Piccoli eroi/In campagna

In campagna

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La cucitrice di biancheria L'ideale di Carlo
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IN CAMPAGNA.

Il treno rallentava, ed i ragazzi volevano slanciarsi fuori, impazienti di correre per l’aperta campagna.

— Adagio, — disse Maria, — volete rompervi una gamba prima di arrivare; finchè non siamo ben fermi, vi proibisco di muovervi.

— Io sono lesto, — esclamò Mario.

— Non ho paura, — disse Carlo.

— Tutto va bene; ma scendere quando una carrozza è in moto è una grave imprudenza; tanti altri più agili di voi e più coraggiosi si sono rovinati per tutta la vita; si tratta d’un minuto e non c’è proprio bisogno d’essere impazienti.

Intanto il treno s’era fermato e giù discesero lesti come tanti scoiattoli, impazienti di correre.

Maria volle invece radunare prima tutto il [p. 23 modifica] bagaglio e consegnarlo ad un facchino, raccomandandogli di portarlo a casa sua subito, poi s’avviò assieme ai ragazzi, tutti contenti di trovarsi all’aria aperta, in mezzo ai prati verdi, lontani dalla scuola e dalla città.

Maria aveva un bel da fare a dirigere quella schiera irrequieta. Alla donna di servizio disse di fermarsi al villaggio per far le provviste più necessarie: legna, carbone, candele, pane, vino, carne, uova e burro; le raccomandò di far presto; intanto sarebbe andata avanti coi ragazzi ad aprire la casa.

Vittorio le domandava notizie di tutti i villini che vedevano, Carlo saltava sui muricciuoli e nei fossi lungo la via, Elisa osservava le ville più belle, e Angiolina e Giannina ammiravano tutto, ed erano allegre e contente di trovarsi in campagna.

La loro casa, poco lontana dalla stazione, era una casetta con un balcone grande, coperto da un pergolato di vite, che circondava tutto il muro del cortile; era molto semplice, quadrata, bianca, colle persiane verdi, e d’aspetto ridente. Davanti c’era qualche vaso di fiori e dai lati la verdura che Maria avea fatto piantare e che essa fu piacevolmente sorpresa di trovare molto cresciuta.

— Come sono contenta! — disse. — Guardate [p. 24 modifica] quei fagioli che s’arrampicano lungo il muro, e quella insalatina fresca; voi ragazzi, quando avrete riposto nei cassettoni la vostra roba, coglierete un po’ di quell’insalata per pranzo.

Ma nè Carlo nè Mario non se la sentivano di lavorare, volevano correre e divertirsi; invece Angiolina si mise subito all’opera con una prontezza che fece meravigliare Maria.

Essa l’aiutò a disfare i bauli e le casse, a scopare le camere e spolverare le mobiglie con un’abilità da vera massaia.

Giannina voleva imitarla, ma non ci riusciva, invece di radunare la polvere in un mucchio per poi raccoglierla nella cassetta delle spazzature, la sparpagliava per la stanza e dovette rinunciarvi.

— Sei ancora troppo piccina. — disse Maria, — dovrebbe piuttosto farlo l’Elisa.

Ma Elisa invece perdeva il tempo ad osservare le stampe attaccate alle pareti del salotto, rappresentanti la leggenda del Figliuol prodigo, ed i mobili, che guardava con aria sprezzante, trovandoli vecchi e di cattivo gusto.

Al pianterreno non c’erano che tre stanze, la cucina, il salotto grande, spazioso, con tre finestre, ammobigliato con una tavola rotonda nel mezzo e intorno un canapè coperto di damasco di lana verde, due poltrone uguali, e delle sedie [p. 25 modifica] di paglia; addossata ad una parete una credenza a tre piani per mettervi i tondi all’ora del pranzo, dovendo quel salotto servire da sala da pranzo, da studio e da ricevere; accanto poi c’era uno stanzino per la donna di servizio. Il piano superiore era composto di quattro camere da letto grandi e ammobigliate colla massima semplicità: nella prima dovea dormire il signor Morandi e Vittorio, nella seconda Mario e Carlo, nella terza Maria e Giannina, nella quarta Elisa e Angiolina.

Quando ritornò la donna colla provvista, Maria volle che s’occupasse unicamente della cucina; le premeva troppo che le casseruole e le pentole fossero pulite bene e le tavole lavate colla potassa; diede un’occhiata agli arnesi di rame per assicurarsi che fossero stagnati, perchè diceva sempre: Non c’è bisogno di fare dei manicaretti, ma quello che si mangia deve essere sano e pulito.

Poi andò al piano superiore e si fece aiutare dall’Elisa che si prestò di malavoglia a rifare i letti, mentre gli altri mettevano i loro vestiti nei cassettoni; ma i ragazzi facevano un’insalata di tutto, e l’Angiolina aveva un bel da fare per mettere un po’ d’ordine in quei cassetti. Essa diceva:

— Fate così; le camice da una parte, le [p. 26 modifica] mutande dall’altra, e nel mezzo le cose minute, i fazzoletti, le calze, le cravatte; vedete, ci sta tutto in un cassetto, nell’altro potete mettere i vestiti.

— Ma non c’è l’attaccapanni? — disse Carlo.

