Novelle (Bandello)/Terza parte/Novella LVI
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Novella LVI
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Un prete con una pronta risposta mitiga assai
l’ira del suo vescovo che voleva imprigionarlo.
Non è molto che essendo io andato a Milano a visitare il signor Lodovico Vesconte e Borromeo mio socero, che in casa sua mi fu narrata una piacevolissima novella, per la quale manifestamente si comprende quanto a luogo e a tempo la prontezza d’un bel detto talora al suo dicitore giovi. Fu adunque, non è molto, vescovo di Como monsignor Gerardo Landriano, patrizio milanese, che fu anco cardinale, persona dotta e d’integritá di vita riguardevole molto e venerabile. Egli, visitando la sua diocesi, come regolarmente fa il nostro vescovo di Verona monsignor Matteo Giberti, riformò molti monasteri di monache e gli ridusse a l’osservanza della religione. Ma ne trovò uno sovra il lago di Como, detto dai buoni scrittori il lago «Lario» . Esso monastero era da ogni banda aperto e le sue monache vivevano dissolutamente con mala fama. Fece il buon vescovo ogn’opera per riformare il detto monastero e ridurlo a qualche norma di religione. Erano cinque le monache e non piú, le quali, perché erano avvezze a vivere licenziosamente, s’ostinarono di non voler cangiare il loro consueto modo di vivere. Il perché il vescovo diede loro per governatore un prete che passava quaranta anni, a cui tutta la contrada rendeva testimonio di dottrina e di santa vita. Comandò poi sotto pene gravissime che piú non si ricevesse monaca alcuna. Il prete, presa la cura de le cinque monache, faceva ogni cosa per ridurle a vivere onestamente, essortandole a servar la regola loro. Ma egli vi s’affaticò indarno, perciò che assai piú puotêro le cinque male femine che un solo prete. Onde andò sí fattamente la bisogna, che elle pervertirono chi loro cercava convertire, perché, a dirla come fu, messer lo prete in meno di tre o quattro mesi tutte le ingravidò. Il vescovo, come intese tale sceleraggine, si fece condurre in Como esso prete, ed aspramente minacciandolo lo riprese e gli disse: – Sciagurato che tu sei, tu hai molto bene adoperato il talento che Iddio t’ha dato di predicare ed ammonir le persone a la tua cura commesse. A questo modo si fa? – E rivolto ai suoi disse: – Menate questo scelerato in prigione, e non se gli dia altro che pane ed acqua. – Era il prete prostrato in terra, ed alzando il capo, disse al vescovo: – Domine, quinque talenta tradidisti mihi: ecce alia quinque superlucratus sum. – Che vuol dire: – Signore, tu m’hai dati cinque talenti: eccoti che altri cinque sovra quelli ne ho guadagnati. – Piacque tanto la pronta ed arguta risposta al vescovo, ancora che si pervertisse il detto evangelico, che egli, cangiata l’ira in riso, mitigò in parte l’aspra penitenza al prete. Nondimeno lo tenne alcuni mesi in prigione, di maniera che vi purgò la dolcezza che prima gustata aveva. Cosí adunque, avendo il vescovo fatta menzion di talenti, non parve che si disconvenisse al giá condannato prete col detto del sacro Vangelo aitarsi. Narrano alcuni altri la cosa esser accaduta ad un altro vescovo in altri luoghi. Il che può essere; ma avvenne anco al vescovo di Como.
