Parte prima del Re Enrico IV/Atto primo

Atto primo

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Interlocutori Atto secondo
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ENRICO IV




ATTO PRIMO




SCENA I.

Una stanza nel palazzo.

Entrano il re Enrico, Westmoreland, Blunt, e altri.

Enr. Battuti dalle tempeste, stanchi come siamo, e pallidi ancora di terrore, lasciam che la pace ci sorrida un istante, per avventarci poscia a nuove contese sopra sponde lontane. Questa terra non beverà più il sangue de’ figli suoi: la guerra non stranerà più colla sua spada questo suolo fecondo; non più vi schiacciera i suoi fiori sotto il piede di ferro dei nemici cavalli. Quelle file avverse di soldati, che, non ha guari, come meteore di un cielo tempestoso, tutte formate degli stessi elementi, nate tutte e nudrite della medesima sustanza, si urtavano, si mescolavano con furore, facendo l’una dell’altra terribile strazio, ormai schierate di fronte in bell’ordine s’avanzeranno concordi sulla medesima linea, nè più i fratelli sgozzeranno i fratelli. La spada della guerra non si tufferà più, come pugnale fallente il fodero, nel seno del suo signore. Ora, amici, è fino al sepolcro di Cristo che noi andremo a guidare un bellicoso esercito d’Inglesi; guerrieri arrolati sotto il santo vessillo della Croce, è al servizio di Lui che consacrate abbiamo le nostre armi: è per Lui solo che dovremo combattere. Sì, l’Inglese è nato per cacciar l’infedele dalle sante pianure, che toccarono quei piedi divini, che per nostra salute furono, son già quattordici secoli, confitti in croce. Questo nobile disegno è concetto da un anno, e sarebbe superfluo il [p. 146 modifica]dirvi che Togliamo compierlo; nè tale è il motivo che oggi ne raduna. — Westmoreland, caro cugino, istruitemi di ciò che fa decretato iersera nel nostro consiglio per affrettare una spedizione sì cara.

West. Mio sovrano, tale impresa venne vivamente discussa, e ventilaronsi molti disegni, che interrotti furono dall’arrivo di un corriere di Galles, recante sinistre novelle. La peggiore di queste è che il nobile Mortimero, avendo guidati gli uomini di Hereford a battaglia contro l’impetuoso e feroce Glendower, è caduto prigioniero fra le terribili mani di quel Gallese. Mille de’ suoi sono stati uccisi, e le spietate femmine di quel paese hanno fatto ai cadaveri mutilazioni sì crudeli, insulti sì empi, che ridirsi non possono senza orrore.

Enr. Certo che la novella di tal rotta troncò la discussione della nostra corsa in Palestina.

West. Sì, mio principe, questa novella congiunta ad altre; avvegnachè ne vennero dal Nord di più triste e dolorose ancora: e queste vuo’ dirvi. Il giorno dell’esaltazione della santa Croce il prode Hotspur, il giovine Enrico Percy e il valente Archibaldo, quel generoso scozzese splendido sempre di gloria, sono venuti in Holmedon a grave e sanguinoso scontro. Quanto all’esito, è come se la novella ci fosse stata recata dal rumore delle scariche dei loro archibugi, e che da lungi avessimo giudicato il combattimento; perocchè il corriere è partito a cavallo, nel momento più caldo della lotta, incerto da qual lato si sarebbe fermata la vittoria.

Enr. Noi abbiamo qui uno de’ nostri amici più cari, più fedeli e più operosi, sir Gualtiero Blunt, che scese testò dal suo cavallo, tinto ancora delle sabbie di differente colore che ha traversate da Holmedon fino a questi luoghi: ed ei ne ha recate novelle liete e felici. Il conte Douglas è vinto senza speranza di riscatto. Gualtiero ha veduto diecimila prodi Scozzesi è gran numero di cavalieri, ammonticchiati nelle pianure di Holmedon, bagnati nel loro sangue. Hotspur ha fatto prigioniero Mordake, conte di Fife, il primogenito del vinto Douglas, nonchè i conti di Athol, di Murray, d’Angus e di Mentheith. Non sono queste onorevoli spoglie, ricche conquiste, cugino?

West. Sì, invero, una tale conquista inorgoglierebbe un principe.

