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[p. 479 modifica] si può arguire anche da questo, che delle grandi felicità ed imprese umane ne credevano invidiosi gli stessi Dei, e temevano perciò l’invidia loro, ed era lor cura in tali casi deprecari la divina invidia, in maniera che stimavano anche fortuna, e, se ben mi ricordo, si procuravano espressamente qualche leggero male, per dare soddisfazione agli Dei, e mitigare l’invidia loro. Deos immortales [p. 480 modifica]precatus est, ut, si quis eorum invideret operibus ac fortunae suae, in ipsum potius saevirent quam in remp. Velleio l. I, c. 10, di Paolo Emilio. E cosí avvenne, essendogli morti due figli, l’uno quattro giorni avanti il suo trionfo, e l’altro tre giorni dopo esso trionfo. E vedi quivi le note Variorum; vedi pure Dionigi Alicarnasseo, l. 12, c. 20 e 23, ediz. di Milano, e la nota del Mai al c. 20; vedi ancora questi pensieri p. 197, fine. Cosí importanti stimavano gli antichi le cose nostre, che non davano ai desiderii divini o alle divine operazioni altri fini che i nostri, mettevano i Dei in comunione della nostra vita e de’ nostri beni, e quindi gli stimavano gelosi delle nostre felicità ed imprese, come i nostri simili,