Piano regolatore di Roma 1883 - Relazione/Criteri seguiti

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Mandato della Commissione esaminatrice del piano regolatore Esame critico del piano regolatore


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Criteri seguiti nell'esame del piano regolatore


Abbiamo detto che, prescindendo da ogni anteriore concetto sull’argomento, si è da noi voluto rifare in tutto l’esame del piano, quale oggi trovasi delineato, e quale è proposto dall’Amministrazione municipale. Partendo dunque dalla cognizione dello stato attuale della città, tanto nella parte del vecchio abitato, come in quella ove si è venuta ampliando, noi volemmo dapprima fissare le massime generali, che, a parer nostro, si debbono riscontrare nel progetto di un piano regolatore, e le speciali derivanti dalle condizioni topografiche e artistiche di Roma. Stimiamo di esporre tali massime, perchè giovano a render conto al Consiglio dei pareri, che saremo per manifestare sullo insieme e su ciascuna parte del vasto progetto.

La necessità di un piano regolatore, pel razionale coordinamento dei lavori di sistemazione ed ampliamento della nostra Città, non ha bisogno di essere dimostrata. La Legge sul concorso governativo ci domanda questo piano, e anche senza di essa lo reclama la natura delle cose e la pubblica opinione. Le Amministrazioni comunali passate hanno dovuto mano a mano adottarne degli stralci; è la mancanza di un piano generale obbligatorio non mancò di produrre i suoi [p. 18 modifica]inconvenienti, quantunque le amministrazioni stesse si adoperassero costantemente, e riuscissero talvolta a diminuirli o anche evitarli con trattative private. Ciò non pertanto furono in diversi casi costrette di concedere licenza di ristauri e di edificazioni in luoghi, dove cadrebbero aperture o correzioni di vie importantissime; e così, quando non sia possibile modificare l’andamento delle linee regolatrici, saremo costretti ad espropriare a caro prezzo fabbriche ricostruite di recente, che nel loro stato primitivo avrebbero avuto pochissimo valore.

Ma a parte la necessità del piano, noi dovevamo occuparci della sua estensione, in rapporto all’aumento della popolazione prevedibile entro un lasso razionale di tempo. Già le statistiche del decennio anteriore al 1871 avevano dimostrato che l’incremento naturale della città si approssimava ai tremila abitanti per anno: dal 1871 al 1881 l’incremento invece fu di circa 80 mila abitanti. Buona parte di questi, forse la metà, è dovuta all’eccezionale circostanza del trasporto in Roma della Sede del Governo, e delle pubbliche Amministrazioni; e può argomentarsi che l’incremento naturale sia stato in media di soli 4 mila abitanti per anno. Però è da notare, che le cifre dell’aumento in questi ultimi anni, nei quali poteva considerarsi compiuto quello eccezionale suindicato, fu superiore a quella media; risultando di 7100 nel 1879, di 9600 nel 1880, di 6500 nel 1881. È prudente dunque che le previsioni siano alquanto superiori al risultato medio normale del decennio trascorso, tanto più che in conseguenza dell’approvazione di un piano regolatore, dell’obbligo di nuovi edifizi ed [p. 19 modifica]istituti governativi, dello spirito d’intrapresa ognora crescente, del credito pubblico vieppiù assodato, l’incremento della popolazione sarà favorito in un prossimo avvenire meglio, che non potè esserlo in passato, causa non ultima la deficienza di abitazioni.

Ci siamo quindi formato il criterio, che l’aumento naturale entro i prossimi 25 anni (periodo che corrisponde al valore giuridico dei piani regolatori e di ampliamento delle città) possa essere, in media, di 5 mila abitanti per anno, ed in tutto di 125 mila; i quali aggiunti ai 300 mila, e più, accertati nell’ultimo censimento, danno una cifra di popolazione prevedibile di 425 mila abitanti. Ora considerando, che le città bene costituite contengono ordinariamente 500 abitanti per ettaro di terreno, tra fabbricato e stradale, l’estensione del nostro piano avrebbe a comprendere una superficie di 850 ettari; e siccome l’abitato della città nel 1871 già aveva una estensione di circa ettari 500, così ne deriva che i nuovi quartieri bisogna siano tracciati sopra una superficie di ettari 350, assegnando una superficie ulteriore per le parti che possono essere più adatte a villini, piazzali a giardino, viali, opifici e stabilimenti industriali.