Enr. Un principe? Mi riesce dolorosa la vostra risposta. Voi aprite la mia anima all’ingiusto sentimento dell’invidia, facendomi notare come Northumberland sia padre d’un giovine, [p. 147 modifica]soggetto eterno di lodi, delizia della fortuna, che si compiace nel colmarlo de’ suoi favori; albero il più elevato di una vergine foresta; mentre io che veggo la gloria di Percy, veggo ancora le libidini e il disonore contaminar la fronte del mio giovine Enrico. Oh, piacesse al Cielo che si potesse provare che qualche fata maligna ha in una notte cangiati i nostri fanciulli nelle loro culle, chiamando il mio Percy e il suo Plantageneto! Ma si disperdano questi pensieri. — Che dite voi, cugino, dell’orgoglio di quel giovine conte? Egli mi annunzia che intende appropriarsi i prigionieri fatti da lui in questa ultima lotta, e che non ne avrò alcuno, tranne Mordake conte di Fife.

West. È per consiglio di suo zio; in ciò riconosco Worcester che vi odia quanto più può. È desso che stimola Percy ad addobbarsi di tale spoglia, e incita quel giovine a drizzare una testa audace contro vostra Maestà.

Enr. Ma io gl’inviai un messaggiere per recargli la mia risposta, e tale incidente ci obbliga a sospendere per ora i nostri santi disegni sopra Gerusalemme. Cugino, nel venerdì prossimo terremo seduta generale in Windsor: avvertitene i lórdi, e tornate sollecito da noi; perocchè mi rimangono più cose a dire e a fare, che io non posso annunziarvene collo sdegno che mi agita.

West. Vado, mio principe, a riempiere i vostri ordini. (escono)

SCENA II.

Un’altra stanza nel palazzo.

Entrano Enrico principe di Galles, e Falstaff.

Fal. Ebbene, piccolo Enrico, che ora è?

P. Enr. Tu hai lo spirito così torpido pel soverchio bere vin vecchio e sbottonarti dopo cena e dormire sui banchi quand’hai desinato, che obbliasti di chiedere ciò che più veramente vorresti conoscere. Che diavolo hai tu di comune coll’ora del giorno? A meno che le ore non fossero coppe di liquore, i minuti vivande, le campane lingue di mezzane che ti chiamassero ai sollazzi, e il puro sole istesso una bella e calda fanciulla di taffettà1, non veggo ragione, perchè dovessi spendere il tempo chiedendo dell’ora.

Fal. Onore e gloria! Ora, mio discepolo, cominciate a bene [p. 148 modifica]imitarmi: perocchè noi, che rubiamo le borse, siam governati dalla luna e non da Febo, quel così bello errante cavaliero. Ti prego, amabile beffatore, quando sarai re..... Così Iddio salvi Tua Grazia, (Maestà dovevo dire; perocchè grazia non ne hai di sorta...)

P. Enr. Non di sorta?

Fal. No, in verità; non tanta pure quanta ne occorre a fare il prologo a un dèjeûner2.

P. Enr. Ebbene, a che ne vieni? Al fatto, al fatto.

Fal. Volevo dunque dirti, mio vago garzone, che quando sarai re, non patirai che noi altri paggi di madonna Notte venghiam trattati quali mostri che disonorano le bellezze del dì. Noi vogliamo ci si appelli gli ospiti di Diana, gli amanti del buio, i vaghi della luna, e che si dica che siamo persone di buon governo, poichè, come il mare, siam retti dalla nostra nobile e casta amica, sotto la protezione della quale alleggeriamo del loro carico i passeggieri.

P. Enr. Ti apponi; e quel che dici è vero per ogni rispetto; imperocchè la nostra sorte ha il suo flusso e riflusso come il mare, essendo com’esso governata dall’astro notturno; ed eccotene la prova: una borsa d’oro, intrepidamente rubata il lunedì sera, rimane vuota nel succedente giorno; ottenuta, giurando e gridando la borsa o la vita, vien spesa, esclamando vino, vino, vino. Un dì marea bassa come il piede della scala, l’altro così alta come i bracci delle forche.

Fal. Pel signore, tu parli come un oracolo, fanciullo. E non è la mia albergatrice un dolce boccone?

P. Enr. Come il mele d’Ibla, vecchio compagno di precipizi. Ma non è altresì vero che un abito di bufalo, è un leggiadro abito per durar lungamente?3

Fal. Che, che? Misero cianciatore, pazzo che sei! Che significano tali indovinelli? Che ho io di comune col tuo vestito di bufalo?

