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in luminae vitae. 415

ch’io dove sei tu, dov’è la mamma! L’Elisa viene da voi ma forse un giorno vengo anch’io!

Represse a forza l’onda dei singhiozzi irrompenti dalla gola. Si strinse sul petto le braccia incrociate, si morse il labbro inferiore, le grosse lagrime gocciarono silenziose. Quando infine potè dischiuder le labbra e, ansando, asciugarsi il pianto, ripetè più volte, con infinita dolcezza interna ma piuttosto ancora macchinalmente che con deliberato consenso, che con deliberato proposito, le parole di Elisa: “del Signore — del Signore — del Signore„. I singhiozzi ritornavano, li soffocò, alzò il viso al grande spettrale pianeta, alle stelle. Ah, la morte d’Elisa era scritta negl’infiniti occhi tristi del cielo! Pensò, pensò, pensò, gli attraversò i pensieri, lenta, la visione di Praglia, del grande monastero abbandonato, delle logge dove fanciullo aveva creduto sentire un appello arcano. La visione passò, il pensiero gli venne meno in una nebbia interna, le stelle gli si oscurarono, non ebbe più senso che del proprio smarrimento, della frescura umida e delle grida, degli urli, dei pianti dal riparto delle agitate.

Trasalì, una mano gli si era posata sulla spalla, lievemente. Si voltò; la marchesa. Era entrata, aveva acceso il lume senza ch’egli se ne avve-