Determinata in tal modo l’estensione necessaria per i nuovi quartieri, e scelte le località più acconcie a costruirveli, bisogna poi metterli in comunicazione fra loro e coi centri del vecchio abitato, mediante grandi vie, ed anche mediante parecchie vie, secondo l’ampiezza di ciascun quartiere. Tali comunicazioni poi hanno a farsi larghe così, da permettere libera circolazione a’ pedoni ed a’ veicoli, e l’adozione di quei mezzi più celeri ed [p. 20 modifica]economici, oggi in uso nelle grandi città, per temperare il difetto delle grandi distanze; dirette più che sia possibile; di pendenze moderate, quanto il comporti la differenza altimetrica dei punti da collegare. Tuttociò è essenziale per favorire l’iniziamento e il rapido sviluppo delle fabbriche, e per assicurare il compenso locatizio al valore fondiario delle nuove costruzioni. E altre linee debbono parimenti essere segnate, le quali mettano fra loro in rapporto i quartieri, che sorgessero sovra zone separate.

In quanto ai luoghi opportuni per i nuovi quartieri, benchè oramai tutti scelti, la Commissione ha ritenuta per massima, che l’estensione dell’abitato abbia a promuoversi di preferenza nell’interno della cerchia della città, ove esistono tuttora grandissimi spazi disabitati, di quello che assegnare troppo vasta superficie esterna, da includere poi nella cinta daziaria.

Ma oltre al bisogno di nuove abitazioni, una grande città deve pur provvedere a che abbiano sede conveniente, e possibilità di sviluppo, quelle istituzioni commerciali, e quelle industrie e manifatture, che meglio prosperano nei grandi centri di popolazione; come ad esempio, i doks, i mercati, i mattatoi, certi opifici meccanici, le fonderie, i laboratori, e soprattutto le industrie applicate alle belle arti. Il terreno propizio a ciò deve per massima essere scelto abbastanza appartato, anche perchè possano trovarvi posto le arti o insalubri o romorose: deve avere modo di collegarsi ai binari delle ferrovie, e di smaltire facilmente le acque impure per sostanze organiche o minerali: deve finalmente aver giacitura adatta per la distribuzione della forza motrice, sia meccanica, sia idraulica.

[p. 21 modifica]Né si è omesso di stabilire anche le norme relative all’ampiezza delle strade nei quartieri, che ancora dovranno sorgere. L’opinione delle strade larghissime fu sostenuta da coloro, che prendono a modello le grandi nuove città dell’estero, e che prevedono il moltiplicarsi delle linee ferrate interne a trazione animale, od anche a trazione meccanica; l’opinione contraria traeva argomenti dal nostro clima variabile, meridionale, e dal bisogno di strade ombreggiate durante il lungo periodo estivo. La questione si riduceva adunque ad esaminare, se convenisse adottare l’alberatura nelle vie interne fiancheggiate da case, lo che avrebbe diminuito il difetto delle grandi larghezze; ed infine fu ammessa la massima, per non pregiudicare la possibilità dell’alberatura, che le strade principalissime dei quartieri nuovi da tracciarsi ancora, abbiano 25 metri di larghezza; e che le altre da non alberarsi possano variare dai metri 20 ai 12, secondo la loro lunghezza ed importanza.

Più difficile era il fissare norme sull’apertura o correzione delle strade nel vecchio abitato, attese le molte soggezioni, che tale assunto presenta, e che per ragione di archeologia e di arte si trovano in Roma in grandissimo numero, anzi ad ogni passo. Tuttavia riservando i temperamenti per risolvere le difficoltà in ogni caso speciale, la Commissione ritenne, che in genere dovessero essere osservati i seguenti principi:

a) Le grandi arterie interne poche, attraversanti da un capo all’altro la città, e dirette secondo la corrente del movimento attuale, o di quello che andrà a crearsi per l’impianto dei grandi nuovi quartieri; tenendo presente la necessità di servire contemporanea[p. 22 modifica]mente alle stazioni ferroviarie, al quartiere industriale, al mercato.