P. Enr. Ed io pure che cosa ho a fare colla tua albergatrice?

Fal. Tu l’hai chiamata molte volte per far seco i conti.

P. Enr. Chiamai io mai te, perchè pagassi la tua quota?

Fal. No: ti renderò giustizia per questo lato: tu solo pagasti sempre tutto. [p. 149 modifica]

P. Enr. Là e altrove dove la mia pecunia valeva, pagai; in mancanza di essa usai del mio credito.

Fal. Oh! quanto a ciò, ben dici, e tanto ne usasti, che se non fosse così chiaro che tu sei l’erede apparente... Ma dimmi dunque, te ne prego, dolce fanciullo, si vedranno ancora in Inghilterra i patiboli quando dominerai? Le persone di corte saranno esse sempre battute dalla verga rugginosa di quella vecchia e grottesca stolta, che si chiama legge? Te ne prego, quando sarai re, non fare appiccare i ladri.

P. Enr. No; tu lo dovrai.

Fal. Io lo dovrò? Oh strano! Pel Signore, in sarò un valente giudice.

P. Enr. Tu sentenzi già erroneamente; perocchè intesi dire che a te spetterà il far appendere i malfattori, e quindi diverrai un ottimo carnefice.

Fal. Bene, Enrico, bene; e ti dirò di più che a tal mestiere m’adatterei del pari che a quello che esercito, affannandomi ognora dietro al calcagno dei Grandi.

P. Enr. Per ottener grazie?4

Fal. Sì; o abiti, ciò che non serve poco per ampliare il guardaroba del carnefice, — Morte alla mia vita! Mi sento malinconico come un gatto vecchio, o un orso in musoliera.

P. Enr. O un leone decrepito, o il liuto di un amante.

Fal. Sì, o il tuono d’una cornamusa della contea di Lincoln.

P. Enr. Che diresti tu se ti chiamassi malinconico come una lepre o il padule della città?

Fal. Hai le più sgualcite comparazioni, e sei il più comparativo dei mariuoli, dolce e regio pargoletto. — Ma Enrico, te ne prego, non fastidirmi oltre con tali follie. Vorrei sull’anima mia che fossimo entrambi in luogo dove si potesse acquistar una buona fama a prezzo d’oro. Un vecchio lord del consiglio mi ha diabolicamente garrito l’altro dì per la strada e per cagion vostra, signore; ma io feci sembiante di non udirlo, sebbene parlasse saviamente dal mezzo della via.

P. Enr. Tu adoprasti a meraviglia, perocchè è detto che la saviezza grida dalle vie senza che nessuno vi attenda.

Fal. Con questa manìa di citare il sacro testo, tu varresti non ch’altro a corrompere un santo. — Enrico, ne hai offesi! Io non sapeva nulla di nulla; e oggi se giova dire la verità non sono da più d’un vero scellerato. Conviene nullameno che lasci questa [p. 150 modifica]vita, e pel Cielo la lascierò: se nol fo, di’ che sono un malandrino. Non sarà mai detto ch’io mi sia dannato per l’amore d’alcun figlio di re cristiano.

P. Enr. Messere, ove ruberemo una borsa stanotte?

Fal. Dove vorrai, garzone; ti terrò compagnia. Se questo non mantengo, chiamami codardo, e scherniscimi.

P. Enr. Veggo ora la bella ammenda. Come passasti sollecito dal pentimento al latrocinio.     (entra Poins, a qualche distanza)

Fal. In fede, Enrico, è la mia vocazione; nè si fa peccato allorchè si esercita il proprio mestiere. — Poins! — Ora sapremo se Gadshill ha imaginato un sollazzo. Oh se gli uomini non devono essere salvati, che per ragione del loro merito, qual tana d’inferno sarà abbastanza calda per costui? Quest’uomo è forse il maggior ribaldo, che mai gridasse ad un onest’uomo: fermati!

P. Enr. Buon giorno, Eduardo.

Poin. Buon giorno, caro Enrico. Che dice monsieur Rimorso? Che dice sir Giovanni Vino-e-Zucchero? Giovanni, in qual modo ti sei acconciato col diavolo rispetto alla tua anima, dopo avergliene venduta il venerdì santo scorso per un bicchier di Madera e una coscia di cappone?

P. Enr. Sir Giovanni non si è disdetto; il diavolo avrà buon giuoco; perocchè sir Giovanni non ha ancora fatto mentire alcun proverbio da che è in vita; e quindi darà a Satana ciò che gli spetta.

