Piccolo mondo moderno/Capitolo settimo. In lumine vitae/IV

Capitolo settimo
In lumine vitae
IV

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IV.


Gli Scremin, don Giuseppe Flores e Maironi alloggiavano in un piccolo albergo vicino allo Stabilimento. Dopo la visita del professore, che trovò la febbre ancora piuttosto alta, una penosa inquietudine [p. 413 modifica]e il cuore depresso ma nessun pericolo imminente, don Giuseppe e Zaneto si ritirarono. La marchesa si accinse a passar la notte nella camera di sua figlia con la suora. Piero rimase nel salotto attiguo, sdraiato sul canapè, solo, al buio. Era stanco, aveva il capo grave di sopore e tuttavia non si era voluto allontanare di lì. Si addormentò verso le due, sognò un caos di figure assurde, di avvenimenti impossibili, tanto complicati e tardi che allo svegliarsi credette aver dormito un secolo. Si rizzò, quasi atterrito, a sedere sul canapè, chiedendosi dove fosse. Nel vano della finestra spalancata luceva un grande pianeta. Tese l’orecchio. Dalla camera dell’ammalata non il più lieve rumore; dalla finestra fievoli vocii confusi come di una moltitudine discorde. Andò ad ascoltare: grida, urla delle agitate, da una casa lontana. Ora si udivan forte, ora, col mutar dell’aria, venivano meno. La campagna scura, immensa, era silenziosa come il cielo. Nessun segno di vita. Piero aveva dormito mezz’ora. Gli venne languida in mente l’idea che le medesime stelle lucevano sui pascoli, sui boschi di Vena; e passò. Gl’infiniti occhi delle stelle parevano conoscere la domanda dell’inferma: “Hai perduta la religione?„ e guardar tutti a lui tristemente. Cosa volevano da lui? Egli pure guardò fiso il pianeta, pensando, senza volontà, pensieri [p. 414 modifica]che avevano un ordine in sè ma gli venivano disordinati nella coscienza e misti ad impressioni dei sensi, come, insieme a qualche curioso si affrettano confusi gl’invitati di ogni grado al convegno d’un corteo predisposto in ogni sua parte, giusta norme fisse di precedenza.

— Potevo dire: ho la religione della giustizia — Dio, se a Vena fosse successa quella cosa! Che orrore, poi, esser baciato, esser abbracciato da te, povera creatura! — Che vile, che vile, che vile!

In questo violento disprezzo di sè gli occulti pensieri gli salivano stridenti sulle labbra. Poi ridiscesero.

— Che sarebbe successo di me? — Tutto sarebbe caduto. Che vile! — Niente niente niente; la religione della giustizia non mi ha difeso niente. — È stato il caso: Bassanelli. Proprio un caso? — Jeanne è tanto migliore di me, con tutto il suo scetticismo. Se Jeanne credesse in Dio sarebbe tutta sua. — E i miei presentimenti? Dove finivano i miei presentimenti? — Tutto un giuoco, tutto un caso? — Dio mio, Dio mio, se io perdessi la mente, se io dovessi proprio star per sempre qui dentro, finire come queste che urlano! — Padre mio, sei tu in quel pianeta? — No no no, Padre mio, Padre mio, credo, sai, credo in Dio, credo, credo, ho creduto sempre, forse vengo anch’io [p. 415 modifica]dove sei tu, dov’è la mamma! L’Elisa viene da voi ma forse un giorno vengo anch’io!

Represse a forza l’onda dei singhiozzi irrompenti dalla gola. Si strinse sul petto le braccia incrociate, si morse il labbro inferiore, le grosse lagrime gocciarono silenziose. Quando infine potè dischiuder le labbra e, ansando, asciugarsi il pianto, ripetè più volte, con infinita dolcezza interna ma piuttosto ancora macchinalmente che con deliberato consenso, che con deliberato proposito, le parole di Elisa: “del Signore — del Signore — del Signore„. I singhiozzi ritornavano, li soffocò, alzò il viso al grande spettrale pianeta, alle stelle. Ah, la morte d’Elisa era scritta negl’infiniti occhi tristi del cielo! Pensò, pensò, pensò, gli attraversò i pensieri, lenta, la visione di Praglia, del grande monastero abbandonato, delle logge dove fanciullo aveva creduto sentire un appello arcano. La visione passò, il pensiero gli venne meno in una nebbia interna, le stelle gli si oscurarono, non ebbe più senso che del proprio smarrimento, della frescura umida e delle grida, degli urli, dei pianti dal riparto delle agitate.

Trasalì, una mano gli si era posata sulla spalla, lievemente. Si voltò; la marchesa. Era entrata, aveva acceso il lume senza ch’egli se ne avvedesse. [p. 416 modifica]Elisa desiderava don Giuseppe. Niente di nuovo. Era un desiderio, così; voleva dirgli qualche cosa, temeva forse di scordarsene. “Che bellezza di notte!„ soggiunse dolcemente la vecchia signora, uditi i gridii lontani delle pazze; e chiuse la finestra. Dopo aver veduto Piero ginocchioni al letto della sua figliuola in quell’atto di amore e di dolore, ella gli parlava come un forte a un debole, con una profonda vena di tenerezza, con la più delicata cura di non allarmarlo, di non affliggerlo. Gli disse di andar a chiamare don Giuseppe, di restare poi all’albergo, di dormire un paio d’ore, almeno.

