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Odi varie - In morte di Filippo Zerlotti da Zevio

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Luigi Carrer - Poesie (XIX secolo)
Odi varie - In morte di Filippo Zerlotti da Zevio
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IN MORTE

DI FILIPPO ZERLOTTI DA ZEVIO.1

Potesse il canto trïonfar del tetro
     Orror che l’urne serra,
     E la lode, leal dopo il feretro,
     4Approdar a’ magnanimi sotterra!

Che al giovin forte, ai rai tolto del sole
     Ch’altri per esso or gode,
     Bramose volerien le mie parole...
     8Ma egli s’è beato, e ciò non ode!

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Ode ben ei serafica armonia
     Cantar dell’opre belle;
     Come al cenno d’amor sorsero in pria
     12Foco, aer, terra ed onde... ahi l’onde anch’elle!

E quanto in lor vispo germoglia, o a lenta
     Vicenda si sommette.
     Tutto il sacro d’amor vincolo senta
     16Che le parti avversanti insiem commette.

Lieve di maraviglia in maraviglia
     A vol seco lo porta
     L’angiol, che, appena al dì chiuse ei le ciglia,
     20Dell’etereo giardin gli aprì la porta.

Angiol di carità, ch’agili innesta
     All’omero rosato
     Vanni di cigno, e dalla bionda testa
     24Spande tesor di crine innanellato.

Sotto doppio arco in fronte ha doppia stella
     E riguardar benigno,
     E stringe nella destra una fiammella
     28Che sperde, scossa, ogni vapor maligno.

— Vien meco (in voci tra’ viventi ignote,
     Diceagli) anima cara:
     Mentre l’onda il tuo frale anco percote,
     32Vien meco ove ad amar meglio s’impara.

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Non molto va che tra sospir raccolto
     Quel tuo fral veggo, e sotto
     Sacrate zolle a riposar sepolto
     36Da inoltiplice turba esser condotto.

Quanti l’arringo a’ studii ardui devoto
     Correan teco, a drappello
     Plorando stan; nè già ploran l’ignoto,
     40Ma l’amico fidato, anzi il fratello.

Dietro la bara esprime l’immortale
     Luce che a te si dona
     Ordin lungo di faci, e non venale
     44Pianto la tuba marzïal intuona.

Vien meco, e nullo omai pensier ti tenga
     Al tetro limo avvolto.
     Di career buia uscisti, e quando ottenga
     48Anco la terra un tuo sospiro, è molto.

Che son le gare dell’ingegno, e il tardo
     Plauso che il bello ottiene?
     Un bello io t’apro a cui non giugne il guardo
     52Dell’uomo, e il possederlo è senza pene. —

Tal si parlava dal celeste messo
     Al forte giovanetto.
     Che dei vestigi! della vita impresso
     56Avea pur anco il cupido intelletto.

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Ma come innanzi a dolce albor si sperde
     De’ sogni la coorte,
     In breve la contenta anima perde
     60Ogni memoria dell’antica sorte.

Non però ne’ viventi il desio tace.
     Ma chi rimembra il volto
     Gentile e mesto, in cui di sì fugace
     64Giorno v’avea quasi un presagio accolto;

Chi rimembra l’ingegno e in un ragiona
     Dell’interrotto canto.
     Che nelle menti or più che mai risuona:
     68Ma il cor, quel nobil core ha il maggior pianto!

E chi, fuor l’onde, non avria soccorso
     Alla bell’opra ardita,
     Per cui, de’ due visto il periglio, a corso
     72Venirne, e dietro te margini e vita

Lasciar, fu un punto? Torbido e profondo
     Invan è il gorgo; appena
     Tratto a riva è il primier, corri al secondo:
     76Finché l’uopo è d’altrui pronta è la lena.

Men pronta ahi! sol nell’uopo tuo venia:
     Pur (esca la parola
     Quale ai labbri commosso il cor la invia)
     80Molte vite v’avean nella tua sola.

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Sdegnâr delle consorti onde il misfatto
     Quelle che prime il Brenta
     Versa ne’ miei patrii canali, e ratto
     84Portâr l’avviso qual chi si lamenta.

Ed io cui giova di gentili affetti
     Faville trar feconde
     Dal duro sasso degli umani petti.
     88Tentai l’arpa, che m’ode e mi risponde.

Note

  1. Due giovani, studenti nell’Università di Padova, recatisi a nuotare nel luglio 1837, stavano pericolando. Passato per caso un altro studente, quantunque i due nuotatori intimi non gli fossero, nè forse conosciuti, e poco abituato egli al nuoto, si gettò nel fiume e diè loro modo a salvarsi: ma perì nel nobile atto. La scolaresca ne accompagnò il cadavere al cimitero; e richiesta la guarnigione di concedere la sua musica pel funerale, non ne volle mercede.