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148 enrico iv

imitarmi: perocchè noi, che rubiamo le borse, siam governati dalla luna e non da Febo, quel così bello errante cavaliero. Ti prego, amabile beffatore, quando sarai re..... Così Iddio salvi Tua Grazia, (Maestà dovevo dire; perocchè grazia non ne hai di sorta...)

P. Enr. Non di sorta?

Fal. No, in verità; non tanta pure quanta ne occorre a fare il prologo a un dèjeûner1.

P. Enr. Ebbene, a che ne vieni? Al fatto, al fatto.

Fal. Volevo dunque dirti, mio vago garzone, che quando sarai re, non patirai che noi altri paggi di madonna Notte venghiam trattati quali mostri che disonorano le bellezze del dì. Noi vogliamo ci si appelli gli ospiti di Diana, gli amanti del buio, i vaghi della luna, e che si dica che siamo persone di buon governo, poichè, come il mare, siam retti dalla nostra nobile e casta amica, sotto la protezione della quale alleggeriamo del loro carico i passeggieri.

P. Enr. Ti apponi; e quel che dici è vero per ogni rispetto; imperocchè la nostra sorte ha il suo flusso e riflusso come il mare, essendo com’esso governata dall’astro notturno; ed eccotene la prova: una borsa d’oro, intrepidamente rubata il lunedì sera, rimane vuota nel succedente giorno; ottenuta, giurando e gridando la borsa o la vita, vien spesa, esclamando vino, vino, vino. Un dì marea bassa come il piede della scala, l’altro così alta come i bracci delle forche.

Fal. Pel signore, tu parli come un oracolo, fanciullo. E non è la mia albergatrice un dolce boccone?

P. Enr. Come il mele d’Ibla, vecchio compagno di precipizi. Ma non è altresì vero che un abito di bufalo, è un leggiadro abito per durar lungamente?2

Fal. Che, che? Misero cianciatore, pazzo che sei! Che significano tali indovinelli? Che ho io di comune col tuo vestito di bufalo?

P. Enr. Ed io pure che cosa ho a fare colla tua albergatrice?

Fal. Tu l’hai chiamata molte volte per far seco i conti.

P. Enr. Chiamai io mai te, perchè pagassi la tua quota?

Fal. No: ti renderò giustizia per questo lato: tu solo pagasti sempre tutto.

  1. Alludendo all’azione di grazia che si rende alla Provvidenza assidendosi al desco.
  2. Allude agli ufficiali dello Sceriffo, che anticamente vestivano di stoffa.