Poin. Eccoti dunque dannato, se attieni la tua parola.

P. Enr. Lo sarebbe stato del pari, ove avesse voluto ingannare il diavolo.

Poin. Ma, miei figli, figli miei, è dimani che bisogna andar alle quattro del mattino da Gadshill. Sonovi pellegrini che corrono a Cantorbery, onusti di ricche offerte, e mercatanti che cavalcano verso Londra con borse turgide. Ho provedute le maschere per tutti voi, non che i cavalli; Gadshill dorme questa sera a Rochester, dove ho già disposta la cena. Possiamo fare un mirabile colpo con tanta sicurezza, quanta ne abbiamo riposando nei nostri letti. Se volete venire, mi rendo guarante che le vostre borse si empiranno di scudi: se non volete, ristatevi qui per nulla fare, e il diavolo vi strozzi.

Fal. Ascoltatemi, Eduardo; s’io resto qui e non vado, vi farò appiccare per essere andato.

Poin. Affè! pietanza indigesta!

Fal. Vuoi tu andare, Enrico? [p. 151 modifica]

P. Enr. Chi? Io rubare? Io ladro? No, in verità!

Fal. Non v’è nè onore, nè coraggio, nè buona amicizia in te: tu non sei uscito del sangue regio, se non osi gridare ad un uomo per dieci scellini: arrestati!

P. Enr. Ebbene! Una volta in vita mia vuo’ fare una follia.

Fal. Ora parli a dovere.

P. Enr. Ma no; avvenga che può, io resterò a casa.

Fal. Per Iddio! sarò dunque un traditore, allorchè tu sarai re.

P. Enr. Non me ne cale.

Poin. Sir Giovanni, pregoti, lasciami col principe solo; io gli esporrò tali argomenti per questa avventura, che l’assumerà.

Fal. Bene, possa tu avere lo spirito del convincimento, ed egli le orecchie della compiacenza, onde la tua favella lo commuova, e le tue parole siano da lui credute. Il principe legittimo si trasformi (per sollazzo, s’intende,) in ladro; e gli sgraziati abusi di questo secolo ottengano protezione. Addio; mi ritroverete a Eastcheap.

P. Enr. Addio, primavera svanita! Addio, estate senza fiori!

(esce Fal.)

Poin. Ora, mio amabile garzone, mio dolce principe, vi prego di venir con noi dimani; debbo compiere una beffa che non potrei far solo. Falstaff, Bardolfo, Pito e Gadshill deruberanno i mercatanti, intantochè noi ce ne staremo lontani, e vedutili carichi del bottino, li spogleremo a loro volta, credetelo sulla mia testa.

P. Enr. Ma come faremo per dividerci da loro al momento della partenza?

Poin. Noi non partiremo che prima o dopo di loro, e fermeremo un luogo di convegno, che potrete a vostra scelta indicare. Allora essi si avventureranno soli all’assalto, e quando avran fatto il colpo, noi v’andrem sopra.

P. Enr. Oh! ma potrebbe avvenire che ci riconoscessero ai nostri cavalli, ai nostri abiti, a qualche altro segno.

Poin. No; i nostri cavalli non li vedranno; li lascieremo nel bosco: cambieremo maschere, appena ci saremo divisi da essi: ho ordinate vestimenta che renderanno impossibile il riconoscerci.

P. Enr. Temo anche non siano troppo forti per noi.

Poin. Quanto a ciò, ve n’hanno due di cui rispondo, essendo nell’anima i maggiori codardi che mai volgessero il dorso: e se il terzo si batte al di là di quello che potrebbe consigliargli la [p. 152 modifica]ragione, vuo’ rinunziar per sempre al mestiere delle armi. — Il piacevole dell’avventura sarà di udir poscia le grossolane menzogne che Falstaff spaccierà, quando ci troveremo tutti uniti la sera a cena: come ei si sarà battuto contro almeno trenta persone; come si sarà difeso; a quali estremità sarà stato ridotto, ecc., e dalla mentita che gli daremo trarremo letizia inesauribile.

