti a una vecchia casa fornita del suo bravo cerdàc (una specie di veranda) che sorge in una stradetta fuori mano nel sobborgo Tataraşi di Iaşi? Fu un tempo che Eminescu vi passò spesse volte. Da principio “lo conoscevano tutti i vicini”, solo Lei, il suo biondo ideale non lo conosceva; “tutti i vicini capivano” perchè il poeta [p. 153 modifica] guardasse ai vetri su cui batteva la luna, solo Lei non capiva. Ma Eminescu non si stancò e seguitò a passar per quella via e a guardare a quelle finestre per vedere “l' immagine adorata in eterno”, finché un giorno la bionda fanciulla scese in fretta dalla sua veranda, e arrossendo d’amore, permise al suo adoratore di guardarla nel fondo degli occhi “con occhi pagani, pieni di stravizio ”. E in un attimo Eminescu amò più che in un secolo! Ma la donna è incostante e l’amore non possiede parole bas te voli a legar per l’eternità due cuori diversi. L’ideale biondo, per cui Eminescu sofferse tanto crudelmente e per cui rese immortali “i pioppi dispari” era una pratica ragazza borghese, che alla prima richiesta di matrimonio offerse la mano e la dote a un salumaio prosaico, ma ricco. Così si legge nell' Adevărul del 17 ottobre 1911. Altri invece (cfr. N. Petraşcu, Scriitori români contimporani. Bucureşti, 1898, I, 22-23) ci parla d’un’altra donna, questa volta di Bucarest che avrebbe abitato anch’essa una casa con davanti dei pioppi (non c’è quasi casa in Rumania che non abbia accanto, giganti vigili, dei pioppi!) e che Eminescu avrebbe conosciuto da vicino. Si tratterebbe di una signora P., donna piacente più che bella, che possedeva però una voce angelica, argentina, fresca come il mormorar d’una polla e che parlava con molta eleganza il rumeno. La cronologia non è stata chiamata a risolvere il piccolo indovinello, d’altronde privo d’importanza. Sta il fatto che la poesia fu pubblicata nel fascicolo di febbraio 1884 delle Convorbiri e che dovette essere scritta prima del 28 giugno dell’anno precedente, data del primo accesso di pazzia, e cioè quando Eminescu era a Bucarest e col] ab or a va al Tempo.

LVII. - Perchè non vieni.

Imitata da una poesia popolare ungherese:

Hula levél, szàl a madar,
     Itt az ösz.

Galambom a Kebelemre
     Mért nemjösz?

E cioè: Cade la foglia, se ne vanno gli uccelli, l’autunno, è qui. Uccellino, fra le mie braccia perchè non vieni?.

È, con Accanto ai pioppi dispari, la più popolare delle poesie di Eminescu, più volte musicata e impressionante, quando, verso il tramonto, s’ode ancora cantare da un vecchio organetto di Barberia [p. 154 modifica] nei mahallà solitarii di Bucarest rimasti com’erano ai tempi del poeta, con le loro casette basse, adorne di geranii o di giacinti, secondo la stagione, ned’interstizio delle due vetrate; mentre qualche vecchio bragagiu (venditore bulgaro di braga: specie di birra leggiera e dolciastra fatta di semi di miglio fermentati) vi offre, soieime nel turbante che gli avvolge la testa e nella larga fusciacca rossa da cui esce il manico del jatagan, la sua bevanda refrigerante e i pezzetti rosei o giallastri del rahat, coperti da un lieve strato di polvere di zucchero.

LXI.- Venezia.

Questo sonetto non è originale e del resto Eminescu stesso lo dà come una traduzione. Nel mss. 2272 (c. 193) dell’Accademia Rumena troviamo scritto: după, G. Ceni e cioè: tradotto da G. Cerri. Dalle ricerche di I. Gramada (Mihail Eminescu in Mitteilungen des rumänischen Instituts zu Wien. Heidelberg, 1914) risulta infatti che un Gaetano Cerri, probabilmente italiano d’origine, pubblicava a Vienna nel 1864 un volumetto di versi intitolato: Aus einsamer Stube (Dichtungen von Caietan Cerri, Wien, 1864. Verlag von Karl Schönerwerk), in cui, a p. 62, si legge il seguente sonetto:

Venedig.