b) Le arterie secondarie, ma necessarie a collegare i centri più importanti delle varie regioni della città, doversi dirigere, pure esse, secondo le correnti già determinate del movimento; e doversi anche distribuire in modo equabile e alternato colle strade attuali, compiendo colle arterie principali una rete, che favorisca in ogni senso la libera circolazione.

c) Per le ultime linee poi, che chiameremo di terz’ordine, doversi limitare l’opera a parziali allargamenti e rettificazioni di alcune strade esistenti, che possano riuscire di complemento alla nuova rete stradale; senza preoccuparsi troppo delle correzioni, che potessero desiderarsi nella generalità delle vie e dei vicoli di Roma. Imperocchè facendo altrimenti, non si lascerebbe intatto alcun punto della città, la mole dei lavori si aggrandirebbe sconfinatamente, ed i risultati che se ne otterrebbero riuscirebbero inadeguati al grave dispendio, perdendo di mira il vero obbiettivo di un piano regolatore, che è quello di aprire opportune, ma grandi linee di comunicazione e di circuito, nelle quali vadano a riversarsi le correnti del transito, obbligate prima a spandersi nello anguste e tortuose vie del vecchio abitato.

Per le larghezze delle vie da aprirsi nell’interno della città, ragioni di economia e di riguardo ai fabbricati di molta mole, che si trovano disseminati in ogni contrada, ci hanno consigliato a moderare gli altrui ed i nostri desideri; ed eccettuata la prosecuzione della via Nazionale, che per legge siamo obbligati a tenere di [p. 23 modifica]metri 20 di sezione, noi crediamo che basti assegnare 16 metri di larghezza alle arterie principali, 14 ed anche 12 alle secondarie.

Tuttavia quei moduli non si possono avere come invariabili in ogni singola strada, volendosi, per regola, fare a meno di distruggere, senza assoluta necessità, qualunque opera d’arte antica e moderna, che sia pregevole per merito, per nobiltà o per carattere. Per la quale ragione crediamo possibili i rettifili assai di rado, e ci contentiamo che si segua andamento apparentemente meno regolare. Riteniamo nondimeno assai più conveniente, quando giovi alla continuità delle nuove arterie, il partito di aprire coi tagli quei gruppi di case vecchie e scadenti senza interni passaggi, che s’incontrano in alcuni punti della città, piuttosto che impegnarsi in allargamenti equivalenti di prossime strade. Per tal modo si raggiunge lo scopo con minore sacrificio, e colla ricostruzione si provvede alla riforma e all’igiene delle contrade più misere e deserte.

La Città essendo divisa in due parti dal Tevere, occorreranno alcuni ponti nuovi per la traversata del fiume; e considerato, come i ponti attuali fossero insufficienti al bisogno, anche quando la città conteneva meno di 200 mila abitanti, e quando il Trastevere e i Borghi non accennavano a riordinarsi e ad ampliarsi, la Commissione riconosce utile, che i ponti nuovi si abbiano a costruire non solo presso i luoghi destinati alle novelle edificazioni, ma eziandio nei tratti troppo estesi del fiume, i quali ne sono privi lungo le sponde abitate dalle due parti. Ad ogni modo la distanza di un ponte dall’altro non dovrebbe possibilmente essere maggiore [p. 24 modifica]di 300 o 400 metri, e vorrebbero essere situati in coincidenza di grandi strade, o esistenti o nuove, dirette in senso normale alle rive.

Ogni città, che si rimoderna, cerca la facilità delle comunicazioni, ma non trascura il diletto delle passeggiate e dei giardini. Abbiamo però riflettuto, non essere conveniente destinare a questi terreno utilizzabile per l’ampliamento dei quartieri di abitazione; ma che si debba profittare dei grandi spazi, dove si estendono gli avanzi della Roma antica, e dove pel rispetto a questi dovuto non si potrebbe estendere il caseggiato, e riteniamo che le passeggiate abbiano a svilupparsi utilmente alla periferia della città, e collegarsi ai proposti giardini con ampi viali.