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414 | capitolo settimo. |
che avevano un ordine in sè ma gli venivano disordinati nella coscienza e misti ad impressioni dei sensi, come, insieme a qualche curioso si affrettano confusi gl’invitati di ogni grado al convegno d’un corteo predisposto in ogni sua parte, giusta norme fisse di precedenza.
— Potevo dire: ho la religione della giustizia — Dio, se a Vena fosse successa quella cosa! Che orrore, poi, esser baciato, esser abbracciato da te, povera creatura! — Che vile, che vile, che vile!
In questo violento disprezzo di sè gli occulti pensieri gli salivano stridenti sulle labbra. Poi ridiscesero.
— Che sarebbe successo di me? — Tutto sarebbe caduto. Che vile! — Niente niente niente; la religione della giustizia non mi ha difeso niente. — È stato il caso: Bassanelli. Proprio un caso? — Jeanne è tanto migliore di me, con tutto il suo scetticismo. Se Jeanne credesse in Dio sarebbe tutta sua. — E i miei presentimenti? Dove finivano i miei presentimenti? — Tutto un giuoco, tutto un caso? — Dio mio, Dio mio, se io perdessi la mente, se io dovessi proprio star per sempre qui dentro, finire come queste che urlano! — Padre mio, sei tu in quel pianeta? — No no no, Padre mio, Padre mio, credo, sai, credo in Dio, credo, credo, ho creduto sempre, forse vengo an-