P. Enr. Bene, verrò teco; provvedi il necessario, e trovati domani sera ad Eastcheap dove cenerò. Addio.

Poin. Addio, mio principe.                         (esce)

P. Enr. Io vi conosco tutti, e vuo’ bene pel momento assecondarvi, proteggendo le sfrenate follie del vostro ozio: con ciò imiterò il sole che permette talvolta alle nubi importune e contagiose di celare la sua bellezza al mondo, per fargli meglio sentire la sua mancanza: ma da che ei si compiace di ricomparire ai mortali non ne è che più ammirato. Se il corso intero dell’anno non fosse composto che di feste, la noia dei sollazzi eguaglerebbe in breve la noia del lavoro. Ma venendo soltanto di tratto in tratto, ritornano desiderate, avvegnachè nulla piace più dei fenomeni rari. Così quando un giorno io abiurerò questa condotta pazza e leggera, e verrò a pagare il debito, che non aveva promesso di satisfare, soverchierò tanto più le speranze che avevo date, e farò meravigliare di più gli uomini, smentiti nella loro aspettazione. Come un metallo brillante sopra un suolo limaccioso, lo splendore della mia conversione, coprendo i miei falli passati, cagionerà maggior sorpresa e gioia, e si attirerà più rispetto che il merito, che non ha ombra per farlo rifulgere. Siano dunque i miei errori soltanto un’arte che avvivi la mia gloria; e quando meno vi pensa vengano riscattati i dì della mia folle giovinezza.     (esce)

SCENA III.

Un’altra stanza nel palazzo.

Entrano d re Enrico, Northumberland, Worcester, Hotspur, sir Gualtiero Blunt ed altri.

Enr. Il mio sangue si è mostrato troppo placido a quell’affronto: voi stessi ne foste giudici, ed è su tale opinione del mio carattere, che avete come calpestata la mia pazienza. Ma siate certi che oramai mi mostrerò quale mi bisogna di essere, ed userò del mio potere per farmi temere, obliando la mia natural tempra, che fin qui ebbe la dolcezza di una colomba. Fu un [p. 153 modifica]tale eccesso di bontà che mi fece perder quegli omaggi, che un’anima altera non porge mai che ad altr’anima più altera di lei.

Wor. La nostra casa, mio sovrano, non merita di essere percossa dalla verga di un potere, che le nostre mani stesse fecero salire a questa altezza.

Nort. Signore.....

Enr. Worcester, ritirati, perocchè io leggo ne’ tuoi occhi la minaccia e la disobbedienza. — Oh Worcester, la vostra presenza mostra troppa audacia e risolutezza; e un re potrebbe stancarsi alfine di tollerare il sopracciglio aggrottato e imperioso di un suddito. Siete libero di lasciarci: allorchè ne occorreranno i vostri servigi, o i vostri consigli, vi faremo chiamare. — (Wor. esce) Volevate parlare?     (a Nort.)

Nort. Sì, mio nobile principe. Quei prigionieri che furono richiesti in nome di Vostra Altezza, e di cui Enrico Percy si impossessò ad Holmedon, non furono, a ciò che si dice, rifiutati con tanto spregio quanto ne venne descritto a Vostra Maestà. Fu dunque l’invidia, che creò quel fallo, di cui mio figlio non è colpevole.

Hot. Mio sovrano, io non m’opposi ad alcun riscatto: ma rammento che dopo la battaglia, allorchè ero sfinito dalle fatiche e dal furore, fuori di lena e appoggiato sulla mia spada, venne a me un lord leggiadramente vestito, alacre come un novello sposo, il cui mento era raso come il campo pur mo’ mietuto; che profumato come un mercante di mode, teneva fra il pollice e l’indice un piccolo alberello di odori che di tratto in tratto si appropinquava alle nari, traendone argomento d’altissimi starnuti. Costui sempre sorrideva, e mirandosi sino ai piedi con diletto, tassava i soldati di scortesia, perchè gli passavano accanto trasportando i cadaveri mutilati degli estinti. Un tal idiota mi fece cento inchieste, in termini fioriti quali ne usa una gentildonna, e mi domandò i prigioni in nome di Vostra Maestà. Io allora, cruciato dalle mie piaghe divenute fredde, veggendomi così noiato da quell’uccello di corte, nell’impazienza che risentiva, gli risposi con ira, non rammento che che gli avrebbe o non gli avrebbe, perocchè mi mosse a sdegno il vederlo sì lucido d’oro e di porpora, profumato da tante essenze, parlarmi col linguaggio di una femminetta, di cannoni, tamburi e ferite, e (il Cielo lo assolva) venirmi a dire che lo specifico migliore per le contusioni interne è il grasso di balena; non che era assai da commiserarsi che si vada a dissotterrare, dalle viscere della [p. 154 modifica]terra innocente, quel nitro feroce che distrugge tanti bei cavalieri; e che senza quegli odiosi cannoni, ei sarebbe stato guerriero come ogni altro. Fu a tutti questi propositi impronti a baldi ch’io diedi, mio principe, dubbia risposta: e vi supplico, perchè il suo rapporto non formi contro di me titolo d’accusa, a cui atteso venga da Vostra Maestà in pregiudizio del mio fedele attaccamento.