— Sì, ma è meglio lasciarlo libero, vedrete che in poco tempo sarà carico anch’esso.

Fece mettere i libri nel cassetto del tavolino che ognuno aveva nella propria camera; così, col suo aiuto, la casa fu presto in ordine, anzi, ebbero tempo di pensare anche agli adornamenti.

In un armadio trovarono dei vecchi tappeti: uno fu disteso in salotto davanti al canapè, con un altro copersero la tavola; poi corsero nel cortile, spiccarono un ramo di rose fiorite, vi aggiunsero un geranio, qualche ramo d’erba odorosa, formarono un mazzo di fiori che misero in mezzo alla tavola, ed il salotto prese un aspetto più gaio ed elegante.

Quando tutto fu in ordine, Maria per contentare i ragazzi li condusse a fare un giro nel villaggio prima del pranzo; passando, andò a salutare il curato che era stato tanto amico di suo zio, e li accolse sorridendo.

Era un buon vecchietto che parlava volentieri del tempo passato, e raccontava le storie del quarant’otto, avendo preso parte in quella [p. 27 modifica] rivoluzione, e dimenticando il presente in quei ricordi.

Maria, stimando utile per i ragazzi la conversazione di quel buon vecchio, lo invitò a casa sua, e gli chiese intanto notizie degli altri villeggianti.

Egli raccontò che la bella villa sulla collina apparteneva ad una famiglia di ricchi industriali, che portavano molto vantaggio al paese perchè avevano una grandiosa fabbrica laggiù nella valle, che dava lavoro ad un gran numero di operai, e poi perchè spendevano molto, e il signor Guerini, proprietario della villa e della fabbrica, non dimenticava nè i poveri nè la chiesa, anzi avea regalato a sue spese un nuovo organo.

— E quel casino rosso laggiù in fondo al viale? — chiese Maria.

— È il casino del professore Damiati, una persona molto istruita che viene qui a villeggiare da qualche anno.

— L’ho inteso nominare, è professore al ginnasio, non è vero? — riprese la fanciulla; — mi piacerebbe tanto conoscerlo perchè vorrei pregarlo di dare delle lezioni a Carlo che deve ripetere un esame.

— Glielo farò conoscere, — disse don Vincenzo, — anzi, se andiamo verso la posta, lo incontriamo di sicuro. [p. 28 modifica]

— Ebbene, tanto meglio, se non le incomoda siamo pronti.

E s’avviarono tutti insieme parlando della stagione, della campagna e dello zio, che don Vincenzo nominava sempre con vero rincrescimento.

— Crede, — diceva, — che dopo la sua morte mi pare quasi di non viver più nemmeno io? Ci siamo conosciuti giovani, alle barricate di porta Vittoria nelle Cinque Giornate; sono momenti dei quali non ci si dimentica, e poi siamo stati sempre amici, tanto ch’egli è venuto ad abitar qui per me, e ci si divertiva a stare assieme la sera ricordando il tempo passato; le ore trascorrevano in un lampo; penso sempre a quelle belle serate.

— Venga ora che ci siamo noi a raccontarci di quel tempo, sarà tanto utile anche per i ragazzi.

— Ecco il professore, — disse don Vincenzo accennando ad un giovane che veniva verso di loro, assorto nella lettura del giornale che era arrivato in quel momento, e seguito da un bel cane.

— Signor Damiati? signor Damiati? — chiamò il curato. — Deve aver trovato delle notizie molto interessanti in quel giornale, che non alza nemmeno gli occhi per salutarmi.

— Davo una scorsa alle novità del giorno, [p. 29 modifica] ma di questa stagione anche la politica tace, — disse Damiati alzando gli occhi e salutando.

— C’è qui la signorina Morandi che desidera conoscerla, — soggiunse don Vincenzo.

Il professore salutò Maria e fece una carezza a Mario che gli era vicino, mentre gli altri ragazzi avevano fatto circolo intorno al cane.

— Ho inteso parlare di lei, — disse Maria, — e speravo proprio incontrarla, anche perchè desidererei un favore.

— Dica pure, se posso esserle utile....

E un po’ timidamente, quasi tremante, gli disse come era imbarazzata per Carlo, temendo che da solo non potesse studiare, e lo pregava che gli volesse dare qualche lezione, qualche suggerimento....

Il professore disse che proprio quando era in campagna avea deciso di riposare e di non obbligarsi a dar lezioni, ma essendo tanto vicini avrebbe fatto un’eccezione, sarebbe stato felice di andar a passare qualche ora nella loro compagnia, e così quasi conversando avrebbe potuto aiutare Carlo nei suoi studii.

— Mi farà un vero regalo, — disse Maria, — scusi, sa, se sono stata un po’ ardita di chiederle un favore così subito, senza conoscerla, sono tanto umiliata di non potere aiutar io mio fratello, perchè di latino non so proprio nulla. [p. 30 modifica]

Il professore promise di andar presto a vederli, poi si salutarono tutti, e Maria tornò a casa coi ragazzi, contenta del modo con cui avea occupato quel primo giorno; anche i ragazzi eran felici della bella passeggiata e soltanto Carlo pareva imbronciato all’idea di dover rimettersi a studiare.