Piccoli eroi/La famiglia Guerini
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LA FAMIGLIA GUERINI.
Carlo, tutto avvilito d’essersi scoperto pauroso la prima volta appunto che s’era presentata l’occasione di mostrare un po’ di coraggio, pensò di mettersi a studiare sul serio, anche per sfuggire alle beffe dei fratelli che non lasciavano di tormentarlo.
— Ecco il nostro eroe! — diceva Elisa.
— Guarda che bella figura facevi! — diceva Mario mostrandogli una caricatura dove scappava a gambe levate, mentre Vittorio combatteva con un cane.
— Lasciatemi in pace, voglio studiare, — rispondeva Carlo; — del resto io non sono così sciocco da esporre la mia vita per chi non mi saluta nemmeno quando m’incontra. Egli avea detto al professore che volea studiare, e mostrargli che se non avea coraggio di affrontare i cani idrofobi, avea quello di superare le difficoltà della grammatica.
Damiati era contento di poter frequentare la casa Morandi, perchè si trovava bene in quell’atmosfera serena e quieta, ed era tutto pieno d’ammirazione per Maria, che sotto apparenze modeste avea molto ingegno e non comune istruzione, non che rara pazienza nel sopportare tutte le impertinenze dei fratelli, cui correggeva senza perdere la calma e non lagnandosi mai della sorte che le era toccata, di perdere i più begli anni della giovinezza nel fare da mamma.
Egli era pronto a renderle servigio, e contento di aver ridestato un po’ d’amore allo studio nella mente di Carlo, ci metteva tutto l’impegno a renderglielo facile e piacevole.
Stava appunto correggendo i lavori del suo allievo, mentre Maria lavorava accanto alla finestra assieme alle sorelle e ad Angelina che le continuava a chiedere ricette domestiche, Mario scarabocchiava, e Vittorio leggeva un libro di viaggi, quando tutt’a un tratto quel silenzio fu interrotto da un rumore di ruote, e una carrozza si fermò appunto davanti alla loro casa.
— I signori Guerini, — disse Elisa guardando dalla finestra; — mio Dio, che disordine che c’è qui! — soggiunse guardandosi intorno.
— Non è nulla, — disse Maria, — è il disordine che c’è sempre in una stanza dove si studia e lavora; io non mi confondo per così poco, sei tu che hai fatto tutto questo disordine tagliando i vestiti per la bambola.
Ma Angelina aveva già radunati i ritagli di stoffa che erano in terra e li aveva portati in cucina nella cassetta della spazzatura, appunto mentre la signora Guerini entrava accompagnata dai suoi figli.
Tutti si alzarono, e vi fu nel salotto un momento di silenzio vedendo entrare nella stanza modesta quella bella signora vestita colla massima eleganza. Ma essa fece cenno che nessuno si scomodasse, e rivoltasi a Maria, disse che avea saputo il pericolo corso dal suo Alberto e avea voluto condurlo in persona a ringraziare il suo salvatore.
Così dicendo essa dava intorno un’occhiata come per cercare a chi dovesse rivolgersi.
Maria chiamò Vittorio, il quale si fece innanzi tutto confuso; la signora Guerini lo accarezzò, lo presentò al figlio, dicendogli:
— Spero che sarete amici, e il mio Alberto non si dimenticherà mai che l’hai salvato da un gran pericolo.
— Io non ho fatto nulla che meriti tutti questi elogi, è stata una combinazione, ho veduto una brutta bestia e l’ho uccisa.
— Sei altrettanto modesto quanto coraggioso! — disse la signora che si era seduta, e indirizzato il discorso a Maria le fece molti complimenti dell’aver educato così bene quei ragazzi.
— Creda che non ci ho alcun merito, — disse Maria, — quando hanno una natura buona, riescono bene.
La signora parlò ad uno ad uno a tutti i ragazzi e chiese i loro nomi, poi presentò la sua figlia Elvira, che poteva avere l’età di Elisa, ma se ne stava silenziosa accanto alla mamma e non osava parlare.
— È molto timida, — disse la signora Guerini, — ma spero che farà amicizia colle bambine, come già vedo Alberto che fa coi ragazzi....
Infatti Alberto parlava con Carlo che avea interrotta la lezione e con Vittorio, poi osservava gli scarabocchi di Mario e si smascellava dalle risa vedendosi rappresentato sul punto di esser morso da un cane, scappando da una parte mentre Carlo scappava dall’altra.
Il professore s’era unito al crocchio dove c’era la signora Guerini, la quale diceva a Maria che avea appunto udito far i suoi elogi dal professore e da don Vincenzo, e invitava tutti ad una festa campestre, che dovea dare nel suo giardino il giorno dopo.
Maria disse che dopo la morte della mamma faceva una vita molto a sè e tentò di rifiutare, ma la signora Guerini ci mise un po’ di insistenza; era una cosa alla buona, proprio campestre, senza etichetta, e aggiunse che avrebbe avuto un immenso dispiacere se non fossero andati tutti a rallegrare la sua casa; si fece promettere da Maria che non sarebbero mancati, poi la pregò di leggere ai suoi figli uno di quei bei racconti che divertivano tanto don Vincenzo e che erano così istruttivi.
— Sono racconti da ragazzi, — disse Maria tutta confusa.
— Ed è per questo che ho piacere che i miei figli li sentano, e la pregherò d’invitarci tutte le volte che ne farà la lettura.
— Sono tutti troppo buoni, — mormorò Maria.
— Sono così belli quei racconti! — entrò a dire Angiolina, — anzi bisogna che ora ne legga uno ogni giorno, perchè voglio sentirli tutti prima di andare a casa.
— Andiamo, ce ne legga uno, — disse la signora Guerini.
— Sì, — soggiunse Angiolina, — almeno il più breve.
— Ebbene, già che lo volete, non mette conto che mi faccia pregare; lo dico volentieri, tanto più che l’eroina è una persona di mia conoscenza.