Blunt. Avendo in cale le circostanze, mio nobile sovrano, tuttociò che Enrico Percy avrà detto a un tal personaggio in così fatto luogo e in simile momento può bene perire in un giusto oblio, senza che alcuno si prenda pensiero di ravvivarlo per nuocergli. Come fargli un delitto di quello che ha potuto dire, quando in questo momento lo disconfessa?

Enr. Che? Ei persiste nel suo rifiuto de’ prigionieri, o non li cede che a patto che noi pagheremo tosto il riscatto di suo cognato, del bizzarro Mortimero, che sull’anima mia ha tradito con letizia i miseri soldati che condusse contro quell’insigne mago, quell’infernal Glendower, la di cui figlia, a quanto si narra, ha sposato, non ha molto, il conte della Marca. Converrà egli dunque che noi vuotiamo i nostri scrigni per riscattare un traditore o ricondurlo in seno al nostro regno? Converrà che paghiamo il tradimento, che accettiamo un trattato con uomini vili che si son fatti servi da loro stessi? No; ch’ei soccomba d’inedia sopra sterili montagne. Non mai avrò in conto d’amico l’uomo, la di cui voce solleciterà da me un solo obolo per redimere colui.

Hot. Colui! Ei non venne, mio sovrano, in potere del nemico che per le vicissitudini della guerra; e a provare tale verità non occorrono altre voci che quelle delle sue ferite. Altrettante bocche son codeste che perorano per lui: quei colpi ei li ricevè da generoso, allorchè sulle sponde del Severno, solo avversario del famoso Glendower, combattè arditamente contro esso per mezz’ora ferro opposto a ferro. Tre volte in quello scontro essi ripreser lena, e tre volte con mutuo accordo bevvero le acque del fiume, che, spaventato dei loro sguardi sanguinosi, fuggi scuotendo le sue fragili canne, e nascose il commosso capo nelle profondità del suo letto, reso cruento da quei formidabili combattitori. Non mai dunque il vile e colpevole tradimento entrò fra suoi disegni; nè mai il nobile Mortimero avrebbe versato sì generosamente il suo sangue se fosse stato colpevole. Il titolo di ribelle per nulla gli si addice.

Enr. Tu lo smentisci, Percy, lo smentisci: non mai ei combattè con Glendower. Io ti dico che avrebbe voluto trovarsi alle [p. 155 modifica]prese solo a solo con Lucifero, anzichè con lui! Oh, non arrossisci? Ma, giovine, oramai non parlarmi più di Mortimero: mandami tosto i tuoi prigioni, o avrai da me un messaggio che t’increscerà. Milord Northumberland, vi concediamo di lasciare la nostra corte insieme con vostro figlio. — Pensate a mandare i vostri prigionieri, o udrete qualche gran cosa.

(esce con Blunt e il seguito)

Hot. Quand’anche il diavolo venisse pieno di furore a richiedermeli, non li manderei. — Vuo’ raggiungerlo tosto per dirgliene; solleverò il mio cuore, dovessi perdere la testa.

Nort. Che? Tutto ebbro di collera! Fermati un istante: viene tuo zio. (rientra Worcester)

Hot. Non parlar più di Mortimero? Pel Cielo, gliene parlerò; e il Cielo mi rifiuti ogni misericordia, se a lui non mi unisco! Sì, per difenderlo vuoterò queste vene e spargerò tutto il sangue a stilla a stilla sulla polvere: io lo solleverò all’altezza a cui è venuto questo re ingrato e sconoscente, questo degenere Bolingbroke.

Nort. Fratello, il re ha reso vostro nipote insensato.

Worc. Chi accese tal febbre nel suo cervello da ch’io escii?

Hot. Ei vuole i miei prigionieri, e quando gli parlai del riscatto di mio cognato le sue guancie impallidirono; e volse su di me uno sguardo sanguinoso, mentre tremava al solo nome di Mortimero.

