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eternamente “immortale e freddo” L’idea fondamentale di questo poemetto è che la vita dell’uomo volgare, colle sue aspirazioni e passioni, non ha alcuna importanza; che, al disopra di quest’uomo, esiste una intelligenza superiore che non si turba, e considera con indifferenza ed anzi con una certa compassione le piccolezze di questa vita. Quanto più alto si libra, tanto più profondamente questa intelligenza disprezza il caleidoscopio delle apparenze mondane, omnia humana contemnit, e non si lascia turbare da tutto quanto rende felice o infelice il rimanente dei mortali. Chi desidera, chi ama, ha in sè la palla di piombo che lo tira in basso nel doloroso vortice della vita. A ben considerare, c’è in questa poesia qualcosa della concezione buddistica della vita. A paragone di questo figlio del Cielo, a paragone dell’Astro, a paragone di codeste intelligenze lucide e serene, noi non siamo che dei blocchi greggi di materia, cui dei motivi ridicolmente minuscoli fanno perdere il loro equilibrio instabile; mentr’esse, «sotto l' influsso di condizioni più fortunate, s’elevano sempre più in alto, finché, giunte nelle regioni dove il nostro rumore più non le tocca, dove la sensualità cessa d’essere un tormento, dove tutto ciò che oscura la mente svanisce come la nebbia al sole; - si lift brano nell’azzurro infinito, di dove guardano, in una pace perfetta, l’insensato dibattersi dell’esistenza comune. (Cfr. Anghel Demetriescu in Eminescu comemorativ, Iaşi, 1909). La parte umana del poemetto consiste però proprio nel desiderio dell’Astro (e cioè del poeta) di umanizzarsi, d’amare umanamente una donna della terra. Non può, perchè c’è di mezzo una inintelligenza fatale. Non può, ma si sente infelice di non potere. E qui è la tragedia. Prima che l’astro si umanizzi (e umanizzarsi del tutto non potrà mai!) la donna preferisce le calde carezze di un uomo di questa terra al freddo abbraccio del dio tutto intelligenza e spirito, dall’occhio sfavillante di una fiamma che non riscalda, e non sapremmo in verità darle torto. Meglio assai il Maiorescu (Eminescu si poesiile lui in Convorbiri Literare, I° novembre 1882, ripr. come prefazione all’ed. Socec delle Poesie di Eminescu del 1889 ed ora in Critice, Bucureşti, Minerva, 1914, III): Le parole amore felice o infelice non si possono applicare ad Eminescu, nella loro accezione consueta. Nessuna individualità muliebre poteva imprigionarlo e trattenerlo nel suo stretto ambito. Come il Leopardi in Aspasia, Eminescu non vedeva nella donna amata che la copia imperfetta di un prototipo irrealizzabile. L’amasse o non l’amasse questa copia occasionaie, non perciò cessava dall’essere una copia, ed egli, con melanconia impersonale, cercava il suo rifugio in un mondo più adatto