Il Bandello al magnifico messer Giovanni Marino
S’è molte volte tra prudenti e dotti uomini disputato se all’uomo savio si convenga con nodo maritale legarsi, e per l’una parte e l’altra infinite apparenti ragioni addutte si sono, le quali troppo lungo e forse fastidioso sarebbe, chi raccontar le volesse. Quelli cui non aggrada che l’uomo libero e savio si metta nel numero dei coniugati, e, di libero, servo si faccia, per toccarne una o due, dicono che è pazzia manifesta che l’uomo disciolto si leghi in servitú e si metta sotto l’imperio d’una donna; perché, essendo l’uomo animale perfetto, viene a sottomettersi a la femina, la quale è animale imperfetto ed occasionato. Hanno poi sempre in bocca questi tali il detto di Talete Milesio, uno dei sette savii de la Grecia, il quale essendo giovine e stimolato dagli amici a deversi maritare, disse loro che non era tempo. Venuto poi in vecchiezza e pure sollecitato a prender moglie, rispose che era fuor di tempo, volendo il saggio filosofo darci ad intendere che a chi vuol viver quietamente e senza fastidii non istá bene a maritarsi giá mai, recando seco il matrimonio infinite cure, dissidii, turbazioni, perché il letto maritale ha sempre liti e dissensioni contrarie. Quelli poi che d’altro parere sono e a cui piace far nozze dicono nel matrimonio esser infiniti commodi e piaceri necessarii al viver umano, e che di non poca importanza è aver la moglie, che ne le miserie ti tenga compagnia, negli affanni ti consoli, ti porga nei perigli aita, nei dubii casi consigli, e in ogni sorte di fortuna teco sia sempre d’un volere e mai non t’abbandoni. Adducono poi lo star senza moglie esser quasi sempre tenuto infame e biasimato da molte nazioni; onde gli ebrei con ingiuriose parole mordevano chi a la vecchiezza senza moglie perveniva e il popolo israelitico con i figliuoli non accresceva. Licurgo, che agli spartani diede la norma e le leggi del governo e viver publico e privato, comandò che chi al tempo nubile non prendeva moglie non potesse veder gli spettacoli e giuochi de la cittá, e che nel piú algente freddo de l’invernata fosse ignudo astretto a circuire negli occhi del popolo la piazza publica. Era in Creta uno statuto, che ogn’anno si facesse la scelta dei giovini candiani i meglio disposti e i piú belli, e che tutti si maritassero. I turii per editto publico volevano che la giovertú con doni ed onori s’inducesse a maritarsi. Che diremo del divino Platone? non ordinò egli ne la sua repubblica che chiunque, passati i trentacinque anni, non era maritato, fosse infame e privato d’ogni onore? Si maritò Socrate filosofo sapientissimo, ed Aristotile maestro di coloro che sanno, e Pittagora e molti altri savissimi uomini ebbero moglie. Appo i romani Furio Camillo e Postumo, essendo censori, a quelli che a la vecchiezza erano senza pigliar moglie pervenuti, o vero che avevano rifiutato le vedove lasciate dai mariti morti su la guerra, statuirono una gravissima pena. Ma che vo io raccontando costoro, se nostro signor Iddio ordinò il matrimonio, che è sacramento de la Chiesa, e, fuor del matrimonio non lece a qualunque, uomo o donna che si sia, procrear figliuoli? Ora, se io volessi tutti i beni che dal matrimonio provengano discorrere, e per lo contrario quanti noiosi fastidii in esso siano raccontare, essendo i beni pur assai e non in picciolo numero i mali, averei troppo che fare; di modo che, avendo ciascuna de le parti le sue ragioni, e tuttavia disputandosi qual sia meglior openione de le dui, mai la controversia non è stata decisa, e la lite ancora sotto il giudice pende e, per mio giudizio, sempre resterá dubia. Il perché veggiamo tutto il giorno uomini e donne maritarsi, ed altresí molti e molte in perpetuo celibato dentro le mure dei sacri monasteri chiudersi. Onde, questionando si una volta pure di cotesta materia in una onorata compagnia, facendo ciascuno buone le sue ragioni, a la fine con assenso di tutti si conchiuse che, se pur l’uomo si vuol maritare, che a buon’ora prenda moglie e non aspetti gli anni de la vecchiezza, e che maggiore sciocchezza non è che maritarsi vecchio. Fu anco unitamente determinato che di tutte le pazzie non è la maggiore che veder uno che sia vecchio o molto attempato e prenda una giovane per moglie, che sua figliuola di gran lunga esser potrebbe, e di questo sí fatto matrimonio esser il piú de le volte seguíto male assai, con danno e vergogna del marito e de la moglie. Era in questi ragionamenti il gentilissimo giovine, delizia de le muse messer Alfonso Toscano, governatore dei signori figliuoli del signor Alfonso Vesconte il cavaliero; il quale, veggendo i ragionamenti esser terminati, narrò una novella molto a proposito di ciò che detto s’era. E parendomi degna d’esser annotata, quella descrissi. Ora, venutami a le mani mentre che io, riveggendo le mie novelle, insieme le metto, a questa ho messo ne la fronte il nome vostro, e ve la mando e dono per testimonio de l’amore che tra noi sin da’ primi anni sempre è stato, pregandovi che non solamente a messer Tomaso vostro fratello, ma anco al vostro diligente Bavasero la mostriate, se egli piú di me si ricorda, che pure era solito esser ognora di me ricordevole. State sano.