“Fai chiamare il papà verso le sei„, diss’ella, “e guarda che col caffè gli portino un po’ di latte perchè c’è abituato„.

Piero le baciò la mano ch’ella ritirò, in fretta, per troncare, per tornarsene subito dalla figliuola. Le sarebbe caduto ginocchioni ai piedi perchè sentiva che la povera donna non sperava più, che la sua calma, la sua dolcezza, le sue vigili attenzioni erano un miracolo di volontà santa. Andò all’albergo e ritornò con don Giuseppe. Questi entrò dall’inferma; la marchesa e la suora vennero ad attendere nel salottino, con Piero, che il colloquio finisse. La suora cercava stentatamente qualche parola buona; la signora aveva preso bene questo, [p. 417 modifica]aveva preso bene quello, aveva la sua fisionomia solita. Si stancava col continuo pregare, poveretta. Dopo che ci era stato il signore, non aveva fatto che pregare. Mentalmente, magari; ma si vedeva lo sforzo, povera creatura.

La marchesa osservò che in complesso la notte non era stata cattiva. Avrebbe voluto poter pigliare una messa, la mattina. La chiesa del villaggio era a due passi. A che ora si diceva la prima messa? Meglio non andare a quella di don Giuseppe, per non trovarsi fuori nello stesso tempo. La prima messa si diceva alle quattro e mezzo.

Nessuno trovava parole più, e si fece un silenzio penoso perchè ciascuno sentiva che il colloquio dell’inferma con don Giuseppe pareva lungo a tutti. La finestra, mal chiusa, si aperse a un soffio di vento, furono uditi i gridii confusi. In quel momento il vecchio prete rientrò. Subito la suora si avviò a ripigliare il suo posto e la marchesa non potè trattenere un “dunque, don Giuseppe?„ non potè interamente dissimulare, sul suo povero vecchio viso stanco, l’ansia dell’aspettazione. Don Giuseppe rispose tranquillo:

“Niente, poveretta. Cose di pietà„.

“E che Le pare?„

“Oh, nessun cambiamento. Forse forse un po’ di maggiore debolezza. Vorrebbe avere l’Estrema [p. 418 modifica]Unzione fra le sei e le sette, dice, perchè a quell’ora si sente sempre meglio. Questo non può che giovare, le ho detto di sì„.

La marchesa fece sommessamente “sì„. Nei grandi occhi gravi si dipinsero la riverenza del sacramento e la rassegnazione. Non disse più nulla, rimase per qualche momento immobile, accasciata; poi, per la prima volta, si asciugò gli occhi. Mosse in pari tempo verso quell’uscio e le sue spalle curve, il suo capo basso esprimevano il piegar mansueto di un dolore immenso ai voleri di Dio.

Rimasto solo con Piero, don Giuseppe lo fissò silenziosamente in volto. Piero non se ne accorse, prima; quindi credette che gli si volesse leggere nel pensiero. Poi, nel vederlo mutato, più triste, più solenne, gli balenò che, parlando alla marchesa, le avesse taciuto qualche cosa. Lo interrogò ansioso con gli occhi.

“Ha il presentimento„, disse piano don Giuseppe “di morire stasera. Indica persino l’ora„.

Piero chinò il viso.

“Lo so„, diss’egli.

“Lo sa? Ma poi c’è un’altra cosa„.

Silenzio. Parve che il vecchio non osasse dire, che il giovine non osasse chiedere. Finalmente don Giuseppe si fece animo. [p. 419 modifica]

“Prega„, diss’egli “di venir sepolta in Valsolda„.

Piero giunse le mani, sbalordito.

“In Valsolda? In Valsolda?„

“In Valsolda, per due ragioni. Per il rimorso di non aver secondato il Suo affetto a quel paese, di aver mancato, in certo modo, anche verso la memoria de’ Suoi genitori che sono sepolti là; e poi perchè dice di sentirsi ora tanto unita ad essi nel domandare al Signore una grande grazia. Sì, sì — m’ha detto — preghi Piero che mi lasci andar con loro...„.

La voce del vecchio discese a un soffio, a un lieve alito.

“... come una figlia„.

Piero lo abbracciò stretto singhiozzando.

“Credo... che la grazia...„. E più non potè dire.

Rimasero così abbracciati, a lungo. Finalmente il giovane rialzò il viso, mormorò:

“E mia suocera, poveretta? Cosa dirà? Non sarà un altro dolore?„

“Ne ho detto una parola anch’io alla Sua signora. Mi ha risposto: — “Oh, la mamma è una santa. — E adesso zitto che non ci sentano„.

Le campane della chiesetta vicina suonano l’Ave [p. 420 modifica]Maria dell’alba, l’inferma chiede che ore sono, chiede di vedere il cielo, dice alla sua mamma che ha dormito, che ha sognato di stare in paradiso con il suo Piero, con lei, con il suo papà, e anche, soggiunge sorridendo alla suora, con suor Eletta; che la mamma e suor Eletta erano tanto luminose ma Piero molto più ancora. La mamma dice “va là, va là„ con bonaria placidezza. Essa le risponde di prepararsi e che sarà presto presto e che n’è tanto contenta. La mamma tace, le campane suonano, suor Eletta apre un poco le imposte, l’inferma vede l’oriente imbiancarsi per lei l’ultima volta.