Piccola morale/Parte quarta/IX. Una specie di usura non avvertita
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IX.
UNA SPECIE DI USURA NON AVVERTITA.
Tra quelle molte specie d’usura che la cupidigia umana ba trovato, una ve ne ha che non parmi si considerasse mai tanto attentamente quanto meriterebbe. Questa specie di usura è riposta nell’opinione onde sono accompagnate Je ricchezze, per cui sopra il cento che Tizio di fatto possiede, c’è un dugento, un trecento e più ancora di pubblica stima. L’orpello del ricco passa per oro di coppella, laddove l’oro del povero (se mai gliene piove qualche gocciola tra le mani) si dura una grande fatica a crederlo altra cosa che orpello. È di qui che la potenza dei ricchi si accresce fuor di misura. Quando ci maravigliamo che il denaro, come suol dirsi, corra dietro al denaro, sarebbe da pensare che siamo noi, i quali, abbagliati dallo splendore, non sappiamo più vedere gli oggetti nelle loro forme naturali, e ne allarghiamo e allunghiamo le dimensioni secondo ci detta la fantasia. Siamo noi che rendiamo più rovinoso il pendio per dove scorrono le ricchezze, noi che guidiamo gli sparsi rivi a raccogliersi nel maggior letto.
Per poco che si voglia por mente a questa sproporzione de’ nostri gindizii, si vedrà che siffatta usura, tuttoché pagata spontaneamente, è la più esorbitante. Non c’è interesse che salga tanto alto quanto va l’opinione; gli effetti che ne nascono non c’è intelletto umano che basti a determinarli. Invasi di una idea che non ha fondamento nel vero, chi potrebbe immaginare a quali conclusioni ci lascieremo portare? Freqquentissimi, a non dire quotidiani, sono gli esempi. L’usura che noi paghiamo alle ricchezze non è di solo denaro, ma di ciò che vale assai più del denaro, in quanto che non è peribile o alienabile come quello, e sono i pensieri e gli affetti dell’anima nostra. Non intendo qui parlare dei suffragii che si comprano, ma di quelli che vengono dati alla opulenza spontaneamente. Quanti sono quelli che non si lascino sopraffare da vana paura, o da vane speranze? Veggo spesso taluni che si fregano attorno alle persone dei ricchi, come fanno i divoti alle sepolture dei santi, quasi credane che quelli al pari di questi abbiano il potere di far miracoli. Dicesi che l’oro è un gran taumaturgo, ma le genti di cui parlo nulla sperano, forse nulla vogliono dai ricchi, tranne l’abilità di aggirarsi loro d’intorno, e che si dica di loro: è uno di quelli che passeggiano con Epulone. Credono fors’anco che l’aria respirata dai doviziosi sia imbevuta di salubri influenze; e non sono affatto da deridere, se v’ebbe chi infondeva la polvere d’oro nelle pozioni amministrate agli ammalati.
Questa specie di usura non è solamente pagata alle ricchezze ma a tuttociò che fa rimbombo, o getta luce nel mondo. Potrei distendermi col discorso ai nobili, ai grandi, a quelli che hanno concetto di forti, di arditi, a quelli fin anco che hanno la semplice riputazione di fortunati; ma mi contenterò di parlare degli uomini di lettere, le cui provincie possono essere messe a guasto, a torto o a ragione, con grande speranza di non trovare chi si opponga salvo in parole. Anche i letterati ritraggono dal loro sapere un’indebita usura. Essa per verità non è così costante, nè così universale come nei ricchi, ma dove la si trova non cede punto, posta la diversità della merce, all’esorbitanza di quella. Gustavo è venuto in fama d’uomo dotto; tutti parlando di lui il chiamano il dotto Gustavo. Citi egli adunque a capriccio, inventi ciò che più fa al suo caso; riceve dall’uditorio in cieca credenza l’interesse del suo sapere. Ma qui non sta tutto. Quando trattasi di lettere si mette anche l’usura sopra le monete false; c una somma di sciocchezze, spacciate con bel garbo e a proposito, ti acquista in certi casi quel genere di pubblica stima che basta a far si che ad ogni tua parola qualunque ti ascolti abbassi il capo per riverenza. Quel gran mezzano di torti giudizii ch’è l’Ipse dixit entra sovente ai servigi anche degli ignoranti, e come i nobili e i ricchi avveniticci sono per lo più quelli che rendonsi intollerabili coll’esorbitanza delle pretensioni, così quelli che senza ragione si trovano creduti sapienti sanno meno d’ogni altro sopportare di essere contraddetti, ed hanno una superbia più illimitata.
Si dovrà conchiudere che, come è conceduto ai denari di fruttare un giusto interesse, un eguale interesse di stima e di anticipata approva zione non debba meritarsi dalla dottrina? Sarebbe stoltezza il dir questo. Ciò che vuolsi cercare si è che l’interesse non sia sproporzionato al capitale; ossia il lecito guadagno non trabocchi in usura nefanda. Accordisi pure ad ognuno che arricchi la propria mente d’utili cognizioni un certo grado di autorità, con cui possa suggellare quanto egli dice, ma ciò in proporzione del numero e dell’importanza delle cognizioni anzidette.
In tutto quello che va fuori di una tale misura si usi della solita diligenza negli esami, c della solita lentezza nei giudizii. Capisco che il domandar questo equivale al volere che gli nomini si tengano nel giusto mezzo, ciò ch’essi non sono soliti di fare; ma i voti che si formano è bene che mirino sempre al più alto termine della possibile perfezione. Lasciamo fare alla nostra infelice natura quel tanto che ella sa ed opera a tutte l’ore per tenersi di qua del confine.