Wor. Nol posso riprendere, Mortimero non fu egli acclamato da Riccardo, che oggi è estinto, il più prossimo parente del suo sangue?

Nort. Nulla di più vero; anch’io udii il bando che fu letto nel giorno in cui il nostro sfortunato re (Dio voglia perdonarci inostri errori verso di lui) partì per la sua spedizione d’Irlanda, da cui non fece ritorno che per venire in potestà del suo nemico, per essere deposto e in breve trucidato.

Worc. E la sua morte cuopre i nostri nomi e la nostra vita di obbrobrio: si parla di noi con parole disoneste, e siamo diffamati nella bocca del mondo.

Hot. Ma di grazia, vi prego: il re Riccardo dichiarò dunque mio fratello, Edmondo Mortimero, erede della corona?

Nort. Così fece: io stesso l’intesi.

Hot. In verità non so fare un carico al re suo cugino del voto pronunziato che Mortimero muoia d’inedia su sterili monti. Ma sarà egli detto che voi che avete posta la corona sul capo di questo ingrato, e che portate per lui la macchia orribile di un vile assassinio... sarà egli detto che tollerate pazienti un nembo di [p. 156 modifica]maledizioni, restando schiavi suoi, suoi strumenti e sgabello al suo salire? Oh! condonatemi questo sfogo; e fu solo per mostrarvi la bassezza a cui vi sprofondate sotto questo indegno re. — Patirete voi, oh ludibrio! che la fama pubblichi in questo secolo, o che la storia dica ai secoli venturi, che uomini del vostro grado e della vostra potenza hanno sostenuto un’ingiusta causa, come (Dio ve lo perdoni) avete fatto per svellere rosa sì bella qual era il buon Riccardo, e far germogliare al suo posto una spina ignobile e malefica, qual è Bolingbroke? E per colmo d’obbrobrio sarà aggiunto che voi siete stati scherniti e tolti ai vostri uffici da quell’uomo istesso pel quale addossato vi siete tal carico d’infamia? No, v’è tempo ancora per redimere i vostri onori perduti e per rimettervi nella stima del mondo. Vendicatevi degli oltraggi indegni di questo sconoscente re, che non cerca dì e notte che i mezzi di sdebitarsi di ciò che vi deve, facendo cadere le vostre teste. Io vi dichiaro...

Worc. Basta, cugino, non ne dir altro: io vi aprirò un segreto e vi porrò a parte di un disegno pericoloso che chiede tanto impeto ed audacia, quanta ne occorre all’uomo che attraversi un torrente mugghiante sopra uno schifo sdruscito.

Hot. Se ei cade, addio... o annegarsi o nuotare. — Mostrate il pericolo dal ponente all’aurora, e l’onore lo attraverserà dal nord al mezzodì. — Il sangue e il coraggio s’infiammano di più a risvegliar un leone, che a dar la caccia a un timido daino.

Nort. L’idea di un gran fatto varca sempre i limiti della moderanza.

Hot. Pel Cielo, mi pare che sarebbe un salto facile quello di avventarsi fino alla pallida luna per istrapparne un glorioso premio; o di tuffarsi negli abissi del mare per ottenerlo e portarlo in luce, se l’onore che da ciò ne venisse a un mortale, appartenesse a lui solo: ma io sdegno le glorie divise per metà.

Worc. Ei fa pompa di iperboli, ma non mostra le disposizioni di un uomo che vuole ascoltare. Buon cugino, accordatemi un momento d’udienza.

Hot. Vi chieggo scusa.

Worc. Quei medesimi nobili scozzesi che sono vostri prigionieri....

Hot. Li riterrò tutti; pel Cielo, ei non ne avrà un solo. No, quando non ne occorresse che uno per salvargli la vita, li riterrei tutti, lo giuro su questo braccio.

Worc. Voi deviate e non volete udire quello che debbo comunicarvi. — Quei prigionieri li riterrete. [p. 157 modifica]

Hot. Sì, li riterrò. — Ei disse che non voleva ricomprar Mortimero; proibì alla mia lingua di nominar Mortimero! Ma io troverò il momento in cui sarà assopito nel sonno e gli griderò all’orecchio Mortimero! Insegnerò ad un uccello a non ripetere che questo nome, e gliene darò per tener la sua collera sempre desta.

Worc. Cugino, in mercè, una parola.