So oft ich sch’in düstrer Mondeshelle,
Wie, folgend einem innrer dunklen Zwange,
Das Meer sich schmiegt in nie gestilltem Drange
Wild an Venedigs bleiche Marmorschwelle.

Ist’s mir als wäre diese dunkle Welle
Ein düst’rer Knabe, der, verstört und bange
Auf der Geübten bleicher Todtenwange
Getäuscht von Neuem sucht des Lebens Quelle

Und tönt dann durch die öde Kirchhofsstille
Vom Markusturm die zwölfe Stunde, schaurig,
Wie das Gestöhne einer Schmerzsibylle:

So ist’s, als wenn aus einem dumpfen Grabe
Das Wort ertönte, wehmatsvoll und traurig:
«Lass ab! die Todten stehn nicht auf, o Knabe!»

Sull’influsso esercitato dal Cerri su Eminescu cfr. Gramada, op. cit., pp. 257-258: «Dopo aver scorso due o tre volumi di poesie «del Cerri ed aver paragonato le poesie di lui con quelle di Eminescu, [p. 155 modifica] osservi in quest’ultimo vaghe reminiscenze sia per ciò che riguarda la forma e le immagini che per ciò che riguarda l’argomento, ma soprattutto ti salta agli occhi la parentela spirituale dei due poeti: una vaga malinconia e una tendenza comune a tutti e due a porsi domande filosofiche. Gli studiosi di Eminescu bisognerà che tenii gano nel debito conto queste coincidenze tutt’altro che indiseli renti e mettano in chiaro fino a che punto e in qual misura Eminescu potè nelle poesie sue giovanili subir l’influenza di questo italiano dall’anima tedeschizzata.

LXIII. - Epistola I.

Sulle possibili influenze della poesia e della filosofia indiana su questa ed altre poesie di Eminescu cfr. Marin Ştefanescu, Filosofia româneasca, Bucureşti, «Răsăritul», 1922, p. 201: Soprattutto la filosofia orientale, p. es. quella dell’India, per cui lo Schopenhauer aveva tanta ammirazione, deve aver esercitato il suo influsso sull’opera di Eminescu attraverso l’autore del Mondo come volontà e rappresentazione. Un esempio ce n’offre la poesia intitolata: Epistola I, dove i versi 41 sgg.: “.... ai principii del mondo, prima dell’essere e del non essere, Quando ogni cosa era priva di vita e volontà” si trovano quasi identici nel Rig-Veda «(Inno XV)». — 26. răboj: bastoncello di legno su cui i pastori fanno tacche convenzionali col loro coltello per ricordare fatti e date che non voglion dimenticare. Il j si legge in rumeno come in francese.

LXV. - Epistola III.

Questa epistola parafrasa nella sua prima parte mia leggenda turca riferita da Josef von Hammer nella sua Geschichte des osmanischen Reiches, Erster Band, Pest, 1834, pp. 65-67. Cfr. I. Gramada, Mihail Eminescu in Mitteilungen des rumänischen Instituts zu Wien, Heidelberg, 1914, pp. 252-3. — - 112. Terra-rumena. Nome antico di parte della Rumania corrispondente grosso modo a quello che fu poi il principato di Muntenia. Poi che terra ha in rumeno il significato di patria si potrebbe tradurre con Patria rumena il che corrisponde p. es. alla Patria del Friuli dei nostri bravi furlàn.

