arte, tentando di allestire — come già Lorenzo il Magnifico a istanza di Federico d’Aragona, secondogenito del re di Napoli — una sorta di Antologia, adunando all’uopo «composizioni di molti belli ingegni de l’età [nostra], essendo a Roma, a Napoli, e in varii luoghi (II-11). Composizioni latine riceve da Cristoforo Cerpelio bresciano (III-56) nonchè dallo Scaligero, dal Fracastoro. Marco Antonio Sabino fa anche stampare a Milano da maestro Gottardo da Ponte una «ingegnosa e dotta elegia» in onor suo (III-2), nella quale discorrendo «De suis temporibus scriptoribus quibusdam», egli ci presenta Matteo Bandello in mezzo ai più segnalati scrittori del suo tempo. Rime in volgare gli tributano «le coltissime Muse» del Castiglione (I-44) e Luigi da Porto (III-23) «tra i rimatori, ...dei primi» di quel secolo. E gli offrono o dicono — o egli finge che dicano — versi in sua presenza, altri numerosi autori di rime latine e di versi nella volgar lingua, amici suoi, di cui ritroviamo i nomi ad ogni pie’ sospinto nelle Novelle, destinati tutti, con quelli già da noi ricordati, a ornare le pagine della raccolta poetica da lui ideata, ma, per la deprecata dispersione delle sue carte, del tutto perduta. Sono tra questi Niccolò Amanio da Crema, Camilla Scarampa, Pietro Barignano, dei quali riporta, rispettivamente, un intero capitolo (I-45), la prima quartina di un sonetto (III-23), due versi di un madrigale (I-13); Niccolò d’Arco, di cui dichiara di aver nelle mani «selve, endecasillabi ed epigrammi ecc.» (II-36); Francesco Peto e Antonio Tilesio, che gli danno copia autografa quegli di «un arguto epigramma», questi del suo poema sul «Pomo punico o granato» (IV-13); a quella guisa che gli manda «bellissimi madrigali» Margherita Pelletta-Tizzona, poe-