Hot. Fo qui sacramento solenne di non intendere più omai ad altro che a cercare i mezzi d’infastidire Bolingbroke. Quanto a quel principe di Galles, rotto ad ogni stravizzo, e che suo padre non ama, desidero che la morte lo colga con un bicchiere in mano.

Worc. Addio, cugino: vi parlerò allorchè sarete meglio propenso ad intendermi.

Nort. Qual forsennato sei tu? Qual demone ti commuove e ti fa prorompere in questi vani clamori come femmina insensata, senza porgere ascolto a nessun’altra voce fuor della tua?

Hot. Mi sento battere con verghe, traforare con spine pungenti, divorare da insetti insopportabili, allorchè odo parlare di quel furbo e vile ipocrita, di quel Bolingbroke. Al tempo di Riccardo... come chiamate voi quel luogo? Maledizione su di esso... è nella provincia di Glocester. Fu là dove un misero monarca venne posto in rete da un suo zio di York..... Fu là dove io piegai per la prima volta il ginocchio dinanzi a questo re dal volto bugiardo, sorridente, mentre voi e lui riedevate da Ravensburg.

Nort. Nel castello di Berkley.

Hot. Appunto. — Quante carezze lusinghiere questo astuto non ci prodigò egli allora? Rammentate... la sua fortuna pargoletta che in breve sarebbe divenuta adulta; rammentate il gentile Enrico Percy, e... l’amabile cugino... oh! l’inferno stabbia cotesti simulatori! — Dio voglia perdonarmi! Buon zio, comunicatemi il vostro disegno: ho terminato.

Worc. No se non avete finito, procedete; aspetteremo i vostri agi.

Hot. In fede ho finito.

Worc. Torniamo dunque ai vostri prigionieri scozzesi. Metteteli tosto in libertà senza riscatto, e valetevi del figlio di Douglas per adunare un esercito in Caledonia. Tale proposta, per molte ragioni che vi esporrò per iscritto, sarà facilmente accordata. — Voi, Milord, (a Nort.) intantochè vostro figlio accudirà a ciò, voi v’insinuerete nel cuore del nobile prelato, del buon nostro arcivescovo. [p. 158 modifica]

Nort. Di York, volete dire?

Worc. Sì, di lui che sopporta con pena la morte che suo fratello lord Scroop patì a Bristol. Non parlo qui per congetture; non dico quel che io credo che potesse essere, ma bensì ciò che so che è di già concepito e volto in disegno, e a cui non occorre che un’occasione perchè vada in effetto.

Hot. Intendo; e sulla mia vita, ciò riescirà.

Worc. Prima che la caccia sia al bosco, voi avventate già le mute.

Hot. È impossibile che questo disegno non sia eccellente. Gli eserciti quindi di Scozia e di York si uniranno a Mortimero?

Worc. Così accadrà.

Hot. In fede, è maravigliosamente imaginato.

Worc. Nè lieve è il motivo che ci spinge a venirne all’esecuzione. Si vuole salvare le nostre teste, ponendole sotto la custodia di schiere amiche. Imperocchè quand’anche ci comportassimo con tutta la prudenza possibile, il re si crederà sempre nostro debitore; crederà che ci reputiamo mal ricompensati, fino a che ei non abbia trovato modo di saldare il suo debito colla nostra vita; e voi vedete già come cominci ad allontanarci e a toglierci tutti i favori della sua amicizia.

Hot. È vero, è vero; ci vendicheremo di lui.

Worc. Cugino, addio. — Non mostrate in quest’opera più di quello che le mie lettere vi additeranno; esse sole vi accenneranno la vostra strada. Allorchè l’occasione sarà matura, e lo sarà fra poco, io andrò segretamente da Glendower e da Mortimero; mentre voi con Douglas e i nostri eserciti vi troverete, per le mie previdenze, felicemente riuniti, talchè terremo incatenate nelle nostre vigorose braccia le nostre fortune, che sorvolano ora incostanti sopra le nostre teste.

Nort. Addio, buon fratello: vinceremo, ne ho fiducia.

Hot. Addio, zio. — Oh, scorrano brevi le ore, finchè giunga ristante in cui gemiti e grida faccian eco ai nostri sollazzi.

(escono)





Note

  1. Traduciamo alla lettera.
  2. Alludendo all’azione di grazia che si rende alla Provvidenza assidendosi al desco.
  3. Allude agli ufficiali dello Sceriffo, che anticamente vestivano di stoffa.
  4. La parola inglese è suits, che significa anche spoglie dei giustiziati.