LXVII. - L’Astro.

L’Astro rappresenta come dire l’epilogo amoroso di Eminescu, col quale il poeta prende commiato dall’amore terreno, per restare [p. 156 modifica] eternamente “immortale e freddo” L’idea fondamentale di questo poemetto è che la vita dell’uomo volgare, colle sue aspirazioni e passioni, non ha alcuna importanza; che, al disopra di quest’uomo, esiste una intelligenza superiore che non si turba, e considera con indifferenza ed anzi con una certa compassione le piccolezze di questa vita. Quanto più alto si libra, tanto più profondamente questa intelligenza disprezza il caleidoscopio delle apparenze mondane, omnia humana contemnit, e non si lascia turbare da tutto quanto rende felice o infelice il rimanente dei mortali. Chi desidera, chi ama, ha in sè la palla di piombo che lo tira in basso nel doloroso vortice della vita. A ben considerare, c’è in questa poesia qualcosa della concezione buddistica della vita. A paragone di questo figlio del Cielo, a paragone dell’Astro, a paragone di codeste intelligenze lucide e serene, noi non siamo che dei blocchi greggi di materia, cui dei motivi ridicolmente minuscoli fanno perdere il loro equilibrio instabile; mentr’esse, «sotto l' influsso di condizioni più fortunate, s’elevano sempre più in alto, finché, giunte nelle regioni dove il nostro rumore più non le tocca, dove la sensualità cessa d’essere un tormento, dove tutto ciò che oscura la mente svanisce come la nebbia al sole; - si lift brano nell’azzurro infinito, di dove guardano, in una pace perfetta, l’insensato dibattersi dell’esistenza comune. (Cfr. Anghel Demetriescu in Eminescu comemorativ, Iaşi, 1909). La parte umana del poemetto consiste però proprio nel desiderio dell’Astro (e cioè del poeta) di umanizzarsi, d’amare umanamente una donna della terra. Non può, perchè c’è di mezzo una inintelligenza fatale. Non può, ma si sente infelice di non potere. E qui è la tragedia. Prima che l’astro si umanizzi (e umanizzarsi del tutto non potrà mai!) la donna preferisce le calde carezze di un uomo di questa terra al freddo abbraccio del dio tutto intelligenza e spirito, dall’occhio sfavillante di una fiamma che non riscalda, e non sapremmo in verità darle torto. Meglio assai il Maiorescu (Eminescu si poesiile lui in Convorbiri Literare, I° novembre 1882, ripr. come prefazione all’ed. Socec delle Poesie di Eminescu del 1889 ed ora in Critice, Bucureşti, Minerva, 1914, III): Le parole amore felice o infelice non si possono applicare ad Eminescu, nella loro accezione consueta. Nessuna individualità muliebre poteva imprigionarlo e trattenerlo nel suo stretto ambito. Come il Leopardi in Aspasia, Eminescu non vedeva nella donna amata che la copia imperfetta di un prototipo irrealizzabile. L’amasse o non l’amasse questa copia occasionaie, non perciò cessava dall’essere una copia, ed egli, con melanconia impersonale, cercava il suo rifugio in un mondo più adatto [p. 157 modifica] per lui, nel mondo del pensiero e della poesia. Ecco la ragione dell’Astro e de’suoi ultimi versi:

A te che importa, forma d’argilla,
   che io o un altro t’illumini?

Vivendo nel vostro cerchio ristretto,
   la fortuna vi governa;
io nel mio mondo mi sento
   immortale e freddo!

Quanto alle fonti del poemetto cfr. D. Caracostea, Isvorul poemei «Luceafărul» de Eminescu in Adevărul Literar, III, V*, N.° 206, 1-2, da cui risulta che Eminescu si sarebbe ispirato ad una leggenda popolare rumena raccolta dal viaggiatore tedesco Richard Kunisch, Bukarest und Stambul. Skizzen aus Ungarn, Rumaenien und der Türkei. — Berlin, 1866.

LXIX.- Ode in metro antico.

La cultura classica di Eminescu pare fosse più estesa di quanto dalle sue poesie non appaia. Lo Stefanelli, op. cit., p. 35, scrive a questo proposito: Orazio dovè piacergli molto, giacché spesso, quand’eravamo tutti e due studenti all’Università di Vienna, mi recitava a memoria odi intere di questo poeta e specialmente: Beatus iile qui procul negotiis e Eheu! fugaces, Postume, Postume, labuntur anni! ed inoltre qualche strofa del Carmen Saeculare. S’era anche approfondito nei metri antichi e gl’intenditori leggono con piacere l’ode: Non avrei mai creduto d’imparare a morire scritta nel più rigoroso metro saffico. Per quanto a me non sembri che questo tentativo di Eminescu sia troppo riuscito, e ritenga che l’idea di rinnovare in questa poesia un metro classico gli sia venuta piuttosto dalla poesia tedesca, ch’egli conosceva a menadito, che direttamente da Orazio; pur nondimeno esso ha la sua importanza anche perchè, che io sappia, è rimasto isolato. Non conosco infatti altri tentativi posteriori di odi barbare (all’infuori di qualche traduzione del Coşbuc, del Murnu e del Iorga) che quelli del mio giovane amico Şt. I. Neniţescu (Cu traista ’n băț in Roma, Gennaio 1922), dove è evidente l' influsso del Carducci, i cui procedimenti sono stati felicemente trasportati dal giovine poeta nella poesia rumena.

