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480 pensieri (454-455)

precatus est, ut, si quis eorum invideret operibus ac fortunae suae, in ipsum potius saevirent quam in remp. Velleio l. I, c. 10, di Paolo Emilio. E cosí avvenne, essendogli morti due figli, l’uno quattro giorni avanti il suo trionfo, e l’altro tre giorni dopo esso trionfo. E vedi quivi le note Variorum; vedi pure Dionigi Alicarnasseo, l. 12, c. 20 e 23, ediz. di Milano, e la nota del Mai al c. 20; vedi ancora questi pensieri p. 197, fine. Cosí importanti stimavano gli antichi le cose nostre, che non davano ai desiderii divini o alle divine operazioni altri fini che i nostri, mettevano i Dei in comunione della nostra vita e de’ nostri beni, e quindi gli stimavano gelosi delle nostre felicità ed imprese, come i nostri simili,  (455) non dubitando ch’elle non fossero degne della invidia degl’immortali. (23 dicembre 1820). Vedi p. 494, capoverso 1.


*   Come in quei popoli che non conoscono o non pregiano oro né argento il piú ricco de’ nostri, profondendo danaio, non sarebbe in onore, anzi se non avesse altro mezzo per esser pregiato sarebbe posposto all’infimo di quella gente e per danari non otterrebbe neanche il necessario; cosí, dove l’ingegno o lo spirito non è in pregio o non si sa valutare, l’uomo il piú ingegnoso, il piú spiritoso, il piú grande, se non avrà altre doti, sarà dispregiato e posposto agli ultimi. Cosí s’egli avrà un certo ingegno o un certo spirito, che in quel paese non si pregi. Cosí relativamente ai tempi. In ciascun luogo e in ciascun tempo bisogna spendere la moneta corrente. Chi non è provveduto di questa è povero, per molto ch’egli sia ricco d’altra moneta. (23 dicembre 1820).


*   Tityrus et segetes, Aeneiaque arma legentur
Roma triumphati dum caput orbis erit.
Ovid., Amorum l. 1.