LXXIII. - Ritorno.

A proposito di questa e di altre poesie sorelle (e cioè, per ispiegarci, composte intorno alla medesima epoca e dovute alla medesima [p. 158 modifica] ispirazione) Anghel Demetriescu altrove citato, osserva: La muli sicalità delle sue frasi cadenzate culla l’animo in sogni ideali e la sua immaginazione bucolica ci carezza i sensi col murmure delle sorgenti o col tremolar dei laghi sotto la luna, colla frescura delle valli o collo spettacolo delle praterie sterminate che ondeggiano lontano fino all’orizzonte. Le stesse effusioni del suo amore infelice impallidiscono davanti alla bellezza della natura, che, sempre, sia egli felice o infelice, occupa nelle sue poesie il primo piano. Il sorger della luna “da una radura di faggi” e “la sua luce che si rispecchia nell’acqua”, lo spettacolo d’un lago appartato, coperto di fiori di ninfea, o increspato da un venticello carezzevole o france gente mollemente le onde fra i giunchi e le canne, il canto della quaglia o il passar delle rondini migranti,

      che se ne van come gl’istanti,
      scotendo l’ali;

ecco che cosa l’interessa su tutto il resto. Tutte queste cose per lui hanno un’anima, si riproducono cioè nel suo animo colle loro linee e i loro colori, coi loro movimenti bruschi o molli, colla loro energia e i loro contrasti e il sentimento piacevole o doloroso che si esala da questo complesso di toni e di contorni, germina in lui per via di una specie di risonanza spirituale, una felicità reale o una tristezza profonda. Con qual gioia infantile egli rivede il bosco e la sua giovinezza risorta, quando, trovandosi di nuovo steso alla sua ombra amica, esclama:

      — Bosco, boschetto,
      che te ne fai, amico?
      Chè, da quando non ci siam più visti,
      molto tempo è passato!

Come sorridono gli alberi e le goccioline di rugiada che brillano ancora sulle loro foglie! Come melanconicamente passa la bianca regina delle notti attraverso le nuvole, nelle quali s’è aperta una porta! E che delizioso quadro notturno in codesti versi inimitabili:

      Scivola il cigno sull’acqua
      per andare a dormir tra le canne,...
      sol le sorgenti sospirano,
      mentre il bosco nero tace;
      dormono i fiori nel giardino,...
             dormi in pace!

[p. 159 modifica]

Davanti a questi spettacoli che inducono nel suo animo tanta felicità e malinconia, le idee e i sentimenti sorgono, s’innalzano, si abbassano e di nuovo si slanciano nelle regioni ideali, proprio come il velo di vapori che si sprigiona dalla superficie delle sorgenti, che egli ha cantato con un sentimento così sincero, e che ora si dondola, ora si piega e si avvolge in spirali diafane, e finalmente spiega sempre più varie le sue forme capricciose, quanto più si eleva in una regione più alta ed eterea.


LXXVII. - Colinde.


Si tratta di canzoncine augurali che si cantan dai bambini la sera anteriore al Capodanno, dietro una stella di carta colorata con icone di santi a trasparente, dentro la quale arde un lumicino. Eccone un esempio: «Accogliete la stellabella e lucente — con «motti ornamentie ciondoli luccicanti! Possiate viverefelice «come un melocome un perocome un cespo di rose. — Ci date «qualcosa, — o non ci date nulla?» A queste parole la padrona di casa esce recando in grembo mele, pere, noci, nocciuole e fichi secchi (cfr. le sciósciole napoletane) e ne fa regalo ai bambini della stella tutti bianchi di neve.


LXXVIII. - Doina.


È la canzone popolare, triste ma dolce, del pastore rumeno e canta i dolori dell’esilio e dell’amore. Si accompagna con un flauto agreste lunghissimo (cavalu), da cui si traggono note delicate e tristi di una musica differentissima dalla nostra.